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22/08/2020 di: Tomaso Montanari
«C’è dentro quel che serve per andare avanti nell’interesse del Paese»: il commento del segretario del Pd al discorso di Mario Draghi al meeting di Comunione e Liberazione è l’ennesima conferma della fine di una Sinistra intesa come critica allo stato delle cose.
Quel discorso, infatti, è il trito manifesto di una destra moderata: l’epitome del pensiero delle classi dirigenti conservatrici e liberiste che hanno condotto l’Europa e l’Italia su un binario morto. Lo scopo di Draghi è difendere a oltranza lo stato delle cose. Lo dice chiaramente quando condanna il fatto che le giuste critiche alle politiche dell’Unione siano diventate, «nel messaggio populista, una critica contro tutto l’ordine esistente». Un ordine che per Draghi è intoccabile, a partire dal suo architrave ideologico: la crescita.
È qui che il discorso si fa dogmatico: «Il ritorno alla crescita, una crescita che rispetti l’ambiente e che non umili la persona, è divenuto un imperativo assoluto: perché le politiche economiche oggi perseguite siano sostenibili, per dare sicurezza di reddito specialmente ai più poveri». È un paradigma perento, ipocrita, smentito dalla realtà: la chimera di una crescita che continui com’è ora, ma sia sostenibile sul piano ambientale e sociale. Evidenze scientifiche e sociali escludono che questo sia possibile: l’imperativo assoluto della crescita è un imperativo assoluto al suicidio collettivo.
Draghi non parla di eguaglianza, tantomeno di giustizia sociale, ma della necessità di non “umiliare” ulteriormente i poveri, e di non erodere ancora i loro poveri redditi attuali. Nessun cambiamento: la messa in sicurezza dell’ordine attuale, fondato su una insostenibile ingiustizia, cioè sul consumo sfrenato del pianeta e sulla massima diseguaglianza possibile. L’obiettivo è la conservazione degli attuali rapporti di forza che garantiscono i (pochissimi) salvati contro i (tantissimi) sommersi.
Ma Draghi sa bene che «se rimanesse invariata la distribuzione attuale dell’incremento del reddito mondiale sarebbero necessari da 123 a 209 anni per far sì che tutti gli abitanti del pianeta vivano con più di 5 dollari al giorno. Ciò richiederebbe una produzione e un consumo globali 175 volte più elevati degli attuali: un incremento incompatibile con i limiti strutturali del pianeta» (Marco Revelli). Già dieci anni fa un finissimo intellettuale socialdemocratico come Tony Judt puntava il dito contro «l’illusione di una crescita senza fine», e oggi la voce profetica di Greta Thunberg grida ai potenti che «le persone stanno soffrendo, stanno morendo. Interi ecosistemi stanno collassando. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa. E tutto ciò di cui parlate sono soldi e favole di eterna crescita economica».
Draghi è tra i più abili raccontatori di quelle favole. Favole il cui più ascoltato critico si chiama invece papa Francesco, che nella Laudato si’ ha ribaltato il paradigma, indicando con forza «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta […] l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso […] la grave responsabilità della politica internazionale e locale […] la proposta di un nuovo stile di vita». Non è un caso che Comunione e Liberazione scelga di schierarsi dalla parte opposta al papa: non con la profezia di Bergoglio, ma con lo stato delle cose di Draghi.
In questo spartiacque culturale, nemmeno Zingaretti ha dubbi: colloca il Pd con Draghi, non con Francesco. È un’affinità elettiva. Annunciando, qualche giorno, fa il suo «piano per le riforme», il segretario ha scelto di usare (su Twitter) l’espressione “capitale umano” (che ricorre più volte nel discorso di Draghi): una formula (coniata da un economista tra i più fanatici dell’ultraliberismo della Scuola di Chicago) che insieme ad altre (si pensi a “mercato del lavoro”) è una eloquente spia lessicale della sudditanza al pensiero unico dominante. Per aver sottolineato (sempre su Twitter) quanto fosse significativo l’uso di questa espressione da parte del segretario del Pd, sono stato attaccato duramente: ma non da esponenti o militanti del partito, bensì da giornalisti del Foglio e da mezze figure di economisti liberisti. Ulteriore piccola verifica empirica del retroterra culturale del Pd. Che non è più nemmeno in grado di mettersi in relazione con l’immaginario corrente alimentato da film, pure assai moderati, come il Capitale umano di Paolo Virzì (2013), che nei titoli di coda spiega il senso del titolo attraverso la definizione del metodo seguito per calcolare l’indennizzo corrisposto dall’assicurazione di una famiglia di ricchi e spregiudicati industriali un cui membro aveva ucciso, investendolo con un SUV, un cameriere che tornava dal lavoro: «Importi come questo vengono calcolati valutando parametri specifici: l’aspettativa di vita di una persona, la sua potenzialità di guadagno, la quantità e la qualità dei suoi legami affettivi. I periti assicurativi lo chiamano il capitale umano». Un modo efficace per far comprendere il senso lato della mercificazione della persona umana suggerito da una espressione come quella: una mercificazione che dovrebbe essere il primo obiettivo polemico di una qualunque sinistra.
Ma alla destra fascistoide di Salvini, Zingaretti oppone la destra moderata di Draghi: di sinistra, nessuna traccia.