Il sociologo delle religioni Renzo Guolo (Università di Padova), noto per i suoi lavori su temi legati a estremismo religioso e politica e sull’Islam in Europa, scrive un’opera sorprendente e piena di passione che narra una vicenda poco conosciuta: la nascita e l’istituzionalizzazione dell’etnologia in Francia, destinata nel tempo a soppiantare l’antropologia.
Il testo (I ferventi. Gli etnologi francesi tra esperienza interiore e storia (1925-1945), Mondadori, Milano 2021) raccoglie le tortuose vicende biografiche degli animatori di una disciplina che nell’arco di venti anni passa dall’età del Jazz e del Surrealismo alle guerre mondiali e ai campi di sterminio.
Il lavoro, che è godibile anche per chi non ha mai letto una sola riga di sociologia o di antropologia, ricostruisce l’effervescente clima culturale dell’epoca e aiuta a comprendere come si afferma una nuova disciplina. L’importanza della “politica della scienza” e la forza degli accademici nell’accogliere o emarginare interi filoni di studi emerge con chiarezza.
Proprio la capacità di destreggiarsi tra le insidie del mondo accademico e di liberarsi dallo sguardo sospettoso della filosofia del tempo consentì al tenace Marcel Mauss (animatore dell’Istituto di Etnologia) e a Paul Rivet (pilastro del Museo di Etnografia) di vincere la loro battaglia e di caratterizzare, secondo la loro visione, l’antropologia francese che nasceva da istituti che non erano parte a pieno titolo del mondo universitario. Il loro obiettivo era di superare l’approccio teorico e filosofico dominante, per favorire la ricerca sul campo.
Mauss si distaccò progressivamente dai sociologi seguaci di Émile Durkheim (suo zio), ancora troppo legati alla matrice filosofica. Paul Rivet, che era medico di formazione, si dedicò agli studi etnografici dopo un viaggio in Sudamerica, che lo indusse ad allontanarsi dall’antropologia del tempo, di stampo coloniale e puramente basata su temi come la craniometria e la catalogazione delle razze. Lo stesso Mauss era convinto che i sociologi non dovessero fornire spiegazioni di ordine generale, ma analizzare i singoli fatti, producendo conoscenza su temi precisi. Questi approcci si opponevano ai filoni neospiritualisti dominanti tra i docenti universitari dell’epoca. Mauss fondò nel 1924 l’Istituto francese di Sociologia proprio per sottrarre i suoi esponenti alle influenze dei filosofi e per legarli maggiormente all’Istituto di Etnologia.
I due “contenitori” creati da Mauss e Rivet consentirono loro di eludere le ortodossie accademiche e di promuovere ricerche sul campo che produssero una enorme raccolta di reperti nei luoghi di studio, un’altra pratica non in linea con l’antropologia del tempo.
Il legame tra etnologia e museo che connota l’esperienza francese è, scrive Guolo, un caso unico nel panorama dell’antropologia di quegli anni. I filosofi, che dominavano il campo accademico, consideravano la sociologia una sorella minore della filosofia e l’etnologia una sorella minore della sociologia. La disciplina era poi messa in discussione nei suoi canoni metodologici da chi come Michel Leiris (autore su cui Guolo sta per pubblicare una nuova monografia), con il suo “Africa fantasma”, riteneva l’esperienza sul campo iniziatica e non didattica. Leiris era prima di tutto uno scrittore e solo di risulta un antropologo. L’impatto dell’arrivo degli studi sul terreno produsse sconvolgimenti interni alle discipline accademiche, che esulano dalle questioni legate al metodo.
Nel testo si raccontano le vicende degli africanisti, come Leiris e Marcel Griaule, nonché di studiose, come Deborah Lifchitz e Denis Paulme, impegnate più di altri a eliminare ogni riferimento soggettivo per evitare qualsiasi marcatore di genere in un ambiente scientifico prettamente maschile.
Rilevante la vicenda personale di Germaine Tillon che dagli studi sui berberi passerà alla resistenza e, poi, al campo di sterminio di Ravensbrück, dove perderà la madre.
La fine del regime di Vichy e della guerra mondiale restituiranno a molti di questi protagonisti quanto avevano perduto a causa della guerra e delle loro origini ebraiche, come nel caso di Mauss, che si salvò per il credito che aveva raggiunto anche presso gli antropologi tedeschi e grazie all’aiuto ricevuto in Francia da coloro che gli erano rimasti amici, nonostante i pericoli. Paul Rivet, militante socialista polemico e molto esposto nel dibattito pubblico per via dei suoi attacchi a Petain, partì per la Colombia poco prima che la Gestapo riuscisse ad arrestarlo.
Il testo di Guolo, pieno di partecipazione e passione per le vicende dei protagonisti, ci aiuta, in definitiva, a comprendere quanto il contesto storico e le vicende, a volte anche casuali e legate a singole esperienze biografiche, influenzino gli statuti scientifici e le scelte metodologiche e teoriche delle diverse discipline.