Il ministro Sangiuliano, Venezia, la patria

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Il 15 settembre il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha celebrato con un twitt l’esclusione di Venezia dai siti dell’Unesco in pericolo per le condizioni del loro patrimonio. Il tono e il contenuto del messaggio sono eloquenti e meritano una riflessione almeno da parte di chi dedica i suoi studi storico artistici e di patrimonio a Venezia e che, malgrado tutto, continua a pensare che esista la possibilità di un vivere civile (anche) in Italia.

Sangiuliano parla di una vittoria di tutta l’Italia e di una sconfitta per quelli che «pur di fare polemica si schierano contro la loro Patria». In questa breve frase risiede la differenza colossale e inconciliabile tra il ministro e molti cittadini italiani. Sangiuliano identifica la patria con una serie di valori legati alla territorialità, all’appartenenza, alla nazione, insomma con i valori eroici di una identità che appartiene, legittimamente, a un modello ottocentesco di nazione. Un modello rispetto al quale, secondo il ministro, essere critici equivale a un tradimento della Patria che merita, ovviamente, l’esposizione al pubblico ludibrio. In un certo senso, lascia intendere Sangiuliano, tutti quelli che non la pensano come lui e non accettano supinamente il suo modello monolitico di Stato-Nazione-Patria, non meritano di essere italiani, perché non sono buoni patrioti.

Caro ministro, mi iscriva nella lista. Se essere patrioti è aderire a un modello uniformato o coprire i problemi con la bandiera, Le annuncio che in Italia (e fuori) in molti – immagino con suo enorme disgusto – non ci consideriamo patrioti. Siamo cittadini, ripeto cittadini. Orgogliosamente cittadini. Le spiego, gentilissimo ministro: la Patria, per una parte del “popolo italiano”, non è una bandiera o un inno da stadio, ma un insieme di valori e contenuti che vengono incarnati, per esempio, nella Costituzione (sulla quale, le ricordo, Lei ha giurato: per questo ha l’obbligo di tutelare e valorizzare il patrimonio, compresi Venezia o il Panteon, e non di usarlo o venderlo). Il modello di Patria al quale mi riferisco può essere riconosciuto nell’eredità di alcuni personaggi, sicuramente diversi da Lei, che, parafrasando Giorgio Amendola (un grande italiano, come direbbe Lei), hanno fatto “una scelta di vita”. Mi permetto di citarle brevemente alcuni esempi: don Milani e il valore dell’educazione, Piero Calamandrei e l’idea dei diritti civili, Enrico Berlinguer che, oltre a essere esempio per l’austerità nei comportamenti pubblici e privati, ha espresso un punto di non ritorno nell’elaborazione di una critica marxista al modello del capitalismo e, allo stesso tempo, ha realizzato uno dei momenti più alti del dialogo e della comprensione politica in Italia e in Europa.

Lei mi potrà rispondere che sono tutti “grandi Italiani”, che fanno grande la Patria e quindi, bisogna essere patrioti. Tutti, senza se e senza ma. Però, ministro, il problema è che, quando ci si identifica anche con i valori europeisti di Altiero Spinelli, di Simon Veil o di Olaf Palme, o, più vicino ai giorni nostri, con il modello di consolidamento dei diritti civili per tutti i cittadini rappresentato da José L. Rodríguez Zapatero, si arriva a pensare che una patria sia poco e che occorra liberarsi di quel che rimane dei legacci nazionalisti dell’Ottocento che tanto le piacciono. Faccia caso: quella “P” di Patria diventa minuscola e apre le porte al provincialismo e all’autoreferenzialità.

Forse sarebbe il caso che il ministro della Cultura della Repubblica evitasse di insultare chi non la pensa come lui e, con rigore, si ponesse il problema, tutto culturale, di iniziare a lavorare per un altro modello, al centro del quale non ci siano i proclami e le bandiere, ma i diritti per i cittadini e le cittadine, tutti e tutte. Un modello che abbandoni quella patria con la “p” minuscola e promuova le Patrie condivise dei valori sociali, civili e politici, dove la critica non sia considerata alto tradimento e gli unici confini possibili siano quelli della tolleranza e dell’intelligenza.

Ci faccia caso signor ministro, e inizi a riflettere su un fatto oggettivo e incontrovertibile: difendere Venezia non significa mandarla in Russia con le scarpe di cartone solo perché noi italiani siamo brava gente…

Gli autori

Matteo Mancini

Matteo Mancini è professore di storia dell'arte presso l'Università Complutense di Madrid

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One Comment on “Il ministro Sangiuliano, Venezia, la patria”

  1. Sono circa tre mesi che ho un profondo disagio quando accendo la televisione.
    Mi sembra che ci porge sistematicamente una realtà che non esiste,manipolata da persone improponibili.
    Anche precedentemente non brillava, ma ora siamo a livelli non sopportabili.
    Personalmente questa estate,ho deciso di dedicarmi di più alla lettura e la televisione che ho al mare, appena ricomprata , perché si è ribellata a tanto trasmettere, morendo di botto ,è stata quasi sempre spenta.
    Le permettevo solo di trasmettere le notizie del meteo.
    Tornata a Roma ho provato a vedere se la mia TV di Roma era ancor viva .
    Sarebbe stato meglio che non lo facessi.
    Questi figuri che escono dall’ ombra del passato sono inascoltabili.
    Ma che si può fare.
    Solo scegliendo di votare con giudizio e cercando di parlare con le persone possiamo scacciarli .
    Sono i giovani ,e anche gli adulti ,che si devono impegnare.
    Io non sono né tra gli uni, né tra gli altri ,ma non mi voglio tirare indietro e non mi stancherò mai di difendere i valori della nostra Costituzione.
    Per questo continuo a leggere e, se posso , a contraddire chiunque mi proponga falsi valori.
    Sono molto arrabbiata.
    E andrò a votare contro l’ ignoranza ,la mancanza di solidarietà, l’ insensibilità e la sfrontatezza dei personaggi che ci tocca vedere e sentire.
    Questi sono i mostri della nostra epoca,ma vanno messi da parte con intelligenza.

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