La necessità di un cambiamento radicale
Indubbiamente chi esprime la necessità di un cambiamento radicale trova condivisione da parte nostra (di noi che continuiamo a ritenere essenziale la presenza della sinistra). Ma è altrettanto vero che occorre ragionare a fondo sulla direzione che deve prendere questo cambiamento. Altri, in tempi recenti, hanno ritenuto l’innovazione e il cambiamento qualcosa di comunque valido e la situazione attuale è frutto anche di tali atteggiamenti (semplificando molto, l’“occhettismo” e il “renzismo”, con le dovute distinzioni, ne sono esempi eclatanti).
Allora, discutendo nella prospettiva di una sinistra che ricostruisca una sua consistenza, un suo ruolo, una sua presenza attiva nelle istituzioni e nella società, non credo che tutto quello che è stato elaborato dal movimento operaio, progressista, socialista e comunista nel “secolo breve” (e anche precedentemente) sia da buttar via. Tanto è vero che il pensiero di Gramsci continua a essere preso come punto di riferimento in molte parti del mondo (assai meno in Italia, ma questo, a parer mio, è un elemento che ci contraddistingue negativamente).
L’importanza di “restare umani”
Inoltre, il diffondersi del disumano sia nell’ambito della società che in quello delle istituzioni), a cui contrapporre il recupero dell’umano come punto fondamentale dei rapporti fra le persone, caratterizza la situazione odierna. E il “restare umani” ha radici profonde nella storia del mondo. La Resistenza considerata non solo come lotta partigiana nasce proprio dall’esigenza, avvertita da molte persone, di contrapporre l’umano al disumano. Lo stesso rifarsi al dettato costituzionale, ci riporta al secolo breve. E l’obiettivo che caratterizza – che dovrebbe caratterizzare – la sinistra (vedi quanto afferma Norberto Bobbio), cioè quello dell’uguaglianza, è scaturito da varie avventure rivoluzionarie, a partire da quella francese del 1789.
Sul piano dei principi di fondo, su cui basare le nostre azioni, non bisogna quindi fare tabula rasa del passato (uguaglianza, solidarietà, pace rimangono gli assi portanti di un pensare e di un agire di sinistra). Certo, i proletari, come le stagioni, non sono più quelli di un tempo. Ma l’indicazione che solo riunendosi («proletari di tutto il mondo unitevi!») riusciranno a cambiare il corso degli eventi rimane valida (naturalmente verificando sul campo cos’è il proletariato oggi – e qui si ha un superamento e un rimescolamento delle vecchie categorie – e individuando i percorsi per cui potrebbe davvero riunirsi).
Forse è rimettendo insieme analisi, pensieri, modalità, comportamenti diversi che riusciremo a cominciare un nuovo cammino, affrontando la complessità del mondo e senza inseguire le semplificazioni populiste oggi così in voga (che sono al governo in molti Paesi, e vi stanno andando anche in Italia – il comportamento del presidente Mattarella darà loro una mano per crescere ancora alle prossime elezioni). Le semplificazioni populiste si collocano a destra, anche quando dicono superata la divisione fra destra e sinistra.
Sono essenziali lo studio, l’approfondimento, l’inchiesta (anche questa un vecchio strumento che però non mi risulta superato). È importante cogliere il contributo dei saperi sociali maturati nei movimenti e nelle lotte.
Risulta determinante, per ripartire su nuove basi, ricostruire dal basso forme di aggregazione, socialità, comunità (riscoprendo anche il valore fondamentale del mutuo soccorso, che fu, nel XIX secolo, uno degli elementi alla base della nascita del movimento operaio).
E nelle riflessioni e nei ragionamenti occorre, molto di più di quanto si sia fatto fino ad oggi, intrecciare alle considerazioni sullo sfruttamento, sul lavoro alienante, sulle forme di oppressione imposte dal neo-liberismo – quelle sul dominio patriarcale, perdurante, prendendo come punto di riferimento le elaborazioni e le lotte (vedi quelle recenti, e di livello mondiale, di “Non una di meno”) del movimento femminista, – quelle sull’ambiente, prioritarie in un pianeta avviato verso la sua estinzione, – quelle sul disumano in crescita, a cui contrapporre, come elemento fondamentale del nostro pensiero politico, la semplice affermazione, già citata, “restiamo umani”.
È necessario aver presente che di tutto ciò (di interventi per “restare umani”, di iniziative di solidarietà e di tutela dei diritti, di azioni di mutuo soccorso, di attività al di fuori delle logiche di mercato) esistono varie esperienze, che sono scollegate fra loro, ma che comunque costituiscono tante isole di irriducibili che resistono, al pari dei Galli del villaggio di Asterix e Obelix, all’Impero, ai poteri forti dominanti, ai “padroni del vapore” che prevalgono nelle istituzioni e nella politica, ormai quasi del tutto asservita al mercato e al capitalismo finanziario (anche quando i politici fanno affermazioni violente – è il caso della Lega – contro le banche e i poteri forti europei).
Si può “ricominciare da tre”
Come diceva Troisi, “ricominciamo da tre”, affrontando, questo sì, i nodi che molto spesso si sono messi da parte perché di difficile soluzione, e cioè, tanto per esemplificare:
- – il confronto con la nuova dimensione e le nuove concezioni del lavoro (lavoro che non deve certo rimanere precario e privo di diritti com’è attualmente, ma che non potrà mai tornare a essere quello dell’epoca fordista), da cui discende l’obiettivo del reddito di cittadinanza;
- – il distacco crescente fra rappresentanti e rappresentati, a cui si potrebbe cominciare a far fronte, come segnale per un’inversione di tendenza, rivendicando anche da sinistra la diminuzione delle retribuzioni e dei privilegi dei rappresentanti;
- – la diffusione di una politica non professionistica collegata a un recupero forte della partecipazione quale elemento portante della vita democratica;
- – l’uso delle nuove tecniche di comunicazione in una misura che non annulli le relazioni personali, ma le integri;
- – l’acquisizione di una dimensione europea (e in prospettiva intercontinentale, con il Mediterraneo ponte con l’Africa e il Medio Oriente – in una prospettiva ancora più lunga riproponendo l’ONU quale Governo mondiale) nel nostro far politica;
- – la necessità di radicarsi territorialmente, sviluppando relazioni tra le persone, capacità di ascolto, socialità comunitaria (non dando per scontato che debba prevalere per sempre l’individualismo oggi dominante);
- – l’impegno a promuovere azioni politico-culturali, in forme incisive ed efficaci, andando contro-corrente,sui punti fondamentali del progetto della sinistra (uguaglianza, solidarietà, pace, antirazzismo, antisessismo, antifascismo), che si tende a mettere in secondo piano come se fossero ormai obsoleti, un’opinione questa che dovremmo contrastare decisamente battendoci per riconquistare un livello egemonico, perduto nel corso degli ultimi decenni, di questi termini e di questi concetti nella vita di tutti i giorni, nelle affermazioni, nei comportamenti, nel senso comune.
Come “rimetterci in gioco”
Marco Revelli, su “il manifesto” del 23/5, afferma, giustamente, che «dovremo metterci in gioco più di persona» imparando «a fare le guide alpine al Monginevro» etc. Forse però sarà importante anche cercare di collegare le esperienze, in qualche modo esemplari, nei confronti degli ultimissimi con quella molteplicità di interventi, forse non altrettanto esemplari, ma che pure esistono, verso gli ultimi (o, comunque, espressioni di solidarietà e di mutuo soccorso, dense di fatti e non solo di parole). Perché senza questo retroterra anche le iniziative di frontiera diverranno più difficili e, soprattutto, non si tradurranno in iniziativa politica, in grado di coinvolgere un numero maggiore di persone, per opporsi a quello che viene fatto a livello di governo – di governi – (a quel punto qualificare i governanti come “sporchi, brutti e cattivi” o, meglio, “razzisti e fascisti” non sarebbe più un inutile esercizio verbale, ma si baserebbe su dati di fatto e darebbe origine a iniziative concrete – come si basavano, a suo tempo, il giudizio sui decreti Minniti-Orlando e le azioni conseguenti).
Certo, non bisogna limitarsi alle “chiacchiere”, anche se le parole sono necessarie per far circolare le idee e il nuovo si costruisce con il pensiero, con le idee, con i fatti. E non si può separare il nuovo dal vecchio con precisione assoluta, come se ci fosse una linea di demarcazione che li divide. In situazioni di cambiamenti profondi, qual è indubbiamente l’attuale, comportamenti, pensieri, azioni, le stesse persone, si intrecciano, si sovrappongono, si mescolano, in un’opera continua di “metissage”. Un’operazione, questa del meticciato, che può rivelarsi positiva e far davvero nascere qualcosa di radicalmente nuovo.
Bisogna stare “nel gorgo”, come diceva, parlando di tutt’altra situazione, un maestro politico del secolo scorso – Pietro Ingrao, che, sulle orme di Gramsci e di Brecht, lodava il dubbio e ricercava nuove vie. Altrimenti, c’è il rischio che anche gli appelli per un nuovo inizio, su basi del tutto rinnovate, diventino una “giaculatoria”.
nell’intento di essere sintetico, constato di non essermi espresso chiaramente. Quando parlo di sistema da cambiare, non intendo rinnegare le esperienze ma in conseguenza di queste, cambiare il sistema capitalistico o del libero mercato, come preferite. Questo avverrà comunque d’ufficio ma a quale prezzo? meglio provvedere prima, o no?