Alcune questioni politiche connesse alla formazione del debito

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Il documento sulla crisi finanziaria del Comune di Torino, la cui redazione è stata possibile grazie all’interessamento di Eleonora Artesio, consigliera per “Torino in comune” e al grande lavoro di analisi dei dati di Ettore Choc, è sicuramente un’eccezione nella pubblicistica di sinistra del nostro Paese.

Eppure il tema del debito come vincolo all’iniziativa politica è stato sempre presente negli ultimi anni nel dibattito politico e sindacale, così come la critica alla linea ordoliberista della Germania, egemone nell’Unione Europea, che ha imposto il pareggio di bilancio come norma addirittura costituzionale. E tuttavia la sinistra è macroeconomica per vocazione o forse per residuo retaggio della pianificazione socialista; analizzare un bilancio di un’amministrazione pubblica nelle sue minute articolazioni e capirne le dinamiche è considerato, quindi, un esercizio ragionieristico di scarso livello politico. Forse anche per questo il compito di gestire un bilancio pubblico locale viene quasi sempre affidato a figure tecniche – dottori commercialisti progressisti o presunti manager liberaldemocratici – quasi che le loro scelte gestionali non abbiano connotati politici e di classe.

Occorre, però, chiedersi se combattere le cause che hanno prodotto il debito di un’amministrazione pubblica sia una posizione politica di destra. Per rispondere basta capire chi si è avvantaggiato dall’esistenza del debito e dalla sua crescita. La risposta è fin troppo ovvia: è il potere finanziario – il finanzcapitalismo denunciato da Luciano Gallino – a trarre vantaggio dal debito pubblico. Inoltre si tratta di capire chi è più fortemente danneggiato dall’esistenza del debito e dai vincoli che esso impone al bilancio dell’amministrazione pubblica. Anche in questo caso la risposta è scontata: sono i ceti popolari quelli che maggiormente risentono della riduzione dei servizi pubblici determinata dall’esistenza del debito.

Il lettore che, armatosi di un po’ di pazienza, proverà a leggere le argomentazioni del documento troverà anche alcune questioni politiche rilevanti connesse alla formazione del debito.

La prima, già accennata, è il ruolo esorbitante del potere finanziario nel decidere il proprio guadagno sul debito dell’ente locale in modo autonomo e fuori da ogni riferimento di mercato, stabilendo anche motu proprio il livello di affidabilità e solvibilità (il cosiddetto rating) del debitore pubblico. Ma c’è di più. In una città come Torino, il cui bilancio è fortemente compromesso dal debito, le politiche sociali sono finanziate, ma anche decise e in buona parte gestite dalle fondazioni bancarie: gli istituti di credito che fanno capo a queste fondazioni, però, lucrano considerevolmente sul debito della Città ben oltre le loro generose elargizioni e, comunque, non sono state scelte dai cittadini per decidere e gestire i servizi sociali del Comune.

Una seconda questione è la ridotta capacità di riscossione delle tasse e dei tributi locali: quello della fiscalità è un tema nazionale, ma anche locale. L’iniquità (almeno in alcuni casi) e l’inefficienza della riscossione fiscale sono due facce della stessa medaglia: il mancato introito non solo riduce la capacità del Comune di erogare servizi, ma accresce il debito, che, a sua volta, limita la capacità di spesa in una crescente spirale negativa.

Una terza questione riguarda il sistema politico ed elettorale degli enti locali dopo le modifiche in senso maggioritario degli anni Novanta. La figura quasi monocratica del sindaco/a si caratterizza come l’uomo/la donna del fare che deve dimostrare la capacità di realizzazione del programma elettorale scavalcando il dibattito in consiglio comunale ed eludendo ogni confronto critico nel merito delle scelte amministrative. Il sistema del ballottaggio per l’elezione del primo cittadino, che può decidersi anche solo per una manciata di voti, aumenta il peso politico delle minoranze sociali forti che possono incidere sul bilancio dell’Ente favorendo la crescita del debito. L’eccessiva vicinanza dei dirigenti tecnici comunali ai politici, anche a causa di metodi come lo spoiling system, determina un mancato controllo di merito tecnico sulle scelte amministrative degli assessori e del sindaco. Infine lo svuotamento di ruolo del Consiglio comunale, che non dibatte più sul grosso delle delibere della Giunta, non solo riduce il controllo politico sulla gestione dell’Ente, come si è già detto, ma impedisce anche la formazione dei consiglieri d’opposizione che finiscono per non conoscere quasi nulla dei meccanismi di funzionamento della macchina comunale.

Questi ultimi elementi rimandano a una quarta rilevante questione politica: quella del controllo sulla gestione politica e amministrativa del Comune. Dall’analisi della situazione finanziaria della Città di Torino risulta evidente come non basta il controllo istituzionale attraverso i revisori dei conti e la Corte dei Conti, che operano a valle delle scelte del sindaco e della giunta. Occorre ripristinare un controllo politico da parte del consiglio comunale e delle sue articolazioni, che non è più operativo dopo l’instaurazione del sistema maggioritario. Ma soprattutto bisogna avviare la costruzione di un controllo sociale da parte dei cittadini: per far questo è necessario portare il tema del bilancio e del debito nei territori per costruire una maggiore coscienza politica tra le classi popolari e per costruire un progetto di contrasto al debito.

Il documento presentato vuole essere un primo contributo in questa direzione.

Gli autori

Riccardo Barbero

Riccardo Barbero ha militato in diverse organizzazioni politiche e sindacali della sinistra. Attualmente pensionato anche dal punto di vista politico. Collabora con i siti workingclass.it e volerelaluna.it

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