Nel gorgo

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A Lodi la sindaca leghista Sara Casanova esclude dalla mensa comune della scuola media i bambini extracomunitari che non sono in grado di certificare con documenti ufficiali di essere poveri nel paese d’origine, come se provenissero da un’ordinata cittadina svizzera e non da paesi devastati da guerre e terrorismo.

All’ospedale San Giovanni di Dio a Cagliari, reparto di oncologia e cure palliative, la dottoressa Maria Cristina Deidda attraversa la sala d’attesa per accompagnare un giovane paziente senegalese da un altro collega. Immediate le proteste degli altri malati presenti nella sala: “Quando ci invaderanno, ti passerà la voglia di proteggerli”, “Gli ospedali sono ormai pieni di negri”, “Pensa a fare il medico e non a difenderli”, “Tutta colpa di un negro”.

Sono due dei tanti episodi di cronaca quotidiana riportati dai giornali il 22 settembre 2018. E umori analoghi ciascuno di noi può cogliere in giro. Non so nulla di psicologia delle masse, ma ricordo bene i liceali Bellum omnium contra omnes e Homo homini lupus. Però mi ricordo anche le battaglie che dai tempi di Hobbes si sono fatte per incivilire l’umanità. Non mi faccio illusioni: il pessimismo hobbesiano ha sempre avuto facile ragione, ma proprio per questo penso si debba continuare pervicacemente a cercare di circoscriverlo il più possibile e di allargare invece i piccoli spazi di civiltà residua che nel tempo siamo (eravamo?) riusciti a conquistare: isole nella corrente o, meglio, zattere che si incrociano al largo mandandosi da lontano grida di riconoscimento. Ed essere realisti: come diceva Tolstoj, la storia è insensata e non possiamo pretendere di “farla”: solo gli impostori e i criminali lo credono. A noi è dato ricominciare sempre da capo, consapevoli che “la realtà è infinitamente mutevole ma non modificabile”. (Chiaromonte in una lettera a Muska, in Fra me e te la verità – Lettere a Muska, Una Città, 2013)

Il problema è come si possa tornare dal piano individuale (credo che in questo lettori e collaboratori di questo sito facciano tutto il possibile) a quello collettivo, sociale. Certo, ognuno nel proprio ambito professionale e privato può cercare di agire secondo decenza, ma a molti di noi non basta. Però non vedo in giro cure ormonali in grado di rivitalizzare le forze esangui di quella che un tempo nemmeno tanto lontano chiamavamo ancora “sinistra”. Non importa la parola (ha subito tante vicissitudini!), ma la cosa designata: do you remember? Liberté, Égalité, Fraternité… Socialisme ou Barbarie… E anche il Samaritano, che agiva secondo coscienza fuori da ogni dogmatica… Dovrebbero essere gli elementi basici del nostro impegno individuale e collettivo.
Ma oggi occorre un passo in più: non abbiamo nemmeno più un futuro utopico, solo un presente tecnologico. E le vecchie chiavi non aprono le nuove porte. Possiamo forse combattere (ma come?) il liberismo neocapitalista globalizzato, possiamo ancora mettere qualche granello di sabbia negli ingranaggi, possiamo inventarci degli spazi di solidarietà… ma se non riusciamo nemmeno a strutturare un qualcosa che sostenga la dottoressa Deidda e fermi la signora Casanova rischiamo di essere come la hostess de L’aereo più pazzo del mondo.

Come possiamo dire, e possibilmente fare, cose “di sinistra” in un quadro ormai ostile a ogni forma di solidarietà e regolato da una mutazione tecnologica al cui confronto le rivoluzioni industriali di fine Settecento e di fine Ottocento sono state delle increspature nella storia dell’ umanità? E in un mondo ormai posteuropeo? E quando riusciremo a liberarci dall’onanismo ideologico?
Sono queste le domande che ci ripetiamo continuamente, da un sito all’altro, da un partitino litigioso a uno ancora più piccolo e più litigioso.
Non ho risposte, se non individuali: poco più dei fioretti del vecchio catechismo…
E quando vagheggio autorganizzazioni comunitarie dal basso, forme di contropotere disseminate sul territorio… mi vengono subito in mente i fumetti di Tex Willer, con i pellerossa che si mandano segnali di fumo, o le scolte nella notte che nell’Agamennone di Eschilo aspettano lunghi anni per annunciare di monte in monte la caduta di Troia…

P.S.
Mi ha sempre dato da pensare un calcolo che Yuval Noah Harari fa a p.456 del suo Sapiens. Da animali a dei, Bompiani 2014. Nel 2002 ci sono stati 57 milioni di morti. Di questi 741.000 vittime della violenza umana: guerre (172.000) o crimini violenti (569.000). 873.000 invece si sono suicidati. E Harari commenta: Ne risulta che nell’anno seguito agli attacchi dell’11 settembre l’individuo medio aveva più probabilità di morire suicida che di essere ucciso da un terrorista, da un soldato o da uno spacciatore di droga.

Gli autori

Gianandrea Piccioli

"Una lunghissima esperienza alla guida di marchi storici, prima Garzanti, poi Sansoni, più tardi Rizzoli, ancora Garzanti, a settant’anni è considerato uno dei grandi saggi dell’editoria («Ma che esagerazione, sono solo capitato fra le due sedie: dopo i grandi e prima del marketing»), cresciuto alla Corsia dei Servi, l’eretica libreria milanese che negli anni Sessanta mescolava Bellocchio e padre Turoldo. Passo resistente da montanaro, è abituato a scalare le vette impervie di giganti quali Garboli o Garzanti, Steiner o Fallaci. L’editoria che incarna è molto diversa da quella attuale, «per imparare il mestiere non ti portavano a fare i giochi di ruolo in luoghi esotici». Quasi dieci anni fa la decisione di lasciare, «perché il mondo era cambiato e non riuscivo più a intercettare il mutamento». Oggi il suo sguardo appare molto nitido, nutrito di letture meticolose condotte nel buen retiro di Rhêmes o nel silenzio di Casperia, un borgo medievale nell’alta Sabina. «La crisi dell’editoria è una crisi culturale. Si fanno troppi libri, molti anche interessanti, ma oscurati dalla censura del mercato. E soprattutto le case editrici hanno rinunciato a un progetto, a una visione complessiva che suggerisca un’interpretazione del mondo»" [da https://ilmiolibro.kataweb.it].

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