Contro Zeffirelli: la necessità del dissenso

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Vorrei provare a tracciare un provvisorio bilancio della vicenda (sgradevole, ma in fondo assai istruttiva) provocata dal cortocircuito tra una mia frase iconoclasta contro il defunto Zeffirelli e l’uscita di un mio testo tra le tracce della maturità. Una vicenda sfociata nel dubbio privilegio di un attacco personale contro di me da parte del ministro Salvini, e dunque nell’immancabile pestaggio mediatico da parte dell’ormai larghissima corte di boia, capre e ballerine che circonda (più o meno consapevolmente) il Ministro della Paura.

Il fulcro su cui ruota tutta questa vicenda ha un nome: dissenso. L’orizzonte che essa dischiude è, invece, quello del conflitto.

1. Necessità del dissenso

Come ho spiegato altrove (https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/19/franco-zeffirelli-perche-per-me-firenze-non-doveva-santificarlo/5266069/) tutto parte da un mio tweet.

Si può avere naturalmente un’opinione assai critica verso l’uso dei social media. Io stesso mi sono chiesto se sia giusto usare un mezzo che per sua natura impedisce riflessioni articolate, e produce una buona dose di fraintendimenti ed equivoci. Ma alla fine penso che sì, che sia giusto starci. Da papa Francesco a Salvini, è anche lì che si combatte una battaglia di opinione e di pensiero. Ed è del resto la dinamica stessa di questa vicenda a dimostrare che anche un tweet può essere uno strumento utile, se il fine è la ricostruzione di qualche pensiero critico diffuso.

L’aspetto più clamoroso della vicenda è proprio l’esiguità di quelle due mie righe di fronte alle centinaia di pagine e di spazio mediatico dedicati all’esaltazione di Franco Zeffirelli. La morale è che il sistema non è disposto a tollerare nemmeno quelle due righe: nemmeno un atomo di dissenso. Il senso comune su cui poggia il consenso al potere è così fragile, sul piano razionale e argomentativo, che non si può permettere che qualcuno dica che il re è nudo.

Il dissenso è dunque pericoloso: e diventa pericolosissimo quando chi lo esprime rischia di acquistare autorevolezza mediatica, per esempio attraverso la sua inclusione nel “canone” della maturità. Ed è proprio allora che scatta il pestaggio.

Ma la necessità di praticare il dissenso, vorrei dire la necessità di praticarlo con pervicacia e continuamente, «in tempo opportuno e in tempo non opportuno», appare evidente non se si analizzano le ovvie reazioni del potere, ma quando si osservino quelle degli spettatori terzi.

Cittadini comuni – anche impegnati, anche profondamente avversi a Salvini e magari fino ad ora disposti a concedermi stima e fiducia – mi hanno manifestato la loro disapprovazione per il mio tono, e hanno condizionato a questa esplicita presa di distanze la loro solidarietà con me. Poco importava che contemporaneamente io venissi coperto da una smodata quantità di veri e propri insulti di ogni sorta. Rimaneva il fatto che avevo parlato male di un morto: ero stato inopportuno. «Non c’era bisogno di farlo», «non dovevi farlo ora», «non dovevi essere irridente».

Ebbene, credo invece che ci fosse bisogno di farlo, di farlo in quel momento, di farlo usando lo strumento della corrosione e del sarcasmo. Andava fatto allora: mentre la bara veniva innalzata sugli scudi. L’amministrazione della mia città (guidata dal post-renziano Nardella, appena trionfalmente rieletto) aveva deciso la santificazione civica e religiosa di Zeffirelli. I due spazi pubblici più simbolici, quello civico e quello religioso, stavano diventando la scenografia per una sorta di santificazione, e non si levava nemmeno una voce di dissenso. Nemmeno una: non nella politica, non nella Chiesa, non sui giornali, non nell’università, non nelle scuole! Una cosa impensabile solo venti anni fa. E, per ragioni su cui tornerò più oltre, era necessario che almeno una voce si alzasse.

Norberto Bobbio ha scritto che la funzione degli intellettuali è quella di non lasciare a chi ha il monopolio della forza (cioè il Governo) anche il monopolio della verità. Il dissenso come abito mentale. Come condizione per la democrazia. Come spazio politico ineludibile perché si possa parlare di democrazia.

Detto fuori dai denti, anche a me non sarebbe dispiaciuto trovar scritto da qualcuno più coraggioso e pronto di me le cose che andavo pensando. Ma così non è stato: e come ha scritto offrendomi la sua solidarietà  (su Twitter…) il mio collega e amico israeliano Sefy Hendler, citando la Mishna, «dove non vi sono uomini, procura tu di essere uomo».

Il risultato raggiunto (seppur a qualche prezzo) è stata la costruzione di un embrionale dissenso. Un dissenso privato: testimoniato dalle decine di messaggi che mi sono arrivati. Persone che pensavano più o meno quello che ho detto, ma che non trovavano nemmeno una voce pubblica che desse a quella “parola contro” un diritto di cittadinanza nel discorso pubblico.

E poi un dissenso pubblico: la rivista “il Ponte”, fondata da Piero Calamandrei, ha ripreso il mio articolo e l’ha messo in apertura del suo sito. E ha deciso di dedicare un suo numero cartaceo all’analisi critica della produzione e del pensiero di Zeffirelli e dalla Fallaci.

E in consiglio comunale, all’atto dell’insediamento della nuova giunta, i due soli consiglieri di sinistra hanno fatto propria la mia posizione, mettendola agli atti del discorso politico ufficiale della città.

Risultato: non si può più dire che “tutta Firenze” si riconosca in Zeffirelli. Esiste ora un dissenso leggibile: che senza quel piccolo tweet non sarebbe mai nato.

2. Necessità del conflitto

Ma perché prendersela con un novantaseienne appena spirato?

Togliamo innanzitutto dal tavolo l’intollerabile ipocrisia del “de mortuis nihil nisi bonum”. Un motto codino, che copre il vituperio privato sotto la coltre della pubblica generazione. Ricordo le polemiche sulle sacrosante critiche innalzatesi contro Sergio Marchionne all’indomani della morte.

Come non vedere che il giudizio sui personaggi pubblici è sempre lecito: e anzi doveroso, perché è su quel giudizio che si costruisce una coscienza civile e politica condivisa? O un domani (che mi auguro sinceramente lontanissimo per tutti i citati: perché altra, intollerabile, cosa è augurare la morte a chicchessia) saremo costretti a tacere il giudizio su Berlusconi o Salvini, Trump o Putin?

Ma perché Zeffirelli?

Perché la glorificazione di Zeffirelli da parte di una giunta comunale che si dice alternativa alla destra di Salvini è un atto culturalmente gravissimo. Che segue la dedica (avvenuta nel 2016, sempre per mano di Nardella) di un piazzale a Oriana Fallaci: un atto che ha la stessa gravità della dedica di una via a Giorgio Almirante, per esempio.

La Fallaci ha espresso le idee che oggi costituiscono l’ossatura ideologica dell’internazionale nera: da Salvini a Bannon a Putin. La teoria della sostituzione del popolo cristiano con quello musulmano che ha armato la mano di Brenton Tarrant in Nuova Zelanda e di Luca Traini in Italia. La Fallaci – che ha scritto di musulmani che «orinano sui Battisteri» e che «cagheranno nella Cappella Sistina» – subì un processo in Francia per istigazione all’odio razziale (infine annullato per vizi di procedura) e una richiesta di arresto per le stesse ragioni da parte di un tribunale svizzero.

Franco Zeffirelli, che considerava la Fallaci «la donna più importante che Firenze ha avuto nel secolo scorso», ha espresso in moltissime occasioni idee razziste; un consenso entusiastico alla pena di morte (da infliggere anche alle donne che hanno abortito); l’idea che esistesse «una parte buona» del fascismo; un ostentato disprezzo verso il movimento gay (e nulla cambia il suo essere omosessuale); una totale identificazione con Berlusconi.

Ora, è legittimo lottare perché la propria città non trasformi due simili personaggi in eroi esemplari? È necessario, io credo.

Ed è necessario oggi in modo tutto particolare. L’egemonia culturale della destra estrema – razzista e fascista – di Salvini si è imposta in un deserto ideale. A quella distopia nera non si oppone – a sinistra – nessuna utopia luminosa: ma solo la difesa dello stato delle cose. La difesa di questo mondo ingiusto e guasto: e felice di continuare ad essere ingiusto e guasto.

A Firenze questo è particolarmente evidente: il governo Pd ha fatto una politica di destra (no alla moschea; zone rosse contro i poveri; sgomberi di case occupate; case popolari prima agli italiani…) e la città è ora trasformata in un luna park del Rinascimento per ricchi (la traduzione in città dell’estetica del lusso che domina il pessimo cinema di Zeffirelli). Nel 1937 Simone Weil scriveva: «Le bellezze di Firenze sono tali che D’Annunzio non sarebbe capace di celebrarle. Lo dico a lode di Firenze … perché questo modo di concepire l’arte e la vita mi fa orrore, e sono convinta che quest’uomo sarà presto profondamente e giustamente dimenticato». La Weil aveva compreso fino a in fondo la misura aspra e civile della bellezza di Firenze: ma il destino della città era sprofondare fino in fondo nella retorica, nell’estetica e anche nell’orrore della visione della vita dannunziana che si condensa in patinatissima cartolina nel cinema di Zeffirelli: che «sarà presto profondamente e giustamente dimenticato».

L’unica religione è quella del brand della città: il culto del successo copre ogni conflitto. Ed è questo terribile tarlo del nostro tempo (il culto dei famosi in quanto famosi) che spiega perché Nardella e i suoi siano – anche su Zeffirelli – in perfetto accordo con Salvini e i suoi. I primi lo fanno per amore del brand e del successo della città: senza pensare a quali valori stiano esaltando. I secondi lo fanno perché Zeffirelli e la Fallaci sono le meno impresentabili figure del loro nerissimo pantheon.

Ma di questo a Firenze nessuno pare accorgersi. L’assessore alla cultura appena nominato non è intervenuto alla presentazione di un libro a cui partecipavo anche io perché – ha detto privatamente – l’opinione che avevo espresso su Zeffirelli era «inaccettabile». E l’attacco di Salvini a chi scrive è stato invocato e preparato da un deputato fiorentino già di Forza Italia e poi passato al Pd di Renzi, che mi ha accusato di aver insultato tutta la città avendo aggredito due «grandi fiorentini».

Il nemico è ora il conflitto in sé: è inconcepibile l’idea che esista una Firenze di destra e una di sinistra. Una che si riconosce in Zeffirelli e nella Fallaci, e una che li aborre. Una che vive della rendita del brand, e una che ne muore. Una che è felicissima dello stato delle cose e di questa dolciastra patina di finzione e di lusso, un’altra che vorrebbe rovesciare il tavolo.

E invece no, non si possono tenere insieme Don Milani e Zeffirelli: o di qua, o di là.

C’è un enorme problema di pedagogia civile e di ricostruzione di un senso comune che riconosca la necessità del conflitto. E in questo lungo lavoro è non solo utile, ma necessario, tornare a dire a gran voce e in pubblico perfino l’ovvio: e cioè che l’estetica e l’etica del mediocre Zeffirelli o dell’orrenda Fallaci rappresentano tutto ciò che non siamo, tuttio ciò che non vogliamo.

 

Gli autori

Tomaso Montanari

Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)

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7 Comments on “Contro Zeffirelli: la necessità del dissenso”

  1. Ciao, letto e condivido molto di ciò che hai scritto, trovo solo superfluo o in qualche modo fuorviante il riferimento all’amico israeliano Sefy Hendler.
    Non perchè israeliano, non perchè ebreo, ma perchè sostiene l’apartheid e l’occupazione militare nel suo paese.
    É un giornalista spesso ambiguo che fa bene a dispensare solidarietà a te sulla “necessità di dissenso” però dovrebbe esercitarlo lui stesso sul suo governo perchè la situazione è molto più grave in quanto il suo “amato paese” viola quotidianamente ogni legge internazionale con una pulizia etnica che va avanti da 70 anni, centinaia di uccisioni, prigionieri politici senza capi di accusa, tortura, assedio.

    Non basta qualche articolo su Haaretz contro Salvini o Trump per essere considerati progressisti, gli argomenti più controversi verso la politica israeliana, sono trattate da Sefy Hendler da cerchiobottista, quanto ho detto si può verificare anche in un suo articolo su una iniziativa realizzata in Francia e contestata dalle associazioni che si occupano di Diritti Umani perchè vista come operazione di pinkwashing per mitigare/offuscare la politica israeliana di repressione nei territori occupati della Palestina.
    Sefy Hendler, in un suo articolo sull’argomento, riconosce l’ambiguità dell’operazione israeliana in Francia ma poi la controbilancia nel peggiore dei modi ripetendo il mantra e mistificando le accuse frequenti “antisioniste” ad israele con quelle “antisemite” all’ebraismo “l’ipocrisia degli oppositori dell’evento: non si oppongono a tutte le violazioni dei diritti umani o delle ingiustizie in quanto tali. Le grida angosciate sono riservate a un solo paese, quello che viene sempre ossessivamente denunciato: lo stato ebraico”.

    Sefy Hendler conclude poi l’articolo con le parole di Ariel Sharon il massacratore del campo profughi libanese di Sabra e Chatila (Robert Fisk https://www.globalist.it/world/2016/05/08/massacro-di-sabra-e-shatila-ce-lo-dissero-le-mosche-53280.html).
    L’articolo che ho citato è di qualche anno fa è si può leggere in originale su Haaretz: http://www.haaretz.com/misc/article-print-page/.premium-the-green-line-is-erased-on-the-seine-1.5387567

  2. Sono totalmente d’accorso con Tomaso Montanari, che oltre che un grande storico dell’arte è una delle pochissime persone che ha ancora in sé i valori di Giustizia e Libertà e aggiungerei anche, per come scende in campo, su questioni come questa del Partito d’Azione.

  3. Condivido in toto!
    No al pensiero unico verso il qualestiamo tutti scivolando.

  4. Caro Montanari anche se sono sempre stato di destra è ho quasi sempre appoggiato la lega. Non quella di Salvini condivido pienamente ciò che hai scritto .Non riconosco più coscienze critiche in questa società plagiata sempre più dal politicamente corretto ,dal adeguarsi ai tempi correnti come bandierine che si ….girano dietro il spirare del vento.Ben ci sta una critica al sommo Zeffirelli peraltro omaggiato da tutta la sinistra.E poi sono in debito con te. …mi hai fatto scoprire …o riscoprire un certo Caravaggio….Continua cosi..

  5. Caro Tomaso,
    volevo ringraziarti per aver dato voce e cittadinanza a chi condivide la tua opinione ma non ha trovato alcuna voce pubblica che la rappresentasse; per il tuo costante esercizio di educazione al senso critico e alla democrazia; e per proporci un’dea di società e di convivenza ben diverse da quella “patinata” che i giornali mainstream continuano a propinarci

  6. Condivido in pieno le argomentazioni di Montanari ed apprezzo la sua lucidità.
    L ‘ unica perplessita’, peraltro condivisa anche da altri, riguarda il riferimento all’ amico Hendler che, pur collaborando anch’egli con Haaretz, non è certamente un Gideon Levy ben noto intellettuale eroicamente schierato contro l’apartheid dello stato di Israele e della società israeliana.

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