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21/08/2023 di: Margherita (Rita) Corona
Si è svolto a Torino, nel giugno scorso, il Festival dell’economia (titolo: “Ripensare la globalizzazione”) che ha fatto seguito a quello dal titolo “Il Futuro del Futuro. Le sfide di un mondo nuovo” intervenuto la settimana precedente a Trento. Anche solo dai titoli si può vedere che negli interventi di Trento l’interesse è stato limitato alle possibili novità dell’economia nel solco delle pratiche già in atto, mentre nello slogan “Ripensare la globalizzazione” si affaccia la riflessione in corso tra alcuni attori dell’economia e della finanza mondiale di fronte ai problemi della globalizzazione, del degrado climatico-ambientale, delle criticità demografiche e sociali, superando, in base all’esperienza dei decenni scorsi, il concetto che “dalla somma dei guadagni dei singoli individui si ha una ricaduta positiva sulla vita di tutti”. Come spiega Domenico De Masi ne La felicità negata questa concezione dell’economia, che ha permeato il Novecento, ha portato a un mondo basato sulle diseguaglianze, l’ingiustizia sociale, lo sfruttamento del lavoro di molti per il guadagno di pochi che hanno sempre più concentrato nelle loro mani la ricchezza mondiale a discapito ovunque del bene comune.
È cosa nota che “metà della ricchezza del mondo appartiene all’1% superiore della piramide sociale, il top 30% detiene il 90,7 % della ricchezza totale” e dal 2020 il patrimonio di un miliardario è cresciuto di 1,7 miliardi di dollari rispetto ad ogni dollaro del 90% più povero, aumentando in media di 2,7 miliardi al giorno. Per contro per 1,7 miliardi di lavoratori l’inflazione supera l’incremento dei salari cosicché essi si impoveriscono sempre di più e un cittadino del mondo su 10, cioè 820 milioni di persone, soffre la fame; senza contare che l’ingiustizia fiscale affossa ancora di più la posizione dei più poveri: in USA si è calcolato che se i cittadini comuni fossero tassati come le multinazionali ogni famiglia non dovrebbe pagare più di 10 dollari l’anno; invece ci sono mezzo milione di senzatetto e 46,2 milioni di poveri, molti dei quali lavorano oltre 10 ore al giorno, ma non riescono a conseguire un salario minimo che assicuri loro una vita dignitosa. In Italia lo 0,134 % della popolazione ha patrimoni superiori ai 5 milioni, il 5% più ricco degli Italiani possiede il 42% della ricchezza nazionale con un aumento di circa 13 miliardi di dollari 8,8 %, mentre l’80 % dei più poveri raggiunge solo il 31,4 % del totale e la ricchezza in mano al 10 % più ricco è aumentata fino al 56% (https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2023/01/Report-OXFAM_La-disuguaglianza-non-conosce-crisi_final.pdf).
Alla parte più lungimirante della finanza e dell’imprenditoria anche internazionale, non sfugge il fatto che questo tipo di globalizzazione selvaggia, predatoria verso i beni della Natura, unito alla concentrazione esagerata dei capitali nelle mani di pochi, sta esaurendo le risorse del pianeta, portandoci dritti dritti verso la catastrofe climatico-ambientale e innesca inevitabilmente fenomeni di estrema disperazione e di conseguenti turbolenze sociali.
Se fino a qualche mese fa chi cercava far comprendere le disastrose conseguenze del riscaldamento globale veniva tacciato di essere un “assurdo catastrofista”, ora i pericoli della crisi climatica sono sotto gli occhi di tutti: riscaldamento degli oceani con alterazione delle correnti marine e scioglimento dei ghiacciai (quest’anno una superficie grande quanto l’Argentina è scomparsa dalla calotta polare) con grave diminuzione del pescato, mentre i ghiacciai montani (fonti di acqua dolce per la nostra sopravvivenza) si stanno riducendo sempre più velocemente. Inoltre l’alternanza di fenomeni climatici estremi sempre più numerosi, portatori di morte, causa in tutti i continenti, milioni di danni alle infrastrutture e all’agricoltura per inondazioni, frane, siccità prolungate, incendi, per non parlare della scomparsa di biodiversità e del rischio estinzione per migliaia di specie. Tutto ciò riduce la produzione di derrate alimentari, incrementa i problemi di fame nel mondo e innesca lo spostamento di milioni di persone dalle aree più povere e più colpite, in un esodo mondiale inarrestabile. Una vera e propria ingiustizia climatica globale, poiché gli abitanti di Africa, Asia, America Latina incidono sulla produzione di CO₂ molto meno dei paesi industrializzati, ma ne pagano più pesantemente le conseguenze. Attualmente si stima che siano fuggiti dalle comunità d’origine circa 30 milioni di persone, ma entro il 2050 gli sfollati ambientali potrebbero essere da 200 milioni a mezzo miliardo, e il fenomeno riguarda anche le aree del sud Italia a rischio desertificazione. Chi prendeva in giro le persone più lungimiranti e sensibili alla catastrofe ambientale, chiamandole “gretine” dovrebbe fare una grossa autocritica.
È a seguito di queste situazioni eclatanti che in un Festival dell’economia – a fianco degli argomenti tradizionali, perlopiù legati in modo specifico ai temi cardine dell’economia e della finanza – hanno fatto capolino le parole mutualità, etica, ecologia, futuro ed economia sostenibile, arrivando ai concetti di bilancio sociale e di sostenibilità ambientale, attenti all’impatto energetico-ambientale e alla salute e al trattamento dei suoi lavoratori, come strumento dinamico di creazione di valore. Non a caso tra i relatori sono stati invitati anche personaggi dell’ambientalismo della giustizia sociale (quali David Card, Carlo Carraro, Silvana Dalmazzone, Marianna Filandri, Luca Mercalli, Nicolas Schmit ecc.).
Gli obiettivi dell’Agenda ONU – 17 gol da raggiungere entro il 2030 per un Pianeta più equo e rispettoso della Natura – cominciano forse ad essere recepiti anche in ambito economico finanziario e il bilancio delle aziende dovrà comprendere e rispettare anche canoni di equità sociale e di giustizia ambientale.