1. Cancellato il reddito di cittadinanza
L’articolo 59 del disegno di legge di bilancio 2023 prevede l’abolizione dal 1 settembre 2023 del reddito di cittadinanza (RdC) per i percettori del reddito che hanno sottoscritto il “patto per il lavoro” (perché considerati “occupabili”) e per quelli che hanno invece sottoscritto il “patto per i progetti di pubblica utilità” (in quanto in età da lavoro ma con problemi di salute psicofisica che ne limitano le capacità di lavoro); da questa misura vengono esentati i percettori di RdC con più di 60 anni e coloro che hanno a carico in famiglia un disabile o un minore. Dal 1 gennaio 2024 il RdC è abrogato per tutti. Per i percettori che potranno continuare a riceverlo nei primi otto mesi dell’anno è previsto l’obbligo di partecipare, a partire dal 1 gennaio a corsi di formazione della durata di sei mesi, pena la perdita della prestazione. Insomma, nelle prossime tre settimane le Regioni italiane devono predisporre dei corsi di formazione di sei mesi per un milione di persone e devono farlo con le proprie risorse. È, evidentemente, una mistificazione. Questa norma non verrà applicata ma il Governo dimostrerà il suo rigore contro i “fannulloni”, come chiamano i giornali di destra i percettori del RdC.
il Giornale, 1 novembre 2022 – il Giornale, 19 novembre 2022
Potevano almeno destinare alla formazione i tagli dei redditi annunciati che invece verranno messi a disposizione del comitato d’affari che si è insediato nel Ministero del Lavoro. A dire la verità nei programmi elettorali dei tre partiti che formano la coalizione di destra la proposta era più sfumata: mantenere il reddito di cittadinanza (RdC) o una misura analoga per coloro che avevano problemi di salute, i “fragili”, o come scriveva Fratelli d’Italia «i soggetti privi di reddito difficilmente occupabili», ma dopo le elezioni è rimasto solo l’aggettivo “occupabili” per cancellare loro il reddito di cittadinanza. Anche essere reticenti è un modo di mentire. Sembrerebbe che debba sopravvivere il reddito rivolto alle persone anziane non venendo mai citata la pensione di cittadinanza (PdC), vedremo.
2. Un milione di persone rigettate nella povertà assoluta
Volutamente la destra ignora quanto scritto nel rapporto Istat 2022: «Le misure di sostegno economico erogate nel 2020 hanno permesso a un milione di individui (in circa 500 mila famiglie) di non trovarsi in condizione di povertà assoluta; tali individui, in assenza di sussidi, avrebbero infatti avuto una spesa per consumi inferiore alla propria soglia di povertà. A ciò si aggiunga l’effetto sull’intensità della povertà che, in assenza di sussidi, sarebbe stata di ben 10 punti percentuali più elevata, raggiungendo il 28,8 per cento (a fronte del 18,7 osservato). Tale effetto è dovuto al vantaggio delle famiglie che, a seguito del sussidio, sono rimaste in povertà assoluta ma hanno decisamente abbattuto la loro intensità di povertà» (Rapporto Istat 2022. L’impatto dei sostegni ai redditi sulla povertà assoluta, p. 243). Allora i percettori del RdC e della PdC erano stati circa 1 milione 600 mila (3 milioni 700 mila le persone coinvolte), con un importo medio mensile di circa 530 euro.
L’osservatorio statistico dell’Inps pubblica mensilmente i dati sui percettori del reddito o della pensione di cittadinanza. Tra gennaio e ottobre 2022 avevano ricevuto almeno per una mensilità nell’arco dell’anno 1 milione 659 mila nuclei familiari, per un totale di 3 milioni 611 mila persone. Nel 2021 il numero dei percettori era sceso rispetto all’anno precedente ma è ritornato a salire per effetto della stagnazione economica e dell’inflazione in atto. Nel solo mese di ottobre 2022 hanno percepito redditi o pensioni di cittadinanza 1 milione 162 mila famiglie per 2 milioni 470mila persone; va tenuto presente che i percettori di PdC sono poco più del 10% del totale e in larga parte i loro nuclei familiari sono di una persona, mentre tra i percettori del RdC i nuclei familiari di single sono poco meno del 50%. Insomma, si avvicina una fase economica difficile per l’occupazione e per la protezione dei redditi e il Governo taglia il reddito alla fascia più marginale della società italiana – quella con un reddito inferiore alla soglia della povertà assoluta – che l’Istat ha stimato per l’anno 2020 in 5 milioni e 600 mila, segnalando che sarebbero stati 6 milioni e 600 mila in assenza delle politiche pubbliche si sostegno al reddito per i più poveri.
3. “Fannulloni” o “non appetibili per le imprese”?
Attualmente, accolta la domanda i percettori del reddito di cittadinanza vengono selezionati da un algoritmo del quale non sono noti i criteri e le regole di funzionamento. Esaminando l’esito della selezione pare che il criterio più importante sia l’età, integrato da valutazioni sullo stato di salute e sulla composizione della famiglia che il richiedente ha dichiarato. All’esito dell’operazione condotta dall’algoritmo i percettori di RdC devono sottoscrivere il “patto per l’inclusione sociale”, che li impegna a una disponibilità di almeno 8 ore in progetti di pubblica utilità (PUC), e chi è stato considerato dall’algoritmo “occupabile” sottoscrive anche il “patto per il lavoro” (con presa in carico da parte delle apposite agenzie pubbliche per la ricerca di un lavoro). Capita peraltro ai centri per l’impiego di incontrare percettori occupabili secondo l’algoritmo ma da dirottare ai progetti di pubblica utilità (per l’esistenza di ulteriori problemi di salute) oppure già occupati ma con tempi e rapporti di lavoro così parziali e precari per cui sono da considerare lavoratori poveri.
I dati sugli occupabili sono pubblicati dall’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro (Anpal). La sua nota n. 9 di ottobre è stata assunta dagli organi di informazione per indicare quanti saranno i percettori del RdC che se lo vedranno cancellato dal primo settembre 2023: 660 mila (ma i media non hanno detto che si tratta di nuclei familiari composti mediamente da 2-3 persone e che, quindi, saranno più di un milione e mezzo le persone che non avranno un reddito per vivere). L’Agenzia spiega il dato: al giugno 2022 i percettori in età da lavoro erano 919.916 (100 mila in meno di ottobre, effetto stagionalità del turismo?); di questi 86 mila erano esonerati dal cercare un lavoro o rinviati ai progetti di pubblica utilità e 173 mila stavano lavorando senza però avere un reddito annuo da lavoro di almeno 9.360, per cui potevano avere una integrazione con il RdC. Le persone che avevano sottoscritto il patto per il lavoro delegando le agenzie pubbliche alla relativa ricerca erano, dunque, 660 mila. Per definirli “fannulloni” si dovrebbe almeno sapere quanti hanno rifiutato le proposte di lavoro, ma il dato è sconosciuto. Alcune informazioni, però, sono presenti nella nota dell’Anpal. Di quei 660 mila solo 280 mila sono stati persi in carico mentre 480 mila non hanno svolto alcun lavoro negli ultimi tre anni. Per questi ultimi sarebbe più appropriata l’indicazione “non appetibili per le imprese” utilizzata dall’associazione dei navigator (quelle figure istituite per la ricollocazione al lavoro dei percettori del RdC, e poi licenziate dal Governo Draghi senza alcuna valutazione dei risultati della loro attività: dove vivo io, in Val Susa, il giudizio sull’operato dei tre navigator è positivo). Dei lavori di utilità sociale rivolti ai percettori del RdC per ragioni di salute si sa ancor meno. Sempre dove vivo io le persone coinvolte negli ultimi due anni sono state meno di 30. Responsabilità dei Comuni ma ancor più dei Governi e delle amministrazioni centrali che da anni, e ancora oggi, continuano a tagliare le risorse ai Comuni.
Eppure la presidente del Consiglio, all’atto della presentazione del Governo alle Camere, ha dichiarato che, «dopo la sconfitta del RdC», «la vera soluzione sta nel lavoro, nella formazione e nell’accompagnamento al lavoro». Evidentemente non conosce i dati o mente sapendo di mentire.
4. Reddito, lavoro e dignità
In ogni caso quel che è sempre più evidente è la scelta della destra di imporre nuovamente vecchie gerarchie sociali: che i poveri ritornino a essere umili, meglio se anche umiliati, e che, se ne sono capaci, si arrangino. Imposta questa condizione di umiliazione alla povera gente si vedrà poi come usare le risorse per i propri affari. Dobbiamo aspettarci che il comitato d’affari che si è insediato nel Ministero del Lavoro concorderà con agenzie private come avvalersi delle risorse pubbliche (in primis quelle europee) per accompagnare i poveri verso il nulla che non potranno a lungo chiamare ipocritamente lavoro.
Con il reddito di cittadinanza una parte almeno di lavoratori precari ricattati dai datori di lavoro (solo noi italiani chiamiamo così quelli che nelle norme internazionali si chiamano employer) è stata messa in condizione di scegliere di licenziarsi e di non vendere anche la dignità. Agli uffici vertenze dei sindacati – sicuramente in Val Susa – si rivolgono lavoratrici e lavoratori per formalizzare le dimissioni all’Inps e la ragione è che non ne possono più di un lavoro povero, privo di prospettive e soggetto ad arbìtri e ricatti. I mercanti del lavoro conoscono bene come è nato quel mercato su cui fanno affari. Ce lo ricorda Karl Polany sottolineando come l’abolizione della Speenhamland Low nel 1834 in Inghilterra avvenne perché «di fatto introduceva una innovazione sociale ed economica come quella del “diritto di vivere” e fino a che non fu abolita nel 1834 essa impedì l’istituzione di un mercato concorrenziale del lavoro» (Karl Polany, La grande trasformazione, 1944).
Già negli anni Ottanta del secolo scorso era in corso nel nostro Paese una discussione sul reddito di cittadinanza. La proposta dell’Ires Cgil di avviare uno studio venne respinta dalla segretaria confederale (se ben ricordo nel 1988 o 1989). Per ora il copyright ce l’hanno l’Alaska e l’Iran, che usano una parte dei proventi petroliferi per fornire una piccola rendita a chi è loro cittadino. Credo abbia fatto bene il Movimento 5 Stelle ad avanzare, sostenere e affermare questa proposta. Vorrei però ricordare che molti anni prima l’Alleanza contro la povertà lanciò, sin dalla sua costituzione nel 2013, la proposta del REIS, il reddito di inclusione sociale, che diventò legge nel settembre 2017. Le proposte dell’attuale Governo vogliono cancellare sia il reddito di cittadinanza che quello precedente del reddito di inclusione ritornando a prima del 2017. Chissà se l’Alleanza contro la povertà (di cui fanno parte tutte le associazioni sociali più importanti, in primis quelle cattoliche, e i sindacati confederali: https://alleanzacontrolapoverta.it/storia/) vorrà promuovere e coordinare nuovamente una pressione per evitare il ritorno al passato.
5. Come ti scarico i costi della crisi
La destra italiana è parte della destra mondiale. Una destra organizzata (l’internazionale fascista) c’è, anche se con la guerra in Ucraina le crescenti contraddizioni impongono, dovendo combattere tra loro, di ripiegare sul nazionalismo. Il carattere comune di tutta la destra è far pagare ai più deboli e ai più poveri i prezzi della crisi economica originata da quella ambientale, che si presenta come crisi di costi e di liquidità. La destra è consapevole che nel modello economico e sociale attuale non ci sono più risorse per tutti e ha scelto a chi far pagare il prezzo. Le organizzazioni dell’Onu su alimentazione, migranti e rifugiati ci dicono che negli ultimi cinque-sei anni il numero di poveri (di persone che alla sera continuano ad avere fame), di migranti e di rifugiati è raddoppiato. Nessuno ci dice quanti sono i chilometri di muri e reticolati costruiti per fermarli, ma siamo ormai a quasi 5mila chilometri da Melilla a Capo Nord.
Intanto la sinistra – uso questo termine perché affermatosi nel linguaggio comune, pur ritenendolo un falso – continua a inseguire il miraggio della crescita, che oggi chiama resilienza. E rifiuta di interrogarsi se è ancora (e se sarà in futuro) la protagonista della redistribuzione del surplus. Ormai non è più così neanche in occidente. Senza speranza e senza progetto rimane il calcolo e questo ben presto sfocia in calcolo personale. Lo abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.