L’arte contemporanea, tra dialogo e interferenza con la realtà che la ispira, è capace di ironie, ridicolizzazioni, provocazioni, denunce. Lo fa attraverso gli strumenti, le tecniche e le tecnologie che ha a disposizione e con cui ci invita a sconfiggere la pigrizia intellettuale, la rassegnazione, l’indifferenza.
Ne è una dimostrazione lampante la mostra in corso presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino “Air Pressure (A diary of the sky)”. Si tratta di un’installazione audio e video che prosegue la ricerca, sulla dimensione politica del suono, di Lawrence Abu Hamdan. L’artista è il terzo assegnatario della Future Fields Commission in Time-Based Media, un’iniziativa congiunta di Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e del Philadelphia Museum of Art a sostegno della creazione di opere innovative nei campi di videoarte, cinema, performance, sound e arte digitale. La ricerca dell’artista giordano procede con l’obiettivo di raccontare storie nascoste attraverso un linguaggio estetico che nella pratica artistica svela una realtà altrimenti imperscrutabile denunciandone tutta la violenza. Al centro della sua attenzione, in questo caso, l’insostenibile paesaggio sonoro dei cieli del Libano. Abu Hamdan ne ha fatto una mappatura che nasce da una quantità sterminata di informazioni, dati, immagini e suoni di natura digitale ottenuti attraverso uno specifico hagstag sul tema della “guerra in atmosfera”, in cui sono confluiti materiali prodotti collettivamente in varie località libanesi con l’utilizzo dei cellulari.
L’arte come strumento di verità si manifesta nel momento in cui il materiale assemblato, una sorta di ecologia del suono, diviene prova testimoniale delle continue violazioni, da parte dell’aviazione israeliana, degli accordi stabiliti con a Risoluzione ONU 1701 del 2006 che pose fine al conflitto militare tra Israele e Libano. Siamo di fronte a quella che l’artista definisce “violenza atmosferica”, una condizione di onnipresente e intenso inquinamento acustico che influenza la vita del popolo libanese. Il cielo, quotidianamente invaso da voli militari, aerei civili, droni non autorizzati delle forze di difesa israeliane, è di fatto occupato permanentemente, sia pure in maniera effimera, con conseguenze fisicamente e psicologicamente aggressive a causa di una costante pressione dall’alto. Una situazione che dimostra come l’intelligenza creativa applicata alla tecnologia possa trasformarsi in crudeltà devastante. In Libano è stata messa a punto una raffinata forma di tortura collettiva. Tortura messa al bando dalla società umana che tuttavia può continuare a essere praticata nelle forme più palesi quanto in quelle più subdole.
Abu Hamdan ha svolto, con rigore, lunghe indagini raccogliendo e analizzando testimonianze, registrazioni e documenti d’archivio per denunciare crimini e ingiustizie che colpiscono i singoli e le comunità e di cui ci mostra le prove. Grazie ai documenti depositati all’ONU che sanciscono le violazioni dell’accordo di pace è riuscito a documentare e mappare l’intero corso storico del fenomeno, rappresentato da oltre 22.111 voli non autorizzati di jet, caccia, droni e altri velivoli senza pilota che negli ultimi 15 anni sono stati protagonisti di una vera e propria guerra sonora, che l’artista chiama “una bomba lunga” che non arriva mai ma che, con la sua costante minaccia, innesca una forza distruttiva con effetti, dimostrati a livello scientifico, sui valori del cortisolo, della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, con conseguenti ispessimenti delle pareti delle arterie e un aumento dei depositi di calcio nel sangue.
L’installazione, a cura di Irene Calderoni Amanda Sroka, si concentra sul periodo tra maggio 2020 e maggio 2021. Se vi accomodate in sala davanti allo schermo cucito di tessuto cerato – per riecheggiare una memoria sonora evocata nel video, la testimonianza di una sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale che paragona il suono del passaggio dei voli militari allo strappo violento di un tessuto, come se il cielo stesso si aprisse, lacerandosi – non vi rialzerete indifferenti e l’eco di quel rumore di fondo che in Libano si vive ogni giorno non vi abbandonerà facilmente.
Un’occasione di arte contemporanea e al contempo di giornalismo civile partecipato, che rende evidente il concetto di “violenza atmosferica” in cui l’utilizzo del rumore diviene strumento di oppressione, alienazione, condizionamento e controllo. Che, se vorrete, potrete approfondire all’ingresso della sala con la possibilità di accesso al sito airpressure.info, un database interattivo che include sia i documenti depositati presso l’ONU che le testimonianze sull’avvistamento dei voli.