I diavoli di Riace

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Negli anni Trenta del XVII secolo, all’inizio della modernità, il villaggio di Loudun fu teatro di una storia controversa di sesso, stregoneria, ma soprattutto di politica e religione che coinvolse il convento delle Orsoline, un grande prete mezzo eretico, Urbain Grandier, la superiora del convento, madre Giovanna degli Angeli, e soprattutto il cardinal Richelieu, che colse al volo l’occasione di rafforzare il potere centralizzante della monarchia francese, fece torturare a più riprese e poi bruciare sul rogo il povero Grandier, accusato tra l’altro di essere adepto di Satana. Su tutta la storia è tornato più volte Michel de Certeau, nel 1952 Aldous Huxley scrisse il romanzo I diavoli di Loudun, e Ken Russell nel 1971 diresse un grande film, I diavoli, con Oliver Reed e Vanessa Redgrave, tuttora di difficile circolazione (una sola edizione in dvd, poi scomparsa; nessun passaggio televisivo. Oliver Reed ha dichiarato che I diavoli è il suo film più politico).
Tutta questa vicenda mi è tornata in mente rievocata dal bando salviniano che intende annullare la grande esperienza di Riace. A parabola della modernità conclusa la storia si ripete: il potere centrale tenta di riaffermare la sua supremazia, e probabilmente ci riuscirà. (Fatta salva, ovviamente, la distanza abissale tra Richelieu e Salvini, e quel sentore di rutti e di birra – cito Marco Formentini sul centro Leoncavallo di Milano – che l’attuale ministro dell’ Interno porta con sé.)

Ma al di là delle coincidenze storiche di inizio e fine d’epoca e persino al di là delle infamie salviniane, il “caso” Riace, vuoi per l’intervento della magistratura in una Regione che ha ben altri problemi di legalità, vuoi per il sostegno che molti cittadini continuano a dare a un governo di incompetenti, e pericoloso per i residui di democrazia nel nostro paese, conferma una mutazione antropologica che sta accadendo sotto i nostri occhi.

“Nessun grido d’aiuto può essere più forte di quello di un uomo singolo” scrive Wittgenstein (Pensieri diversi, Adelphi, p.89). Ecco, noi stiamo perdendo una delle caratteristiche umane più importanti: l’empatia, la capacità di uscire da sé e di entrare in relazione con l’altro, la percezione della prossimità. È (era?) una virtù di molte religioni, dal buddhismo al cristianesimo; ma anche, e forse più, della grande cultura laica, alla radice delle varie dichiarazioni dei “diritti dell’uomo”. E Simone Weil è andata al di là, superando la fase della rivendicazione dei diritti (fondata su rapporti di forza) e basandosi piuttosto sui doveri che ciascuno di noi ha verso ogni essere umano, in un rapporto di reciprocità fondato sulla Giustizia.

Ecco, credo che la disputa sui migranti, ridotta alla sua radice, sia tutta qui. Mimmo Lucano “si è preso cura” dell’altro uomo. Degli uomini che la sorte gli ha fatto incontrare, così come il Samaritano, considerato dagli ebrei ortodossi un eretico da evitare, si ferma a soccorrere là dove sacerdoti e leviti avevano proseguito per la loro strada e i loro affari. E Lucano si è preso cura degli uomini che la sorte gli ha fatto incontrare non solo perché quasi sempre vittime dei disastri e delle predazioni dell’Occidente (e già questo basterebbe a rimettere sui piedi del diritto l’assistenza per chi scappa da situazioni di cui l’Europa e l’Occidente in genere sono in gran parte responsabili). Non solo per l’elementare dovere di soccorrere e accogliere chi è nel bisogno e ha patito sofferenze e torture inimmaginabili. Ma ancor prima perché Lucano ha saputo rispecchiarsi nel volto dell’altro e se ne è preso cura, cioè l’ha accolto: la casa o almeno il riparo, la dignità del lavoro, la condivisione del cibo, l’istruzione. Per questo Riace è diventato un simbolo e un modello nell’Europa ancora civile, continente di 560 milioni di abitanti che rischia di sfaldarsi per qualche decina di milioni di extracomunitari. (E in proporzione agli altri Stati della UE, l’Italia è quella che ne ha di meno: 8,3%, secondo altre fonti il 7%, della popolazione, mentre l’Austria, a esempio, ne assorbe il 14%).

Allora i motivi dell’ “emergenza migranti” dell’attuale governo (ma anche del precedente: il solco l’ ha tracciato Minniti, Salvini è la spada che lo difende) sono forse altri. Innanzi tutto favorire il gioco sporco possibile alle cooperative che gestiscono i Centri di Accoglienza Straordinaria: senza generalizzare, accanto ad alcune che lavorano seriamente, ce ne sono moltissime che sulla pelle dei migranti lucrano abbondantemente i fondi statali. Per non parlare del circolo vizioso della legge Bossi-Fini: ti do il permesso di soggiorno se hai un lavoro, ma non potrai trovare lavoro (regolare) se non hai il permesso di soggiorno… In conclusione un sistema perfetto per assicurare al paese una risorsa di manodopera irregolare che può essere sfruttata a bassissimo costo e, tenuta ai margini della legalità, ricattabile da chiunque.

Mimmo Lucano aveva infranto il marchingegno e per questo Riace è diventato un modello anche fuori dai nostri confini, celebrato da più parti: cura, riparo, attenzione, convivialità, come la chiamava Ivan Illich, queste le sue armi. Ma proprio per questo deve essere messo fuori gioco e la casa sua e dei suoi concittadini, con le porte aperte, senza isterismi di legittima difesa, deve essere abbattuta: troppo pericolosa per chi aspira a disumanizzare la terra.

Gli autori

Gianandrea Piccioli

"Una lunghissima esperienza alla guida di marchi storici, prima Garzanti, poi Sansoni, più tardi Rizzoli, ancora Garzanti, a settant’anni è considerato uno dei grandi saggi dell’editoria («Ma che esagerazione, sono solo capitato fra le due sedie: dopo i grandi e prima del marketing»), cresciuto alla Corsia dei Servi, l’eretica libreria milanese che negli anni Sessanta mescolava Bellocchio e padre Turoldo. Passo resistente da montanaro, è abituato a scalare le vette impervie di giganti quali Garboli o Garzanti, Steiner o Fallaci. L’editoria che incarna è molto diversa da quella attuale, «per imparare il mestiere non ti portavano a fare i giochi di ruolo in luoghi esotici». Quasi dieci anni fa la decisione di lasciare, «perché il mondo era cambiato e non riuscivo più a intercettare il mutamento». Oggi il suo sguardo appare molto nitido, nutrito di letture meticolose condotte nel buen retiro di Rhêmes o nel silenzio di Casperia, un borgo medievale nell’alta Sabina. «La crisi dell’editoria è una crisi culturale. Si fanno troppi libri, molti anche interessanti, ma oscurati dalla censura del mercato. E soprattutto le case editrici hanno rinunciato a un progetto, a una visione complessiva che suggerisca un’interpretazione del mondo»" [da https://ilmiolibro.kataweb.it].

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