Il presente è l’epoca del naufragio, del baratro della barbarie davanti a noi: Gaetano Azzariti in Diritto o barbarie. Il costituzionalismo moderno al bivio (Laterza, Roma-Bari, 2021) ricerca le cause profonde del processo che ha frantumato la società e consegnato il mondo a poteri selvaggi. Non è un’analisi arresa: il libro è dedicato «alle anime inquiete», «a chi vuol cambiare il corso degli eventi», una dedica che è, insieme, l’ispirazione che muove l’Autore. Il realismo demistificante che connota l’indagine senza veli dello «sviluppo disumanizzato» dominante e delle sue cause si coniuga con la ricerca di una via per cambiare lo stato delle cose.
Trasversale è il metodo, che consente di scavare al fondo della crisi del presente, così come di immaginare un futuro possibile: è un metodo saldamente ancorato ad una concezione materialistica, alla storia come esito dell’azione di persone concrete, in una prospettiva dialettica imperniata sull’antagonismo tra le forze sociali, dove il soggetto della trasformazione è l’oppresso che lotta per la propria «degnità» (Vico). Il presupposto è che non vi è nulla di predeterminato e nessun automatismo bensì, sulla scia dell’interpretazione di Vico, una ciclicità non lineare, che può condurre al precipizio della barbarie così come ad arrestare il “ricorso”.
I tempi presenti sono segnati dal vuoto e dallo smarrimento: il popolo che «vaga ramingo» (p. 57), la Costituzione senza popolo, il diritto senza società.
La democrazia, pluralista e conflittuale, degrada in democrazia di investitura; la politica è «ridotta a voto» e «si è passati dal voto come strumento al voto come fine» (p. 69); i partiti si sono separati dalla società «sino a giungere ad una sostanziale autoreferenzialità del sistema politico» (p. 68).
La rappresentanza democratica, tesa alla partecipazione e alla legittimazione dei conflitti sociali, nella prospettiva per cui le istituzioni rappresentative sono luoghi di mediazione politica, «si chiude in sé stessa», livella la complessità, si riduce a tecnica di governo, «appare svuotata, incapace di narrare un futuro» (p. 78).
Il lavoro come strumento di dignità sociale e come «leva per il cambiamento e per l’inveramento dell’intero disegno costituzionale» (p. 36) ha ceduto il passo all’economia finanziaria, con un mutamento antropologico, con l’avvento dell’«uomo flessibile» (p. 37) e il ritorno dalla persona situata al soggetto astratto.
La Costituzione è piegata all’«opportunismo costituzionale», dominato «dalla volontà di facilitare le modalità di governare» (p. 45), da una semplificazione che appare «anticamera dei sistemi oligarchici» (p. 50), che produce un revisionismo costituzionale «patetico» e «pericoloso» (p. 46, n. 73): è ridotta a «legittimare il presente», mentre ad essa spetta «ordinare il futuro» (p. 103). Si registra «un sentimento diffuso di svalorizzazione», «una modalità di governo che definisce i propri indirizzi politici e programmatici senza la Costituzione, al più rendendo solo un omaggio formale, e in fondo ipocrita» (p. 98).
Il vuoto, tuttavia, non è neutro, ma segnato dal dilagare di «nuove sovranità» (p. 26), dall’ascesa del «potere del mercato: incontenibile e senza volto» (p. 23), dall’instaurazione di paradigmi differenti: la solidarietà è scomparsa, «all’eguaglianza si è sostituita la competizione», «la libertà è diventata illimitata, contrapponendosi alla libertà democratica» (p. 60). Una «modificazione strutturale profonda» ha inciso sul piano della coscienza sociale, «un veleno assunto dalla società civile per via omeopatica» ha indotto a sostituire i riferimenti della civiltà moderna, liberté, égalité, fraternité, con la razionalità dello scambio, della «regola primordiale del do ut des», di «rapporti sociali fondati sulle merci» (p. 61).
È un cambio di paradigma, con i suoi assi nella «sublimazione del mercato» e nella «sterilizzazione della politica» (p. 152): una rivoluzione passiva neoliberista che investe le democrazie statali, così come lo spazio europeo, ponendo fine al fragile sogno di un’Europa politica e sociale.
Dal fondo della crisi, tuttavia, si può risalire, evitando la caduta nella barbarie: la critica del presente e la comprensione dei processi dai quali esso deriva sono il primo passo per provare a cambiare.
L’«utopia concreta» (p. 106) che Gaetano Azzariti propone è ripartire dal costituzionalismo moderno, dai suoi tre principi fondativi, liberté, égalité, fraternité (p. 119): è il modello dell’homo dignus, che pone al centro (della società, della politica e del diritto) la persona, una persona intesa come homme situé, e la sua dignità.
La via della Costituzione, mescolando la spinta propulsiva della fantasia e la materialità delle trasformazioni sociali, appare come un futuro possibile; essa – può aggiungersi – traduce, in un dato contesto storico, il motore che anima la storia, l’eterno conflitto intorno all’uguaglianza.
Imprescindibile – Gaetano Azzariti lo evidenzia con forza ed è un fil rouge che attraversa tutto il volume – è però l’esistenza di «soggetti storici reali» e «consolidate forze politiche organizzate», «sostenuti da un consenso diffuso», ovvero «una vasta società attiva che si ponga come classe generale»» (p. 124): occorre un popolo «determinato e organizzato», una parte di popolazione consapevole di ciò che esso stessa rappresenta e portatore di un progetto di liberazione di sé e degli altri». Costruire un soggetto storico reale, che lotti dalla parte dell’emancipazione, dunque, come via per non precipitare nella barbarie e invertire la rotta.
Perché non mettete gli autori delle opera grafiche o pittoriche ?
Stimolante recensione ad un testo che cercherò prima o poi di leggere.
Personalmente, penso che la prevalenza (se non il dilagare)del diritto privato e di imprenditori che considerano sé stessi come come esseri pressoché divini quindi legibus soluti, abbiano aperto le porte appunto alla summenzionata barbarie.
I casi dei c.d. accordi di Pomigliano e per quanto riguarda Mirafiori del “referendum”, con minaccia neanche tanto velata di chiusura degli impianti nel caso che fosse stata rifiutata la “proposta” di una famosa azienda, hanno fatto scuola.
Purtroppo, la barbarie finisce per toccare quindi per travolgere anche i lavoratori, che assorbono l’ideologia di quello che una volta chiamavamo “padrone.” Credono, insomma, che gli interessi di costui si identifichino coi propri. Opportuno rileggere, al riguardo, il Marx dell’Ideologia tedesca”, ripreso in alcuni passi dal Gramsci dei “Quaderni del carcere.”
Già, ma oramai chi legge più Marx e Gramsci?
La barbarie risulta e risalta anche da questo: la riflessione critica sul capitalismo, condotta con gli strumenti della storia, della filosofia e dell’economia politica, è considerata cosa noiosa, superata o addirittura, inutile.