Dopo i tanto vituperati banchi, col ministro Bianchi sono arrivate le regole a rotelle: mobili, duttili, spostabili, sfuggenti. Nel senso che se le regole essenziali per il contenimento del Covid si rivelano un ostacolo per la propaganda di un Governo che annuncia una scuola in presenza senza se e senza ma, allora sono le regole a doversi fare da parte. Così, l’ultimo aggiornamento delle Domande frequenti del Ministero dell’Istruzione in tema di Organizzazione dell’attività scolastica trasferisce su rotelle un pilastro della lotta alla pandemia, quello del distanziamento: «È necessario mantenere sempre la distanza interpersonale di almeno un metro? A scuola è sempre raccomandato il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, salvo ove le condizioni strutturali-logistiche degli edifici non lo consentano». Un obbligo flessibile, insomma: che è come dire che bisogna lavarsi le mani salvo che il bagno sia occupato, che bisogna indossare la mascherina salvo che il naso sia troppo lungo, che si deve stare a casa salvo che si debba uscire…
Oltre al danno, la beffa: le «condizioni strutturali-logistiche degli edifici» sono esattamente ciò di cui Bianchi e il suo Governo avrebbero dovuto occuparsi (insieme a quelle dei trasporti pubblici, della numerosità delle classi, dei tempi e dei modi di assegnazione delle cattedre…). Ma non avendo invece fatto (come avrebbe detto il commissario Montalbano) «una beneamata minchia», ora tocca cambiare le regole. Come quando si innalzano i livelli di tolleranza per i pesticidi nelle acque o delle polveri sottili nell’aria: o come quando non si riesce a cambiare politica, e allora si scioglie il popolo (Brecht).
Si potrebbe amaramente sorriderne, ma è una svolta grave, sul piano educativo e su quello sanitario.
Sul primo, perché getta al vento una campagna di un anno e mezzo e certifica che le regole si possono violare quando fa comodo: i ragazzi rischiano di imparare la peggiore delle lezioni, e cioè che nessuno sopra di loro crede davvero nella serietà, nel rigore, nella coerenza. Conosco personalmente istituti scolastici che hanno sede in antichi edifici con piccole aule, che hanno finora fatto salti mortali (nella più completa solitudine istituzionale) per garantire la sicurezza: adottando turni, rotazioni di piccole parti delle classi in aule dotate di circuito chiuso, o altri stratagemmi. Molta fatica, ma premiata dall’assenza di focolai: i contagi degli allievi sono tutti avvenuti fuori da queste scuole. Ma ora la retorica dolciastra del ministro Bianchi – che vende una «scuola affettuosa»: così affettuosa da potercisi stringere, tutti insieme appassionatamente – e il fanatismo di alcune associazioni di genitori che mettono alla berlina i dirigenti scolastici più attenti alla sicurezza, stanno portando a un negazionismo di fatto: e già è nell’aria l’abolizione delle mascherine in classe. Una specie di bomba libera tutti, insomma: ma siamo ben lungi dall’uscita dal tunnel. La situazione drammatica della scuola inglese, dove il distanziamento non è stato adottato, è eloquente: la scorsa settimana 100.000 studenti britannici sono stati assenti perché contagiati. Da noi, quasi un milione e mezzo dei ragazzi tra 12 e 19 anni deve ancora fare la prima dose di vaccino, mentre i sei milioni di bambini fino a 12 anni rappresentano una prateria aperta al Covid. In questo contesto, l’abolizione del distanziamento è doppiamente un boomerang: per la salute, ma anche per la stessa scuola in presenza, giacché impedisce quarantene mirate al cerchio stretto, e rischia di far saltare ogni volta intere classi. I risultati di questa riapertura con le regole a rotelle sono già evidenti: 800 ragazzi già a casa a Torino, 41 classi in quarantena a Firenze, e così via.
Come ha ricordato proprio ieri Nino Cartabellotta: «A fronte delle evidenze scientifiche, il mondo reale della scuola si ritrova all’inizio del nuovo anno scolastico senza una strategia di screening sistematico di personale e studenti, con regole sul distanziamento derogabili in presenza di limiti logistici e senza interventi sistematici su aerazione e ventilazione delle aule, né sulla gestione dei trasporti. E la vaccinazione di personale e studenti, seppur indispensabile, non è sufficiente per arginare la diffusione del virus e scongiurare la Dad, in particolare nelle scuole primarie».
All’inizio ci siamo illusi che il Covid potesse cambiarci in meglio, ma ci siamo ben presto resi conto che invece sta tirando fuori il peggio di una società già malata per conto suo. E così il PNRR non ci servirà a rifare le scuole e il trasporto pubblico urbano, ma a sigillare ancora suolo, a cementificare, a finanziare una crescita che ci uccide. Tanto ci sarà sempre un ministro disposto a cambiare le regole giuste pur di non cambiare un Paese ingiusto. Come sempre, l’augurio è che nemmeno un ragazzo, o un suo familiare, debba prendere il Covid, o peggio, a causa di questa scelta propagandistica e irresponsabile. Ma, ancora una volta, la roulette russa va condannata anche quando, per puro caso, finisce senza danni. Al fondo della questione dei cosiddetti no-vax c’è una viscerale diffidenza verso lo Stato: il vero modo per combatterla, è che lo Stato sia credibilmente dalla parte dei cittadini (https://volerelaluna.it/vaccino/2021/09/20/tutti-pazzi-per-il-green-pass-e-lobbligo-vaccinale/). Anche nelle aule scolastiche.