I 101 anni di Bruno Segre. La costanza della ragione

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Nella bella intervista raccolta da Maria Grazia Toma in occasione dei suoi 99 anni, Bruno Segre, a un certo punto, parla di Aldo Capitini come di una guida morale. A Capitini egli ha dedicato un esauriente ritratto in occasione della morte avvenuta il 19 ottobre 1968, pubblicato ne L’Incontro, firmato con lo pseudonimo “Sicor”[1]. La loro fraterna amicizia era sorta nel 1949 al tempo del processo al primo obiettore di coscienza Pietro Pinna. Da allora, Segre è diventato l’«avvocato degli obiettori di coscienza»; con le parole di Capitini: «un nobilissimo e generoso compagno» del Movimento nonviolento e degli obiettori di coscienza.

Il primo numero de L’Incontro, uscito nel settembre 1949, è largamente dedicato all’obiezione di coscienza. In prima pagina, con il titolo La parola a Pietro Pinna, viene pubblicata la dichiarazione di obiezione di coscienza del primo obiettore italiano, preceduta da una presa di posizione del giornale: «Pietro Pinna si sacrifica per tutti i giovani italiani. Il suo esempio indurrà il legislatore italiano a tener conto dei tempi nuovi con norme nuove. Pietro Pinna ha posto col suo gesto coraggioso un problema che va risolto. Gli uomini consapevoli debbono seguirlo in questa battaglia ideale in una fede per una fede di dignità e libertà». All’argomento è dedicata l’intera terza pagina che si apre con il titolo I cittadini del mondo salutano in Pietro Pinna il difensore della pace e della fraternità. Viene riferito l’interessamento di Garry Davis per l’obiettore di coscienza francese Jean-Bernard Moreau e sono offerte al lettore le opinioni in diversa misura contrarie di un magistrato cattolico, Giovanni Durando, e di monsignor Carlo Pettenuzzo, docente dell’Istituto internazionale Salesiano Don Bosco di Torino.

Le parole allora scritte per Capitini, con le dovute precisazioni e distinzioni, possono essere estese a Bruno Segre: «Con il suo sorriso mite ed arguto, Capitini era un esempio per noi tutti di serenità e di fede, quasi un sacerdote laico, coerente nel pensiero e nell’azione, solidale con i deboli, i malati e i morti, rivelatore di verità spirituali, amico dei perseguitati d’ogni terra. Per questo patrimonio ideale, di cui era portatore, per questa tensione morale, per il suo incitamento all’amore per tutti, Capitini rimane in noi come una parte della nostra stessa vita, come una speranza dell’Umanità di domani»[2].

Scorrendo le pagine de L’Incontro, ho scoperto che, in senso generale, abbiamo una sorta di ritratto di Bruno Segre scritto da Aldo Capitini. Nel settembre1968 L’Incontro, in occasione dei suoi primi vent’anni, pubblica una intera pagina, con un editoriale di Sicor, intitolato Un onesto lavoro, e con i saluti e le felicitazioni degli antifascisti, dei partigiani, dei mazziniani, dei giornalisti, dei mondialisti, dei pacifisti e degli obiettori di coscienza. Per i pacifisti interviene Capitini. Ebbene, le parole che egli usa per delineare l’attività de L’Incontro si prestano benissimo per illustrare la personalità del suo fondatore. Il giudizio di Capitini vale per i primi vent’anni ma anche per i successivi cinquanta: «L’Incontro è una raccolta preziosa di notizie e di bibliografie, indispensabile e da consultare per ogni lavoro di storia contemporanea»; inoltre, sul piano politico, il giornale, con i commenti dei suoi collaboratori e gli editoriali illuminati e illuminanti del suo direttore, offre ai lettori un «giudizio necessariamente severo» sulle «frequenti ricadute dell’incertezza democratica italiana»[3].

Insieme alla sua creatura prediletta, Segre ha attraversato un secolo con una “sicura navigazione”, essendo protagonista di un movimento di idee, affrontando e superando crisi e problemi, andando incontro a conferme e anche a delusioni, informando sul meglio avvenuto nelle lotte ideologiche e politiche, sospingendo instancabilmente verso «una prospettiva etico-pacifista», richiamandosi fedelmente allo spirito della Resistenza, a «quella rivoluzione intellettual-popolare che esigeva una nuova società e nuovi rapporti tra i popoli» (sono parole di Capitini)[4].

Tra i tanti articoli e interventi dedicati da Bruno Segre alla Resistenza ne ricordo uno, pubblicato a vent’anni dalla Liberazione, in cui delinea un programma di lavoro tuttora valido per l’avvenire. Il XXV aprile viene presentato non solo come una data di liberazione, ma anzitutto e soprattutto come “un atto di fiducia” e “una grande speranza”. L’importanza della Resistenza sta nell’aver dimostrato che «uomini di tutti i Partiti, purché uniti nella fede della giustizia e della libertà possono fraternamente collaborare per costruire un mondo senza carnefici e senza servi». In questo articolo Segre delinea un programma di lavoro in otto punti, che non sta alle nostre spalle ma davanti a noi: 1) difendere la democrazia; 2) rendere operanti i principi della Costituzione; 3) unire le forze antifasciste; 4) garantire i diritti e la libertà dei cittadini in ogni circostanza; 5) moralizzare la pubblica amministrazione; 6) promuovere lo sviluppo economico e sociale del Paese; 7) respingere ogni forma di razzismo e di discriminazione; 8) diffondere la cultura politica e l’antifascismo fra i giovani nelle scuole[5].

Nello scritto di Capitini, a cui dianzi ho fatto riferimento, s’incontra una parola che a mio avviso riassume la personalità del nostro grande amico. La parola è “costanza”. Capitini attribuisce a Bruno e a L’Incontro una costanza «tutt’altro che frequente». Di che cosa si tratta? Qual è la costanza di Bruno Segre? In realtà, si tratta effettivamente di una merce rara, che non si trova facilmente e non è a disposizione a buon mercato in tutti i negozi.

Ne ho parlato a lungo con lui in una conversazione avvenuta la mattina del 6 settembre 2018, quando, per i suoi primi cent’anni , sono andato a fargli visita nel suo ufficio di via della Consolata 11, al secondo piano, senza ascensore (uno dei segreti della sua longevità sono le scale piuttosto ripide per i gradini di un tempo, ben più alti di quelli delle case di oggi, che egli da 60 anni sale e scende più di una volta al giorno). L’ho trovato al tavolo di lavoro, righello e colla a portata di mano, intento a dare gli ultimi ritocchi al numero in preparazione de L’Incontro, il giornale da lui stesso rigorosamente costruito a mano in modo artigianale.

Abbiamo parlato degli aspetti privati della sua personalità, che in parte riferisco sulla base dei miei appunti. Mi ha confessato che non legge romanzi perché non ha tempo, ma che è innamorato della poesia coltivata con assiduità. Legge prevalentemente opere storiche, di critica letteraria, biografie, testimonianze. È un appassionato di cinema: negli anni Trenta il primo film sonoro che ha visto è Il cantante pazzo, il suo primo film a colori è stato Cyrano di Bergerac. Ha sempre frequentato i teatri ove si rappresentavano spettacoli di prosa e di musica (operette). Le sue passioni sono la filatelia e la numismatica. Ama gli animali: dall’8 settembre 1943 al 1951 ha avuto un piccolo cane tutto nero, Negretto, che gli faceva compagnia insieme a una bellissima gatta, Rory, anch’essa tutta nera.

Lo scopo della mia visita era domandargli se conosceva Vasco Pratolini e in particolare uno dei suoi libri per me più riusciti La costanza della ragione. Al nome di Pratolini si è illuminato. Egli ha visto il film tratto dal libro di Pratolini Cronache di poveri amanti, ma non ha letto La costanza della ragione, un libro di educazione morale alla ragione, eletta a sistema e teorema[6] (qualche settimana dopo gliene ho regalato una copia, dono che ha molto apprezzato). Tuttavia, si è riconosciuto nella bellissima formula del titolo di tale libro.

A mio avviso la costanza della ragione è il segno distintivo della vita e dell’opera di Bruno Segre. La sua stella polare è stata ed è la ragione intesa come «elemento di equilibrio tra le persone che le conduce a meditare nella ricerca della verità, alimentando il dubbio, sfidando tutti i dogmi, quelli religiosi e quelli politici» (sono parole sue raccolte durante il nostro colloquio). La ragione è la bussola che egli usa per leggere il mondo e agire nella realtà. Se l’umanità si può dividere in chi crede di possedere la verità e in chi cerca la verità, Bruno Segre appartiene al popolo dei dubbiosi che non temono di andare controcorrente per rimanere fedeli agli ideali di libertà e giustizia.

 

NOTE:

[1] B. Segre, La scomparsa del nostro Capitini, L’Incontro. Periodico indipendente, a. XX, n. 10, ottobre 1968, p. 1, firmato “Sicor”.

[2] B. Segre, La scomparsa del nostro Capitini, cit., p. 1.

[3] A. Capitini, I pacifisti, L’Incontro, a. XX, n. 9, settembre 1968, p. 5.

[4] A. Capitini, I pacifisti, cit., p. 5.

[5] La Resistenza ha vent’anni, L’Incontro, a. XVI, n. 4, aprile 1964, p. 1, non firmato.

[6] V. Pratolini, La costanza della ragione, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1963. Io ho esaminato la seconda edizione del volume pubblicata nella collana “Scrittori italiani e stranieri”, 1976.

Gli autori

Pietro Polito

Pietro Polito, storico delle idee, è direttore del Centro studi Piero Gobetti e curatore dell’archivio Norberto Bobbio. Si occupa del Novecento “ideologico” italiano ed è autore di saggi su Piero e Ada Gobetti, Aldo Capitini, Norberto Bobbio e Danilo Dolci. L’altro suo filone di studi è la pace, la nonviolenza e l’obiezione di coscienza.

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