Traccia di discussione
Il nostro giudizio sul Governo pentaleghista è esplicito e senza dubbi: si tratta di un Governo pessimo, esito probabilmente inevitabile di un voto che ha visto una netta vittoria della destra, a cui hanno concorso lo smottamento dell’ala movimentista del M5S (scioltasi come neve al sole senza neppure un accenno di resistenza) e l’afasia del PD (convitato di pietra per l’intera durata della lunga crisi).
La vittoria alle elezioni politiche della destra a trazione leghista è stata imponente e confermata dalle successive elezioni amministrative. Ed è la vittoria di una destra razzista, autoritaria e potenzialmente eversiva (tanto che c’è chi rimpiange il moderatismo di Berlusconi: sic!). I primi gesti del ministro dell’interno Salvini e dei ministri leghisti (in attesa che emerga, al di là dei proclami, una politica del Governo e della maggioranza) sono espliciti: la “chiusura di porti e frontiere”, l’irrisione di migranti (considerati “non persone”) e ONG, la legittimazione della tortura in Libia (e di un uso indiscriminato delle armi in Italia), la minaccia nei confronti degli avversari politici (da Saviano al sindaco di Riace), il disconoscimento dei diritti civili etc.
La vittoria della destra si sta trasformando anche in egemonia politica e culturale, fondata sulla capacità di cavalcare inquietudini, paure ed esigenze reali mettendo in discussione alcuni capisaldi della politica che ha prodotto la crisi in atto: la subalternità all’Europa dei mercati, lo smantellamento dello Stato sociale, una deregulation sfrenata delle condizioni di lavoro, il mito di una crescita economica libera e incontrollata. Si vedrà se e quanto tale messa in discussione è concreta o solo a parole. Ma, intanto, essa produce consenso e crea un nuovo blocco sociale.
Tutto ciò, questa vittoria e questa egemonia, si alimenta anche della inconsistenza degli altri attori della scena politica. Il Movimento 5Stelle, privo di una riconoscibile linea politica propria sulle questioni di maggior rilievo, si è rivelato incapace di capitalizzare il fatto di essere, singolarmente considerato, il partito più votato e si è allineato alle scelte dell’alleato leghista, talora con atteggiamenti a dir poco imbarazzanti, come quelli del ministro alle infrastrutture Toninelli (trasformatosi in una sorta di eco di Salvini) o di quell’onorevole Elio Lannutti, che vorrebbe addirittura «affondare le navi delle ONG “pagate da Soros”». Il centro – ché tale è da tempo il PD (non a caso alleato nelle elezioni politiche con Casini, Lorenzin e un campione del liberismo economico come Bonino) – è stato drasticamente ridimensionato dal voto del 4 marzo e addirittura umiliato nelle elezioni amministrative in cui ha perso il governo di città simbolo come Siena, Pisa, Terni e via elencando. Oggi il PD è isolato, diviso, chiuso in un atteggiamento rancoroso che ne offusca ogni visione, politicamente irrilevante anche in termini di opposizione. La sinistra politica semplicemente non esiste: i suoi frammenti, anche quelli approdati in Parlamento, sono privi di ogni peso e della loro esistenza nessuno si è accorto, in questi mesi, né nelle aule parlamentari, né nella società, né sui media.
In questo contesto era difficile ipotizzare un Governo diverso da quello che ci ritroviamo. Che è – è bene ribadirlo – un Governo sostenuto da ampio consenso e privo, allo stato, di alternative.
Ciò impone l’abbandono di luoghi comuni e di pigrizie intellettuali e richiede analisi non rituali. Prima di tutto per cogliere appieno il senso e le prospettive del cambiamento in atto.
Il 24 giugno, su “Il Fatto quotidiano”, Furio Colombo (Trump e Salvini: rabbia e vendetta) si è spinto a definire Matteo Salvini l’Eichman del Mediterraneo «che in pochi giorni ha deformato il volto del Paese nel silenzio o nel vago mormorio di ciò che resta delle autorità dello Stato». Tre giorni dopo, in questo sito, Marco Revelli (Il trionfo della crudeltà e della stupidità, link) ha evocato le radici profonde di quanto sta accadendo individuandole in una sorta di alienazione diffusa conseguente al sogno irrealizzato dell’uguaglianza, o alla «rivoluzione fallita» che sta alla base di ogni «ritornante fascismo». Il 29 giugno, poi, dalle pagine de “Il Manifesto” Giampasquale Santomassimo (La rappresentanza sociale ha cambiato verso) ha ammonito ad evitare giudizi affrettati e false analogie tra fenomeni incomparabili, aggiungendo che «se si vuol tornare a parlare alle masse popolari che ci hanno abbandonato, la prima regola sarebbe di non insultarle accusandole di fascismo o razzismo».
C’è materia per approfondire…
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la foto usata per la copertina è di Vincenzo Cottinelli