Il carcere: realtà e luoghi comuni

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Se si vuole fare una seria ecologia della comunicazione bisogna partire dai dati di fatto, dalla realtà, da quanto si conosce perché lo si è visto con i propri occhi, lo si è studiato, si sono analizzati i dati, i numeri, le storie. Le scelte politiche, legislative, amministrative vanno fatte sulla base di quanto accade, non sulla base della percezione, delle fake-news, della valanga di sciocchezze e odio che girano sui social. Noi di Antigone abbiamo visitato negli ultimi 18 mesi 117 carceri. Un numero molto alto, ben oltre la metà degli istituti penali italiani. 

Cosa abbiamo visto? Cosa accade?

Accade ad esempio che il tasso di detenzione degli stranieri, vale a dire il numero dei detenuti stranieri rispetto a quello degli stranieri residenti in Italia, è in calo. Se dieci anni fa era dello 0,71 per cento oggi è sceso allo 0,33 per cento. Non c’è, dunque, nessuna emergenza criminalità legata agli immigrati. E accade che il patto di inclusione sociale paga in termini di correttezza e rispetto delle norme. Se si dà fiducia a qualcuno, questo qualcuno tende a ripagare la fiducia accordata. La fiducia è una parola chiave. Man mano che una comunità straniera acquista la fiducia degli italiani, il suo tasso di detenzione cala vistosamente. È accaduto per gli albanesi e per i romeni. Regolarizzare la posizione degli stranieri e integrarli nella società riduce i tassi di criminalità. E lo fa in maniera drastica. Il numero di detenuti extracomunitari con regolare permesso di soggiorno è pari al numero di detenuti di origine lombarda ossia un numero che non pare preoccupi i nostri governanti leghisti. Si guardi inoltre alla comunità romena, la cui presenza in carcere è diminuita di oltre mille unità in soli cinque anni, mentre la sua presenza in Italia andava aumentando.

Accade anche un’altra cosa. Non è affatto vero che “chi va in galera ne esce subito” e che “non esiste la certezza della pena”. Innanzitutto la pena non è solo quella carceraria, come i nostri costituenti hanno precisato parlando, all’articolo 27, di pene al plurale (che non devono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato). E poi anche la pena carceraria è certissima e implacabile. Tanti detenuti non vanno mai in misura alternativa. Ci sono circa 24.000 detenuti che hanno da scontare meno di quattro anni di pena residua. Potrebbero essere fuori ma stanno dentro perché i magistrati non sono di manica larga nella concessione delle misure alternative, così come si sente spesso dire. Se fosse vero che nessuno finisce la propria pena in carcere sarebbero già usciti. Invece sono ancora lì.

Qualcuno esce, è vero. Ma se andiamo a vedere per bene come stanno le cose, e non come sono percepite da chi non conosce i dati di fatto, vediamo che le misure alternative hanno una durata media di poco superiore ai nove mesi. Quindi anche chi, a un certo punto, varca il cancello del carcere, ha scontato gran parte della pena dentro. E nei mesi in cui esce cosa succede? Smette di scontare la pena? Niente affatto. Succede che la sconta diversamente. Vive sotto il controllo dei servizi sociali e del magistrato di sorveglianza, seguendo un rigido programma che altri hanno stabilito per lui. Un altro modo di scontare la pena. Ma ancora pena. Un modo più utile alla nostra sicurezza (le misure alternative abbassano di molto il tasso di recidiva) e assai meno costoso per le nostre tasche.

Già, perché il carcere costa. Ciascun detenuto costa a tutti noi 136 euro al giorno. Le misure alternative sono enormemente più economiche. Chi invoca la costruzione di nuove carceri, si faccia prima due conti. Costruire un carcere da 200 posti – dunque un carcere piuttosto piccolino – costa tra i 25 e i 35 milioni di euro. Davvero vogliamo spenderli per puro senso di vendetta, per comminare pene meno utili di altre che abbiamo a disposizione? Costruire carceri ci costa 125.000 euro a posto letto. Ecco perché in passato nessuno ci è riuscito, anche tra coloro che avevano promesso sbarre su sbarre. Non c’è riuscito Silvio Berlusconi, con un sontuoso piano di edilizia carceraria annunciato in pompa magna e finito nel niente. Prima di lui non c’era riuscito il ministro leghista della Giustizia Roberto Castelli, che creò allo scopo la società Dike Aedifica s.p.a. rivelatasi in seguito una società fantasma e servìta solo a sprecare circa 1.400.000 euro, a alimentare azioni giudiziarie e a farsi tirare le orecchie dalla Corte dei Conti.

E poi si tocca con mano una cosa tanto risaputa quanto rimossa. Un provvedimento di legalizzazione delle sostanze stupefacenti porterebbe a ulteriori enormi risparmi di spesa.

Altro che nuove prigioni da costruire.

Gli autori

Susanna Marietti

Susanna Marietti, giornalista, è coordinatrice nazionale della associazione Antigone (da trent'anni impegnata nella promozione dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario). Allieva del filosofo Carlo Sini, è autrice di volumi e saggi su argomenti di filosofia contemporanea e sul tema della pena detentiva (tra cui "Il carcere spiegato ai ragazzi", con P. Gonnella, 2010). Scrive e conduce, insieme a Patrizio Gonnella, la trasmissione radiofonica settimanale Jailhouse Rock.

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