Dal 2022 la Banca Centrale Europea di Christine Lagarde alza costantemente i tassi di interesse e aumenta il costo del denaro – e quindi il costo dei debiti – con il pretesto ufficiale di “combattere l’inflazione”. In questi tempi di crisi, di “guerra mondiale a pezzi” e di difficoltà negli approvvigionamenti energetici e nelle catene produttive, invece di rilanciare l’economia la Bce opera per contrarre il credito: così fanno del resto tutte le banche centrali occidentali cosiddette “indipendenti” sotto la guida della Federal Reserve americana. L’obiettivo dichiarato è di abbattere il caro vita: ma l’aumento del tasso di interesse ha invece come primo risultato quello di incrementare a dismisura i profitti delle banche, ridurre contemporaneamente il credito e comprimere le attività produttive, provocando disoccupazione e diminuzione del costo del lavoro e dei redditi delle famiglie. Le manovre restrittive e pro-cicliche delle banche centrali – Bce compresa – sono esplicitamente tese innanzitutto a stroncare sul nascere qualsiasi richiesta di aumento dei salari e della spesa pubblica. Questa politica fa pagare la crisi al lavoro e al capitale produttivo e premia solo gli interessi della finanza. È quindi il momento di ridiscutere e demistificare il falso mito della “indipendenza” delle banche centrali.
Le banche centrali non vivono nel vuoto, anzi rappresentano l’istituzione centrale del capitalismo finanziario. Esse hanno il monopolio della moneta legale e la trasmettono all’economia solo ed esclusivamente tramite il sistema bancario che è quasi del tutto privato. Pochi sanno che la moneta delle banche centrali – ovvero la moneta legale, la più sicura perché garantita dallo Stato e quindi dalle tasse dei contribuenti – è disponibile solo per le banche commerciali e non per i cittadini, per le imprese e gli enti pubblici, e quindi per definizione non è neutrale (posto che il sistema bancario, in massima parte privato, è orientato al massimo profitto). E pochi sanno che la moneta che utilizziamo normalmente nell’economia reale – a parte le banconote e le monete per le spese spicciole – è creata dal nulla, per il 95%, dalle banche private quando concedono credito ai clienti (per mutui, pagamenti ai fornitori e ai dipendenti, credito al consumo ecc).
La creazione della moneta da parte delle banche procura loro un reddito di signoraggio (ovvero da creazione di moneta) che è essenzialmente un reddito parassitario. Creare moneta in forma di bit, infatti, tendenzialmente non costa nulla: ma cederla sotto forma di credito procura potenzialmente profitti formidabili. Come spiego nel libro “Il fallimento della Moneta” (Fazi Editore), la moneta delle banche viene creata sempre e solo sotto forma di credito: quindi entra nell’economia sempre e solo come debito: la moneta bancaria deve infatti essere sempre ripagata con gli interessi. La moneta-debito così creata dalle banche viene poi a sua volta prestata, per esempio nel mercato obbligazionario: ne deriva che più aumenta la massa monetaria e più cresce il debito. Ma un’economia fondata sul debito tendenzialmente sempre crescente è destinata inevitabilmente alla crisi e al fallimento. Inoltre un’economia basata sulla moneta privata emessa in regime competitivo per ottenere il massimo profitto non può che correre verso la speculazione finanziaria e immobiliare che offre generalmente rendimenti più rapidi e elevati. Così si gonfiano i mercati finanziari e si generano crisi rovinose. Quando poi il debito viene pagato alle banche la moneta scompare nell’economia: ecco perché la restituzione dei debiti paradossalmente provoca crisi violente! Per evitare le crisi occorrerebbe allora che lo Stato emettesse una moneta pubblica libera dal debito, cioè debt-free.
La moneta creata dalla banca centrale per le banche commerciali è normalmente una frazione della moneta creata dalle banche commerciali: sono queste ultime a comandare il credito e la quantità di moneta-debito che entrerà effettivamente nell’economia reale. Al centro del processo iniziale di creazione della moneta resta comunque l’emissione di moneta legale da parte della banca centrale “indipendente”. Questa emette due tipi di moneta: la moneta di riserva per i pagamenti tra le banche accreditate presso la banca centrale stessa e con la quale si saldano definitivamente le transazioni commerciali; e le banconote, che in teoria sono moneta pubblica ma che, essendo distribuite al pubblico solo dalle banche commerciali, sono in realtà una forma di moneta bancaria (bisogna infatti avere un conto corrente per avere banconote di prima emissione). Senza la moneta legale di banca centrale garantita dallo Stato non sarebbe possibile la creazione della moneta bancaria da parte dei privati.
In tutto questo processo oscuro e complicato di emissione e distribuzione della moneta la società, le imprese produttive, i cittadini e la democrazia restano comunque completamente tagliati fuori. Per svoltare verso uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile occorre dunque innanzitutto introdurre la partecipazione nel sistema e democratizzare le banche centrali. La democrazia deve finalmente entrare anche nel campo strategico degli istituti centrali e delle politiche monetarie. Le associazioni dei lavoratori, degli imprenditori, dei consumatori e della società civile dovrebbero governare le banche centrali perché il sistema monetario è un bene pubblico che riguarda tutti. La moneta, le banche e la finanza sono troppo importanti perché siano gestite solo dai banchieri e dai tecnocrati. La moneta deve diventare finalmente democratica e pubblica, nell’interesse di tutta la società.
Il problema consiste anche nel fatto che quasi sempre le banche centrali, come la Banca d’Italia, nonostante la loro fondamentale importanza per la società, non sono neppure previste dalle Costituzioni nazionali. Hanno un potere enorme ma extra-costituzionale. Per esempio la Costituzione degli Stati Uniti prevede che solo il Congresso abbia il potere di coniare denaro e determinarne il valore. Anche la Costituzione italiana non prevede la banca centrale mentre prevede genericamente che «lo Stato ha legislazione esclusiva sulla moneta» anche se «nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali» (art. 117).
In generale le Costituzioni affidano la potestà sulla moneta allo Stato e non alle banche centrali, e quindi le banche centrali appaiono sul piano giuridico come un “agente dello Stato”, un’agenzia che opera per conto dello Stato. Tuttavia un’agenzia dello Stato può essere autonoma ma non può essere indipendente dallo Stato di cui è agente, a meno che questo non sia previsto dalla Costituzione (come avviene, ad esempio, per la magistratura e la Corte Costituzionale). L’indipendenza di un organo che non è neppure previsto dalla Costituzione e che non è eletto, che non è soggetto allo scrutinio popolare ma che ha il monopolio assoluto della moneta di Stato (la moneta legale) è, quindi, non solo opinabile ma abnorme, anti-democratica e minacciosa della sovranità popolare. Grazie al falso mito dell’indipendenza della banca centrale, il banchiere centrale ha acquisito un potere quasi monarchico. È un potere enorme che non quadra per nulla con il sistema liberale di check and balances che caratterizza, o dovrebbe caratterizzare, le moderne democrazie.
Da qui la proposta che la missione e i compiti delle banche centrali siano fissati dalle Costituzioni democratiche. Le Costituzioni dovrebbero prevedere la banca centrale come organo indipendente governato dalla società civile e dalle parti economiche in collaborazione con le istituzioni democratiche per gestire il bene comune della moneta.
È la prima parte di un testo la cui seconda parte sarà pubblicata nei prossimi giorni