L’inflazione allarga la forbice tra ricchi e poveri, ma in Italia si parla d’altro

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L’alta inflazione fa crescere la distanza tra ricchi e poveri. Niente di nuovo. Ma ora lo attesta anche uno studio della Bce intitolato “L’impatto del recente aumento dell’inflazione sulle famiglie a basso reddito”, condotto sulla base dell’ultima Consumers Expectations Survey (Indagine sulle aspettative dei consumatori) della stessa istituzione di Francoforte. Era dal 2006 che la distanza tra le classi di reddito non raggiungeva in Europa i livelli attuali. Con un’accelerazione nell’ultimo anno che non ha riscontri nel decennio trascorso. Nemmeno la grande crisi finanziaria del decennio scorso, che pure aveva avuto effetti devastanti in alcuni Paesi del continente, aveva scavato un fossato così alto tra chi sta sopra e chi sta sotto. Il confronto è tra il 20% dei redditi più magri e il 20% di quelli più elevati. Tra il 2011 e il 2021 il “divario d’inflazione” aveva oscillato tra -0,25 e +0,25 punti percentuali, poi il grande balzo: +1,9% in meno di un anno.

Sui redditi più bassi pesa come un macigno l’impennata dei costi per l’energia, gli alimenti e i trasporti. Si è già arrivati al punto di dover scegliere tra il fare la spesa e pagare le bollette. Eppure non basta. La ricerca dimostra come i ceti popolari siano ormai costretti a mettere mano ai risparmi, quando ci sono, per far fronte alle spese necessarie (l’alternativa è indebitarsi). Col rischio di rimanere scoperti di fronte a impreviste esigenze future. Così, mentre per la fascia più povera della popolazione si registra un tasso di risparmio negativo (-6,4%), per il 20% più ricco si rileva addirittura una crescita dei risparmi nell’ordine del 39,3%. Vecchia regola quella secondo cui la propensione (marginale) al risparmio aumenta all’aumentare del reddito. Che, nel caso specifico, significa una cosa molto semplice: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. La vera emergenza, in questo momento. In Europa come in Italia, dove però il Governo sembra non preoccuparsene, preso com’è dall’esigenza di affermare la propria “identità”, con misure di repressione del dissenso (la famigerata norma anti-rave), di mistificazione della storia (la lettera anticomunista del Ministro dell’istruzione), di attacco a chi salva vite in mare (il caso delle navi ONG).

Differenze di reddito che implicano anche comportamenti diversi negli acquisti, tra chi ha di più e chi ha di meno. «Le famiglie più ricche – si legge nel documento ‒ tendono a consumare varietà più costose di articoli all’interno della stessa categoria di beni. Questi comportamenti di acquisto diversi evidenziano però che le famiglie ad alto reddito hanno un’altra strada a disposizione per ridurre la propria spesa, sostituendo prodotti costosi con alternative più economiche, mentre le famiglie a basso reddito tendono già ad acquistare varietà più economiche e sono quindi meno in grado di attutire l’impatto dell’inflazione attraverso la sostituzione dei prodotti». Come a dire: per i poveri l’alternativa al cibo scadente è non mangiare.

Una situazione carica di rischi. Rischi sociali (aumento del disagio, dell’emarginazione) e per la stessa economia, che potrebbe risentire dei contraccolpi dell’inflazione sulla domanda aggregata, peraltro già sotto il tiro della politica monetaria restrittiva della Bce (la recessione incombe, ma Eurotower è pronta a un altro rialzo dei tassi). Sarà anche per questo che il documento si chiude con un passaggio sull’inadeguatezza delle scelte politiche dei governi di fronte al montare delle difficoltà delle classi meno abbienti. Per l’esattezza, si riporta il sentimento di queste ultime rispetto alle politiche pubbliche fin qui adottate. Se non è una bocciatura, poco ci manca. Per questo, si raccomanda di «migliorare il modo in cui le misure di sostegno sono mirate alle famiglie a basso reddito».

Intanto, in Italia, tengono banco, tra una sortita identitaria e un’altra, anche le misure del cosiddetto decreto aiuti-quater. Famiglie e imprese, insieme agli enti locali, dovranno accontentarsi di 9 miliardi (finita la campagna elettorale, torna il tema della tenuta dei conti pubblici). Senza distinzioni. Di questi, a quanto pare, un miliardo ce lo dovranno (ri)mettere i poveri, quelli che prendono il reddito di cittadinanza e con esso vanno a fare la spesa al supermercato. Più che di “inadeguatezza” delle politiche pubbliche, in questo caso bisognerebbe parlare di miopia e di “sadismo” delle stesse. Peraltro, nella situazione data, il reddito di cittadinanza costituisce anche un presidio per quella che viene definita la “domanda effettiva” (è la domanda che determina il livello dell’offerta, quindi della produzione). Senza, i consumi subirebbero un colpo non indifferente (quasi quattro milioni le persone coinvolte), con pregiudizio per l’intero sistema. L’economia e lo Stato non ci perdono, insomma. Sarebbe bene che lo capisse anche il nuovo Governo, magari aiutandosi con i contributi di alcuni economisti che, non da oggi, battono sul tema del rapporto di causa ed effetto tra crescita delle diseguaglianze e stagnazione dell’economia.

Gli autori

Luigi Pandolfi

Luigi Pandolfi, laureato in scienze politiche, giornalista pubblicista, scrive di politica ed economia su vari giornali, riviste e web magazine, tra cui "Il Manifesto", "Micromega", "Economia e Politica". Tra i suoi libri più recenti: "Metamorfosi del denaro" (manifestolibri, 2020).

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