Giorgia Meloni, le tasse e il pizzo di Stato

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«La lotta all’evasione fiscale si fa dove sta davvero l’evasione fiscale: big company, banche, frodi sull’Iva, non il piccolo commerciante al quale vai a chiedere il pizzo di Stato». Sono le incredibili parole pronunciate il 26 maggio a Catania dalla Presidente del consiglio dei ministri. Che il principale responsabile del Governo paragoni il sistema tributario all’estorsione mafiosa è un fatto gravissimo. Che lo faccia a Catania, dove il pizzo mafioso purtroppo è storicamente assai noto, è particolarmente deplorevole.

Parole incredibili, perché l’Italia è il Paese europeo con la più alta evasione fiscale pro-capite: 3.147 euro (dati Eurostat). In particolare, la propensione all’evasione dell’imposta sui redditi da lavoro autonomo e impresa è del 68,3% (fonte: Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, 2022). Di fronte a questi dati ci si attenderebbe maggiore senso di responsabilità da chi rappresenta le istituzioni. Frasi incostituzionali, poiché l’art. 53 della Costituzione stabilisce che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche», piccoli commercianti compresi. E l’art. 54 aggiunge che «tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi», a maggior ragione se ricoprono funzioni pubbliche come la Presidenza del consiglio dei ministri.

Ovviamente “il pizzo di Stato” non è passato inosservato e le polemiche non sono mancate. Di conseguenza Giorgia Meloni, in una intervista rilasciata il 2 giugno, ha cercato di correggere il tiro, sostenendo di essere stata fraintesa. «Quello che ho detto – ha precisato – non riguarda una parte della imposizione fiscale. Dovete approfondire meglio. Io parlavo di quando lo Stato, invece di fare lotta all’evasione fiscale, fa caccia al gettito. Voi capite che è curioso perché dopo si devono fare quegli importi a tutti i costi, altrimenti non si hanno i soldi per coprire i provvedimenti. E si fanno cose bizzarre che sono più simili alla caccia al gettito che alla lotta all’evasione fiscale. Questo secondo me non è giusto».

Anzitutto la data dell’intervista risulta inopportuna: nella ricorrenza della Repubblica sarebbe stato più confacente ribadire che la legalità e la giustizia non sono optional, ma si fondano sul «dovere inderogabile di solidarietà economica, politica e sociale» (art. 3 Costituzione). In secondo luogo, se il Governo ritiene che lo Stato stia realizzano attività fiscali errate, sarebbe suo compito intervenire e correggere. Invece, secondo Giorgia Meloni “si fanno cose bizzarre”. Ma chi è il soggetto e di chi è la responsabilità?

Non solo: se le imposte non sono sufficienti per coprire le spese dei provvedimenti che sono stati decisi (e di conseguenza si apre la caccia al gettito), ci sono due possibilità: o le imposte previste sono inferiori alle necessità, oppure le promesse fatte agli elettori sono eccessive. O entrambe le cose. In ogni caso la Presidente del consiglio dei ministri dovrebbe spiegare qual è la differenza tra la lotta all’evasione fiscale (che sarebbe legittima) e la caccia al gettito (che sarebbe ingiusta). In realtà, non c’è bisogno di cercare di spiegare il senso di alcune frasi, perché è chiarissimo: chiunque capisce che osteggiare la caccia al gettito è fare l’occhiolino agli evasori fiscali. Ed è intollerabile che ciò accada soprattutto da parte di chi ha giurato sulla Costituzione e che lo faccia senza vergognarsi.

In direzione totalmente opposta è opportuno ricordare le parole pronunciate nel 2006 dall’allora Ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa: «A chi dice che mettiamo le mani nelle tasche dei cittadini, rispondo che sono gli evasori ad aver messo le mani nelle tasche dello Stato e dei cittadini onesti. Violando così non solo il VII comandamento, ma anche un principio base della convivenza civile». Papa Francesco, ricevendo in udienza lo scorso anno una delegazione dell’Agenzia delle Entrate, ha detto: «La legalità in campo fiscale è un modo per equilibrare i rapporti sociali, sottraendo forze alla corruzione, alle ingiustizie e alle sperequazioni. […] La tassazione è segno di legalità e di giustizia. Deve favorire la redistribuzione delle ricchezze, tutelando la dignità dei poveri e degli ultimi che rischiano sempre di finire schiacciati dai potenti».

In un Paese normale chi presiede il Governo non avrebbe potuto pronunciare quelle parole, perché in un Paese civile sarebbe stato costretto a dimettersi. Ma Pier Paolo Pasolini ci aveva avvertito dei difetti di questo nostro Paese: «I suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale».

Gli autori

Rocco Artifoni

Rocco Artifoni è presidente nazionale dell’Associazione per la riduzione del debito pubblico (ARDeP), referente per la Lombardia dell’Associazione Art. 53, responsabile comunicazione del Coordinamento provinciale di Bergamo di Libera e del Comitato bergamasco per la difesa della Costituzione.

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