Magistratura democratica e il rinnovamento della cultura giuridica

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Qual è il ruolo storico svolto da Magistratura democratica e cosa ne resta oggi? Io credo che esso sia consistito nel contributo allo sviluppo di una cultura giuridica e politica che ha identificato nel costituzionalismo garantista, quale sistema di limiti e di vincoli a tutti i poteri, sia pubblici che privati, la principale difesa nei confronti della loro degenerazione in poteri selvaggi, lesivi dei diritti fondamentali delle persone.

È una cultura oggi minoritaria, a causa dei populismi dominanti, ma proprio per questo più che mai preziosa quale argine alle derive autoritarie del ceto politico, sempre più immemore dei “mai più” al fascismo e ai razzismi formulati con la nostra Costituzione.

Il costituzionalismo garantista ha mutato il ruolo della cultura giuridica: non più la semplice descrizione e applicazione del diritto esistente promossa dal vecchio metodo tecnico-giuridico, bensì la critica della sua illegittimità e la sua progettazione sulla base dei principi di giustizia – l’uguaglianza, i diritti fondamentali, la dignità delle persone – stipulati nelle carte costituzionali.

Si è così prodotto un fenomeno singolare. È in atto, in Italia e in gran parte del mondo occidentale, una crisi regressiva della politica. La politica odierna, in molte delle nostre democrazie, è diventata impermeabile alle domande sociali di giustizia e ha ribaltato il proprio ruolo di governo dell’economia, assoggettandosi ai poteri economici e finanziari e aggredendo lo stato sociale e i diritti alla salute, all’istruzione e alla previdenza in ossequio alle direttive dei mercati.

Ebbene, a questa abdicazione della politica alle sue tradizionali funzioni di tutela degli interessi di tutti e di regolazione e controllo dei poteri economici e finanziari, ha fatto riscontro un fenomeno straordinario: un decisivo progresso delle istituzioni giudiziarie nel loro ruolo di garanzia secondaria dei diritti fondamentali. A causa del discredito della politica, della sua subalternità ai mercati e della sua distanza dalla società, le domande di giustizia vengono rivolte in misura crescente al potere giudiziario, sollecitato a intervenire dalle violazioni legislative, amministrative e contrattuali dei diritti in tema di lavoro, di ambiente, di tutela dei consumatori, di questioni bioetiche e di abusi di potere.

Assistiamo così – in gran parte delle democrazie occidentali – a un singolare paradosso: da un lato al processo decostituente di progressiva erosione dello stato sociale e delle garanzie primarie dei diritti fondamentali; dall’altro al simultaneo rafforzamento del ruolo garantista degli organi della giurisdizione e allo sviluppo di una scienza giuridica progressista impegnata nella difesa dei principi costituzionali. In passato, e più che mai nel nostro lungo Sessantotto, avveniva esattamente il contrario. Era la politica il luogo della trasformazione della società in senso progressivo. Era la legislazione che innovava il diritto vigente, costruendo lo stato sociale e introducendo o rafforzando le garanzie dei diritti fondamentali. La giurisdizione, al contrario, aveva un ruolo conservatore, quando non apertamente reazionario. E lo stesso poteva dirsi della scienza giuridica. Oggi il rapporto tra diritto e politica, tra giurisdizione e legislazione, tra cultura giuridica e cultura politica si è paradossalmente ribaltato: mentre la giurisdizione, sostenuta da una cultura giuridica in gran parte informata ai principi costituzionali, svolge un ruolo di tutela dei diritti, la politica e la legislazione svolgono il ruolo opposto di aggressione e restrizione dei diritti, non attuando ma al contrario riducendo le loro garanzie primarie. Non a caso Magistratura democratica, l’Associazione nazionale magistrati e la maggioranza dei giuristi si schierarono in difesa della Costituzione contro i tentativi di revisione costituzionale promossi prima dalla destra nel 2005 e poi dal Pd di Renzi nel referendum dell’anno scorso.

Le ragioni di questo progresso della giurisdizione, e in generale della cultura giuridica, e dell’opposto regresso della legislazione e della cultura politica sono molteplici.

La prima è il diverso tipo di professionalità: i giudici, la cui funzione è applicare il diritto, prendono il diritto, a cominciare dalle Costituzioni, assai più sul serio dei politici; e lo stesso fanno i giuristi, nel loro lavoro esplicativo del diritto vigente e inevitabilmente critico dei suoi profili di incostituzionalità, che al pari dei giudici avvertono come vincolanti, perché consistenti in norme di diritto positivo a tutte le altre sopraordinate, i principi e i diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti. Simultaneamente la politica ha subito il processo opposto. A causa, di nuovo, di un suo tratto professionale – l’abitudine alla mancanza di limiti, oggi favorita dalla sua distanza dalla società – essa è sempre meno disposta ad accettare i vincoli costituzionali; e soprattutto a causa, oggi più che mai, dell’idea populista che la democrazia consista nell’onnipotenza della maggioranza, della perdita di memoria dei mai più pronunciati nella stagione costituente seguita alla seconda guerra mondiale e del conseguente declino dei principi costituzionali dai suoi orizzonti programmatici.

La seconda ragione consiste nell’indipendenza istituzionale della giurisdizione e in quella intellettuale della scienza giuridica, o almeno delle sue componenti più progressiste, e, al contrario, nella dipendenza, nell’odierno mondo globalizzato, della politica dai mercati, cioè dai poteri economici e finanziari sviluppatisi fuori dei confini nazionali. La politica odierna, ripeto, non è solo impermeabile alle domande sociali di giustizia, ma ha ribaltato il proprio ruolo di governo dell’economia, riducendo le garanzie dei diritti sociali alla salute e all’istruzione e dei diritti dei lavoratori in attuazione delle pressioni dei poteri economici e finanziari. È la “governabilità”, che vuol dire semplificazione e verticalizzazione del sistema politico, emarginazione del Parlamento, crollo della rappresentanza, mani libere nell’aggressione ai diritti sociali e del lavoro, onnipotenza della politica nei confronti della società e dei diritti delle persone imposta dalla sua impotenza e subalternità all’economia e alla finanza. Aggiungo che questa regressione della politica sta provocando, in Italia, la regressione morale, intellettuale e culturale di gran parte della società, a causa del contagio che sempre accompagna l’immoralità delle pratiche di governo: una regressione che si manifesta nella sfiducia, nella depressione, nella rabbia, nell’odio, nella paura, nel crollo della solidarietà, nella generale aggressività e nell’assunzione dell’interesse personale e del denaro come unici valori.

Contro questa involuzione, la sola risposta possibile è oggi la difesa della Costituzione – dei principi dell’uguaglianza e della dignità delle persone, dei diritti fondamentali di libertà e sociali e delle loro garanzie – come patto sopra-ordinato alla politica che dal suo rispetto e dalla sua attuazione trae la propria ragion d’essere. È questo impegno a prendere la Costituzione sul serio il lascito maggiore dei momenti più alti dell’esperienza di Magistratura democratica: l’idea che il rispetto e l’attuazione dei princìpi costituzionali sono la fonte della legittimazione democratica di tutte le nostre istituzioni e il senso nuovo, e aggiungo il fascino, che il costituzionalismo e il garantismo conferiscono alla politica nella costruzione della democrazia, ove quei principi siano da essa assunti come vincolanti.

Ma a questo scopo non è sufficiente una cultura politica informata al progetto costituzionale. È necessaria, a sinistra, una rifondazione della politica attraverso il suo ritorno nella società e la ricostruzione di quella “densità sociale” che costituisce il tratto caratteristico del Sessantotto e di cui la Magistratura democratica delle origini fu una delle tante manifestazioni.

L’articolo è parte dell’intervento svolto nel convegno “Il lungo Sessantotto”
organizzato a Roma il 17 novembre da Rifondazione Comunista.

Gli autori

Luigi Ferrajoli

Luigi Ferrajoli, professore emerito di Filosofia del diritto all’Università di Roma Tre, è stato allievo di Norberto Bobbio ed è tra i massimi filosofi del diritto viventi. Già magistrato, è stato, a fine anni Sessanta, tra i fondatori di Magistratura democratica. Tra le sue opere principali: "Manifesto per l’uguaglianza" (2018), "Principia Iuris. Teoria del diritto e della democrazia" (2007), "Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale" (1989), tutti pubblicati da Laterza.

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