Non so se Melania Trump abbia voluto marcare una distanza politica e umana dalle decisioni del marito o se sia stata utilizzata per placare l’ondata di orrore e raccapriccio di fronte ai bambini dentro le gabbie e separati dai genitori. Rilevo che in entrambe i casi c’è un surplus politico che, per autonomia o per subordinazione, si aziona nelle contraddizioni che si determinano. E perché questo surplus? Esso si appalesa per ruolo costituzionale (poteri della first lady) o per ruolo familiare. L’ordinamento ha previsto o salvaguardato un’altra possibilità al contesto che determina.
Perché di fronte al GovernoDelCambiamento non solo le sinistre non hanno capacità e voce ma neppure può essere agito un qualche surplus politico contro di esso e le sue animalesche dichiarazioni? Bisognerebbe analizzare in che cosa sono consistite le responsabilità delle sinistre anche oltre e al di là degli attacchi del neoliberismo e del goffo tentativo prima di governarlo e poi di assecondarlo (il contesto).
Che cosa è stato delle mitiche organizzazioni della sinistra sociale in questi anni?
Quelle di natura economica si sono separate dalla loro ragione fondativa divenendo via via associazioni aderenti più alle logiche del mercato che alle ragioni dei loro aderenti a loro volta aiutati anche lì nel processo di spoliticizzazione. Quelle di natura sindacale, in primis la CGIL, hanno accettato la logica del governo amico che in cambio approvava leggi atte a favorirle nell’erogazione dei servizi (crescente ruolo dei patronati ad es.). Inoltre lungo la durissima crisi economica fatta pagare in termini economici e in termini di diritti in modo predominante ai lavoratori, oltre che a piccole imprese e giovani partite IVA, i sindacati hanno scelto la logica del contenimento delle tensioni piuttosto che quella dell’organizzazione del conflitto (tre ore di sciopero generale a fine turno contro la riforma Fornero…) accanto a una sopportazione pelosa di alcune lotte FIOM. Si potrà obiettare che quel ruolo è stato di responsabilità per salvare lo Stato in una difficile congiuntura (antico dibattito…).
Accanto a questa distruzione delle organizzazioni di massa (così si chiamavano), per trenta anni i quadri politici (la cui formazione era costatai sacrifici personali e collettivi) che non si allineavano alla strategia assunta venivano poco cortesemente accompagnati alla porta o messi in condizione di andarsene senza interrogativo alcuno. Quest’ultimo aspetto per la verità è valso, in misura non eguale ma proporzionalmente alla consistenza elettorale, sia per l’ultimo PCI che per le formazioni della sinistra, di alternativa e non, successive al suo scioglimento.
Questo ordito complesso ha distrutto un secolo di accumulazione politica e organizzativa. Non c’è Melania e non c’è surplus politico al quale appellarsi. Tutto è stato distrutto per il mantenimento del potere a ogni livello, anche di sezione o di circolo; o, in un eccesso di generosità, è stato speso per la salvezza dello Stato (se così qualcuno volesse giudicare tutto l’impianto).
Quando il castello crolla sotto i numeri del 4 di marzo e il potere viene perduto, per quanto orribile possa essere l’azione del nuovo governo, non possono essere gli attori che si sono succeduti per trenta anni sullo stesso palcoscenico e i loro epigoni a presentarsi nuovamente sul proscenio. Non è un problema personale, né una persecuzione politica. C’è proprio l’esaurirsi definitivo della credibilità minima che serve a far ripartire la sinistra.
Ebbene come ricominciare? Da zero per me.
Ma se, come Troisi, qualcuno avesse in mente di ricominciare da tre, i gruppi dirigenti delle residuali organizzazioni di massa più o meno riorientati dovrebbero immettere altri dirigenti politici dentro la babele dei cooptati per corrente o per famiglia; sponsorizzare lautamente le iniziative della sinistra che rivoluziona se stessa; affidare patrimoni immobiliari a giovani impegnati nel mutualismo e nella costruzione di segmenti di altra-economia e lavori alternativi; rompere con la logica del nuovismo e affrontare a brutto muso la selezione per qualità.
Sono all’altezza di questa materialissima ridefinizione organizzativa? Oppure, come sembra dalle prime mosse, vogliono ridarsi una verginità in una generica union sacrée democratica e nascondere ogni responsabilità come al tempo dei girotondi e dell’antiberlusconismo riesumati dalle cantine di Repubblica?
Su altro campo: affrontiamo i problemi di cultura politica o ci balocchiamo con tardivi settarismi atti a coprire la complessità della radicalità mentre l’Europa crolla, i migranti muoiono, le società incattiviscono e i sovranismi alimentano la destra? Temo prevalgano questi secondi scenari, ma anche in questo caso non sarà l’astrazione snobistica dal contesto a salvarci l’anima. Anche in questo caso bisognerà scegliere da che parte stare e lavorare, in attesa che passi la nottata o che tante Maria irrompano a ridarci l’umanità perduta e il surplus politico necessari.
Se si dovesse/potesse “ricominciare da tre” che significato avrebbe quel “tre”?
Qualcuno mi concede di intenderlo come “tre ruoli funzionali”?
Penso a un “[partito?] gestore del sistema”, una “comunità [distribuita] utente del sistema”, una “interfaccia comunicativa tra sistema e utente”.
Quale [nuova] pratica permetterebbe al “laboratorio volerelaluna” di stimolare un dialogo, reale e virtuale, su questa ipotesi?