Ciascuno di noi, fin dai primi mesi del 2020, si è interrogato sui possibili effetti disastrosi che la pandemia da COVID-19 avrebbe avuto a livello nazionale e globale in termini di aumento della povertà e delle diseguaglianze. Per provare a rispondere a questa domanda, l’organizzazione OXFAM, da sempre impegnata nella lotta alla povertà, ha recentemente pubblicato un report dal titolo emblematico La pandemia della diseguaglianza (https://volerelaluna.it/materiali/2022/01/21/la-pandemia-della-disuguaglianza/). Come facile intuire, il quadro che viene fuori da quelle pagine è piuttosto drammatico. Sorretto da una grande mole di dati empirici e di statistiche raccolte nel corso di questi anni, il rapporto dell’organizzazione internazionale mette in evidenza un aspetto già tristemente noto: la pandemia ha acuito in maniera netta il poderoso divario presente tra le fasce della popolazione ricche e quelle povere, facendo correre in maniera incontrollata il «virus della diseguaglianza».
Poche percentuali bastano a chiarire la situazione. A livello internazionale, come indicato dalla rivista americana Forbes, «si osserva come il patrimonio netto dei 10 miliardari più ricchi sia più che raddoppiato (+119%), in termini reali, dall’inizio della pandemia», con la conseguenza che solamente il surplus patrimoniale dell’imprenditore fondatore di Amazon Jeff Bezos (fissato nei primi 21 mesi della pandemia a +81,5 miliardi di dollari) equivarrebbe «al costo completo della vaccinazione (due dosi e booster) per l’intera popolazione mondiale con il costo di dose fissato al costo di produzione del vaccino a mRNA di Pfizer» (p. 4). Per quanto riguarda il nostro paese, nei 21 mesi che separano marzo 2020 e novembre 2021, il numero dei miliardari italiani sarebbe passato da 36 a 49, con un «incremento in valori reali del 56% dal primo mese della pandemia» (p. 15). Ma i dati che sconvolgono maggiormente sono, come al solito, quelli inerenti la distribuzione della ricchezza nazionale netta. Alla fine del 2020, mentre «il 20 % più ricco degli italiani» deteneva «oltre i 2/3 della ricchezza nazionale», il 60% della classe più povera si spartiva circa il 14,3% di tale ricchezza. Ancora, «confrontando il vertice della piramide della ricchezza con i decili più poveri della popolazione italiana» si osserva come, nello stesso periodo, «la ricchezza del 5% più ricco degli italiani (titolari del 40,4% della ricchezza nazionale netta) era superiore allo stock di ricchezza detenuta dall’80% più povero dei nostri connazionali (32,4%)» (p. 14).
A meritare maggior attenzione è poi il capitolo dedicato al tema delle diseguaglianze «nell’accesso alle cure». Come dimostrato da diverse analisi, vi sarebbe uno stretto legame tra il tasso di mortalità per COVID-19 e il problema delle diseguaglianze economiche in termini di reddito. Secondo i dati forniti dal rapporto, minoranze etniche, persone con bassa scolarizzazione e più in generale soggetti economicamente fragili, risultano le categorie colpite più duramente dalla pandemia, accrescendo la possibilità di ammalarsi gravemente e di morire in seguito a un contagio. Al problema dell’accesso alle cure durante la pandemia è poi direttamente collegato quello sulla disponibilità dei vaccini. Come denunciato da OXFAM, «anche se sono disponibili vaccini sicuri ed efficaci, oltre l’80% delle dosi è stato utilizzato dai Paesi del G20, mentre l’1% ha raggiunto i paesi a basso reddito» (p. 11). Se da un lato parte del problema è costituito dall’atteggiamento delle grandi case farmaceutiche produttrici del vaccino, «che fanno pagare fino a 24 volte il costo di produzione stimato per una dose», dall’altro «alcuni Governi dei paesi ricchi stanno attivamente consentendo questa diseguaglianza estrema nell’accesso ai vaccini bloccando gli sforzi […] per derogare alle norme sulla proprietà intellettuale sui vaccini e sui trattamenti contro il COVID-19» (p. 11). È bene ricordare infatti, che la proposta avanzata da Sud Africa ed India al WTO e sottoscritta da 160 paesi per sospendere temporaneamente le normative sulla proprietà intellettuale di vaccini e farmaci, è stata più volte rigettata dall’Unione Europea, che adesso sembra comportarsi alla stessa maniera anche per quanto riguarda la diffusione di farmaci e medicinali in grado di ridurre tassi di mortalità e ospedalizzazione da COVID-19 (https://altreconomia.it/brevetti-e-pillole-amare-lue-continua-a-difendere-big-pharma-non-solo-sui-vaccini/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=191NANS). A livello globale, il mancato riconoscimento delle dosi di vaccino a tutti i paesi che ne fanno richiesta costituisce, come sostenuto da Luigi Ciotti, a tutti gli effetti una vera e propria «dichiarazione di guerra» ai poveri di tutto il mondo. Sono queste le motivazioni che hanno spinto diverse organizzazioni italiane ed europee a sottoscrivere una ICE (Iniziativa dei cittadini europei), in cui si avanza alla Commissione europea una proposta legislativa divisa in quattro punti: 1) garanzia del diritto alla salute per tutti, superando i limiti imposti dalla normativa sui brevetti attualmente vigente per farmaci e vaccini; 2) completa trasparenza nella comunicazione dei dati inerenti «costi di produzioni», «contributi pubblici» e «contratti tra autorità pubbliche e aziende farmaceutiche»; 3) divieto per queste ultime di «privatizzare tecnologie sanitarie fondamentali che sono state sviluppate con risorse pubbliche»; 4) divieto di ogni forma di profitto sulla vendita dei prodotti essenziali per combattere la pandemia, attraverso «garanzie sulla disponibilità e su prezzi controllati e economici» (https://noprofitonpandemic.eu/it/le-nostre-richieste/).
Molti altri dati potrebbero essere forniti per evidenziare la situazione drammatica con cui conviviamo (ad esempio, quelli relativi al mercato del lavoro, con una ricaduta peggiore nelle donne rispetto agli uomini), eppure è possibile cominciare a riflettere già sulla base di quanto detto fino a questo momento. Come evidenziato nello stesso rapporto, il problema di fondo dietro le crescenti diseguaglianze risiede in primo luogo nel totale disinteresse del nostro attuale sistema economico ad affrontare e provare a risolvere il problema delle diseguaglianze e della povertà. I mesi (e adesso gli anni) di pandemia sono stati un ulteriore banco di prova per smentire gli assunti ideologici della ricetta economica neoliberista, primo fra tutti l’immagine promossa del mercato come di un’istituzione naturale guidata da leggi insindacabili, in grado di autoregolarsi e promuovere il benessere collettivo. Il neoliberismo, visto come «progetto politico per ristabilire le condizioni di accumulazione del capitale e ripristinare il potere delle élite economiche» (D. Harvey), ha mostrato al mondo la sua incapacità di rimanere in vita senza il sostegno attivo e costante del settore pubblico. In questo senso, come mostrato da Mauro Gallegati, «la raccomandazione di politica economica» dei neoliberisti risulta piuttosto semplice: «lasciar fare al mercato e che lo Stato si occupi dei più fragili […] delle recessioni e delle crisi, ossia quando il mercato non funziona – in Italia 28 volte dal 1861 a oggi, cioè poco meno di una ogni 6 anni» (M. Gallegati, Il mercato rende liberi e altre bugie del neoliberismo, LUISS University Press, 2021, p. 25).
Ponendosi come fine la tutela della concorrenza e della crescita costante e indefinita, il neoliberismo mostra il suo carattere intrinsecamente diseguale (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/11/15/la-decrescita-e-possibile-e-necessaria/). Come evidenziato da Marco d’Eramo nel suo ultimo volume, la nozione stessa di concorrenza fonda la propria ragion d’essere non nel principio di uguaglianza, bensì nel suo contrario, «poiché nella concorrenza – nella competizione – c’è un vincitore e un perdente (altrimenti che competizione sarebbe?)». Per questo motivo, «la concorrenza non solo è basata sulla diseguaglianza, ma la crea» (M. D’Eramo, Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi, Feltrinelli, 2020, p. 39).
In tal senso, essendo il capitalismo un sistema economico che si nutre delle tante diseguaglianze, risulta piuttosto difficile provare a immaginare scenari alternativi rimanendo all’interno di questa stessa cornice ideologica, cosicché anche l’intervento statale attraverso le politiche sociali – sacrosanto e di fondamentale importanza per fornire assistenza alle persone in difficoltà – finisce per legittimare questo modello, umanizzando e rendendo “sostenibile” un sistema economico e sociale basato sulla diseguaglianza tra gli individui e su una concezione del singolo come «proprietario» e «imprenditore» di sé stesso». A tutto questo possiamo aggiungere l’atteggiamento da un lato paternalistico e dall’altro di colpevolizzazione promosso indistintamente negli ultimi decenni dalle forze politiche di destra e di sinistra nei confronti della figura dei poveri, con l’unico obiettivo di governare e disciplinare i loro comportamenti, additandoli tal volta come soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica, tanto da giustificare un possibile loro allontanamento dai centri urbani, finanche istituendo il divieto di fare elemosina così come accaduto in alcuni comuni.
Di fronte all’esplosione delle diseguaglianze, della povertà e di una pandemia che, a detta di molti, non sarà l’unica con cui dovremo fare i conti in futuro, diventa necessario muoversi per provare a suggerire un’alternativa capace di fornire nel presente, nel qui ed ora, un modello di vita basato sul riconoscimento dell’uguaglianza come principio politico essenziale, dal quale prendono forma tutti i restanti valori politici (Ferrajoli); sulla garanzia di una società costruita a partire dal basso, attraverso un modello democratico che miri al rafforzamento, e non all’indebolimento, degli organi collegiali rappresentativi, invertendo una volta per tutte quel processo di verticalizzazione del potere e decisionismo che ben si sposa con un sistema economico profondamente diseguale e ingiusto (https://volerelaluna.it/che-fare/2021/12/16/ricostruire-il-conflitto-attorno-alleguaglianza/ ).