I media e la paura: ai confini della realtà

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Viviamo da tempo nella società della paura. Per tante ragioni. Una di esse – non certo l’ultima – è l’influenza dei media. Avendolo scritto, qualche giorno fa, in un “controcanto” su questo sito, mi sono sentito dire da alcuni amici che la mia è una esagerazione e che non si può incolpare la stampa (scritta e parlata) di dar voce a un’opinione diffusa.

Non credo che le cose stiano così e vorrei fare un supplemento di riflessione. Certo c’è un dato obiettivo e fisiologico. Un tempo non si sapeva nulla di quanto accadeva fuori della nostra diretta conoscenza, mentre oggi sappiamo in tempo reale tutto quanto accade in ogni angolo del mondo. Come osserva M. Augé: «Se un pazzo uccide dei bambini in una scuola americana, ne siamo immediatamente informati come se fosse accaduto sotto casa nostra. Di conseguenza temiamo per i nostri figli. Insomma tutto quello che accade lontano ci riguarda e ci terrorizza come se fosse vicino. Il sistema dell’informazione crea una forma di paura nuova, più sfuggente e più astratta. Quindi più difficile da combattere». Fin qui nessun rilevo da fare.

Ma c’è un ulteriore dato che fisiologico non è: la spettacolarizzazione o, peggio, l’invenzione delle notizie. L’influenza dei mezzi di comunicazione, soprattutto di quelli radiofonici e televisivi (e oggi dei social), nella creazione del panico di massa è enorme. Ci sono esempi eclatanti di notizie assurde e fuori dalla realtà, a cui nessuno, in condizioni normali, darebbe credito, che diventano credibili e accolte come oro colato sol perché diffuse dalla radio o, ancor più, dalla televisione o dai social.

Ci sono dei casi esemplari. Due, accaduti rispettivamente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, sono illustrati e analizzati in un testo classico di J. Bourke (Paura. Una storia culturale, Laterza, 2007).

Il caso della Gran Bretagna risale al 1926 e venne scatenato da una trasmissione radiofonica satirica, dal titolo Broadcasting from the Barricades, curata dal prete cattolico Ronald Knox e trasmessa alle 19:40 di sabato 6 gennaio dagli studi della BBC. La pièce, della durata di 20 minuti, preceduta dall’annuncio che si trattava di una rappresentazione di fantasia, proponeva un notiziario radiofonico dedicato, in prevalenza, alla descrizione di una manifestazione di disoccupati a Trafalgar Square. Questa la sequenza delle notizie, intervallate da collegamenti musicali, previsioni del tempo e informazioni sportive: la manifestazione è guidata da Mr. Popplebury, segretario del Movimento nazionale per l’abolizione delle code a teatro (sic!), che incita la folla a saccheggiare la National Gallery; i disoccupati si stanno riversando nell’Admiralty Arch e, con fare minaccioso, si avvicinano ai palazzi governativi; la folla lancia bottiglie vuote alle anatre che nuotano nello stagno di St. James’ Park; le autorità preannunciano un imminente discorso di Sir Theopholus Gooch sulla necessità di dare case ai poveri; il discorso non ci sarà perché Sir Gooch sta per essere bruciato vivo a Trafalgar Square; la folla sta demolendo il Parlamento con mortai da trincea; crolla la torre dell’orologio che ospita il Big Ben e, a seguito di ciò, l’ora di Greenwich sarà d’ora in poi segnalata dall’orologio di zio Leslie (un cantastorie per bambini di Edimburgo); il ministro dei Trasporti è stato impiccato a un lampione di Vauxhall Bridge Road; anzi – e qui il cronista presenta agli ascoltatori scuse formali per la precedente inesattezza – il ministro non è stato impiccato a un lampione ma al palo di una linea tranviaria; la folla prende d’assalto l’Hotel Savoy e poi la sede della BBC londinese. A questo punto il radiogiornale si concludeva con le seguenti parole del conduttore: «Un momento, per favore, in quest’istante il signor Popplebury, segretario del Movimento nazionale per l’abolizione delle code a teatro e alcuni altri uomini sono in sala d’attesa. Stanno leggendo copie di Radio Times. Buona notte a tutti; buona notte».

Difficile, anche a prescindere dall’annuncio che si trattava di finzione, ipotizzare una storia più inverosimile data la concentrazione temporale dei fatti (meno di 20 minuti per una vera e propria rivoluzione), il carattere salottiero della trasmissione, le qualità dei personaggi coinvolti (il segretario del Movimento nazionale per l’abolizione delle code a teatro, come leader della rivolta), le modalità degli eventi descritti e alcuni particolari a dir poco esilaranti (come il controllo dell’ora nazionale attribuito a un cantastorie, la placida lettura dei giornali da parte dei leader della protesta durante la presa della radio di Stato, le scuse formali per l’errore sull’indicazione del palo cui era stato appeso il ministro dei trasporti). Scherzo, dunque, di plateale evidenza, seppur di dubbio gusto. Eppure la stragrande maggioranza degli ascoltatori ci cascò. La BBC, le stazioni di polizia, i giornali furono subissati di telefonate allarmate. Ci furono malori e svenimenti in tutto il Paese. Alcune autorità di polizia periferiche si preoccuparono di adottare contromisure contro l’incipiente guerra civile. L’indomani, il ritardato arrivo dei giornali in alcune località, a causa di una abbondante nevicata, venne interpretato come la conferma che, nonostante le smentite ufficiali, a Londra qualcosa era successo. Ci vollero 24 ore perché il panico rientrasse definitivamente…

La cosa oggi sembra impossibile, eppure accadde. La ragione fondamentale non fu né il contesto sociale né la particolare raffinatezza della trasmissione ma il mezzo con cui la notizia era stata diffusa: la radio. Come disse una persona terrorizzata nel corso di una telefonata a un giornalista di un quotidiano liberale del Galles, subito dopo essere stata informata del fatto che la trasmissione era uno scherzo, «No… deve esserci qualcosa di vero, l’abbiamo sentito alla radio». […] Analogamente, il Daily Mail riportò che quando la gente apprese che si trattava di uno scherzo, si rifiutò di crederci: «L’abbiamo sentito alla radio», ricordarono gli ascoltatori agli scettici cronisti.

Ancora maggiore il panico sociale provocato dalla seconda vicenda, accaduta negli Stati Uniti nel 1938. Si trattò, anche qui, di una pièce radiofonica sotto forma di radiogiornale, curata da Orson Welles e diffusa dalla CBS la sera di domenica 30 ottobre 1938, vigilia di Halloween.

In essa veniva raccontata in diretta l’invasione della terra da parte di un esercito di marziani, atterrati con un’astronave nel New Jersey e da lì spintisi sino a invadere New York spazzando via esercito, artiglieria e aviazione. Come e più di dodici anni prima, fu il panico, nonostante l’evidente inverosimiglianza del racconto (tratto da un libro di successo) e i ripetuti avvisi – prima e durante la pièce – che si trattava di una finzione. Oltre un milione di americani (in ascolto o informati da amici o parenti) si precipitò in strada; centinaia di migliaia caricarono provviste sulle auto e fuggirono senza meta; altrettanti rimasero in casa immobilizzati dalla paura. Quando fu chiaro che si era trattato di un brutto scherzo le rimostranze furono furibonde e ad esse si accompagnò un numero impressionante di cause per danni contro la CBS. Anche in questo caso il commento più frequente, a spiegazione del panico collettivo, fu che tutto doveva essere vero «perché lo ha detto la radio».

Non è da meno la cronaca, a dimostrazione del perenne agguato delle dicerie. È un noto sociologo (E. Morin, Medioevo moderno a Orléans, ERI, 1979) a ricostruire un caso, accaduto nel 1969 nella città francese di Orléans, e, dunque, in una città moderna nel secolo dei mass media. Si erano diffuse voci di sparizione di alcune donne, pur in assenza di qualsivoglia denuncia alle autorità. Il panico si era diffuso nella città e cominciarono a circolare voci di una “tratta delle bianche”. Non si sa come, ma presto la voce diventò certezza accompagnata dall’indicazione che la tratta era organizzata in città in sei negozi di abbigliamento gestiti da commercianti ebrei. La notizia fu ripresa anche da un settimanale locale e l’allarme divenne generale arricchito da particolari a dir poco inverosimili e tuttavia da tutti (o quasi) ritenuti attendibili: «Si ritiene – scrive Morin – che le boutiques, alcune delle quali distano molte centinaia di metri l’una dall’altra, siano collegate attraverso una rete di passaggi sotterranei, che confluiscono in un grosso collettore sulla Loira, dove, di notte, un battello, e secondo alcuni perfino un sottomarino, viene ad effettuare il carico (Lévy, uno dei ricercatori, assicura di aver lanciato il venerdì, per scherzo, l’idea del sottomarino, e di averla poi riscontrata il sabato, ormai trasformata in verità certa)».

Dicerie e leggende metropolitane alimentate dai media. Il mix è, di per sé, ad alto rischio ché di esse si alimentano il panico sociale e la conseguente ricerca di capri espiatori. Non penso certo che si debbano censurare i media ma, almeno, occorre saperlo…

Gli autori

Livio Pepino

Livio Pepino, già magistrato e presidente di Magistratura democratica, dirige attualmente le Edizioni Gruppo Abele. Da tempo studia e cerca di sperimentare, pratiche di democrazia dal basso e in difesa dell’ambiente e della società dai guasti delle grandi opere. Ha scritto, tra l’altro, "Forti con i deboli" (Rizzoli, 2012), "Non solo un treno. La democrazia alla prova della Val Susa" (con Marco Revelli, Edizioni Gruppo Abele, 2012), "Prove di paura. Barbari, marginali, ribelli" (Edizioni Gruppo Abele, 2015) e "Il potere e la ribelle. Creonte o Antigone? Un dialogo" (con Nello Rossi, Edizioni Gruppo Abele, 2019).

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