Il risultato elettorale e i suoi effetti sono ormai certi. La destra dispone di 112 seggi su 200 al Senato e di 235 su 400 alla Camera. Una maggioranza di assoluta tranquillità, che potrà essere erosa solo da contrasti interni, assai improbabili almeno nel breve-medio periodo. Il prossimo Governo sarà guidato da Giorgia Meloni e vedrà, verosimilmente, il ritorno di Salvini al ministero dell’Interno. Se poi ci sarà risparmiata l’ascesa del cavaliere di Arcore alla presidenza del Senato (cosa nient’affatto pacifica) ciò non dipenderà da ragioni politiche ma solo dal suo imbarazzante decadimento fisiopsichico. Ci sarà tempo e modo di approfondire, sezionare e interpretare i risultati elettorali ma questi dati di fondo sono inequivocamente acquisiti. Da qui occorre muovere fin dalle prime considerazioni a caldo.
Primo. «Poteva andare anche peggio». L’affermazione consolatoria di uno dei personaggi di Altan nella vignetta pubblicata all’indomani delle elezioni del 1994 merita, oggi, la stessa risposta di allora: no, non poteva andare peggio. Certo la destra è, in termini di voti, al disotto della maggioranza (avendo raggiunto solo il 44%) e la crescita dei suoi parlamentari è frutto anche della divisione dello schieramento opposto e di una legge elettorale iniqua e dagli effetti distorsivi ma la sua vittoria non ha uguali, per dimensioni e valore simbolico, nella storia della Repubblica. Basta guardare la sconvolgente omogeneità della carta d’Italia colorata con le tinte di chi ha vinto nei diversi territori e considerare che a stravincere è la forza politica erede di Almirante e di Rauti. È, dopo 70 anni, un vero e proprio ribaltamento, sottolineato dall’affermazione dei luogotenenti di Giorgia Meloni secondo cui la Costituzione del 1948 «è bella ma vecchia».
Secondo. La vittoria della destra si accompagna all’incremento della fuga dal voto, altro elemento che indebolisce l’assetto della Repubblica. Non hanno votato in 18 milioni (il 36,09% degli aventi diritto). Il partito dell’astensione è il più forte nel Paese ed è formato in gran parte da giovani. La cosa non è casuale e non turba più di tanto i partiti che, al contrario, se ne giovano (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/09/23/votare-non-votare-come-votare/) ma evidenzia una disaffezione dalla politica e una crisi della partecipazione difficilmente riassorbibili che minano i fondamenti del sistema democratico. Non consola – superfluo dirlo – il fatto che il fenomeno sia diffuso anche oltre i confini del nostro Paese.
Terzo. Hanno vinto i partiti che, in maniera più o meno marcata, avevano preso le distanze dal Governo Draghi: anzitutto Fratelli d’Italia e, poi, il Movimento 5Stelle. E hanno perso quelli (il Partito democratico e Azione) che di Draghi sono stati i maggiori sponsor e che lo avrebbero voluto ancora in sella dopo le elezioni. Se si tiene conto anche dei consensi ricevuti da Sinistra italiana-Verdi e da alcuni partiti minori, la metà dei votanti ha bocciato il Governo del banchiere prestato alla politica, a cui – va aggiunto – non guardavano certo con entusiasmo gli astenuti. Dunque, l’establishment, i grandi giornali, le organizzazioni imprenditoriali e sindacali, le articolazioni intermedie, gli intellettuali che si sono stracciati le vesti per la caduta del Governo Draghi (e lo stesso presidente del Consiglio, congedatosi dicendo che gli italiani lo avrebbero ancora voluto al timone) non avevano capito nulla degli umori del Paese, oltre che della situazione economica e sociale (ormai sfuggita al controllo e alla capacità di intervento dell’“uomo della provvidenza invidiatoci da tutta Europa”). Non è la prima volta che ciò accade. Era accaduto anche con Mario Monti, e ciò mostra la distanza abissale, il vero e proprio solco esistente tra il paese reale e la sua classe dirigente (a conferma della crisi di sistema cavalcata negli anni scorsi – e in parte ancora oggi – dai populismi di ogni colore).
Quarto. Il balzo di oltre 20 punti percentuali di Fratelli d’Italia (passato in quattro anni dal 4,3% al 26% dei consensi) è enorme ma nient’affatto inedito. L’ultimo decennio ci ha, infatti, proposto veri e propri sommovimenti elettorali con picchi improvvisi per lo più seguiti da cadute più o meno rovinose. Basti ricordare il Pd di Renzi, giunto alle europee del 2014 al 40,8%, il Movimento 5Stelle, balzato nelle politiche del 2018 al 32%, e la Lega di Salvini, cresciuta nelle europee del 2019 sino al 34,26%. La ragione sta nel fatto che, con gli anni ’90 del secolo scorso e la fine dei grandi partiti di massa, il voto ha cessato di essere l’espressione della immedesimazione con una forza politica ed è diventato una scelta tattica contingente, suscettibile di cambiamenti anche in tempi brevi (o addirittura brevissimi). Il boom di Fratelli d’Italia si inscrive in questo filone? Alcuni segnali – in particolare il contemporaneo crollo della Lega, che ha perso in tre anni il 26% dei consensi – depongono in questo senso, ma è quantomeno prematuro dirlo e, in ogni caso, la riprova si avrà solo fra cinque anni…
Quinto. Speculare alla vittoria della destra è, ovviamente, la sconfitta di quel che resta della sinistra: una vera e propria disfatta in termini numerici e, ancor più, in termini di idee e di progetto. Oggi è difficile identificare non solo una sinistra in essere ma addirittura i soggetti che potrebbero concorrere a costruirla nell’obbligato bagno di opposizione della prossima legislatura. Ci sono alcune domande ineludibili: è possibile, dopo la debacle elettorale, una conversione del PD da partito di centro (com’è, nei fatti, dalla sua origine) in partito socialdemocratico capace di alleanze in chiave progressista (come talora lo definiscono, sino ad oggi strumentalmente, alcuni suoi dirigenti)? la svolta a sinistra del Movimento 5Stelle, accompagnata da una esplicita autocritica del suo leader in ordine ad alcune infelici (rectius, orribili) scelte del passato, è stata un espediente elettorale o è una scelta destinata a radicarsi? le residue componenti della sinistra (in particolare Sinistra italiana e le compagini che hanno dato vita a Unione popolare) sapranno uscire, rispettivamente, dalla sostanziale subalternità al PD e dalla coazione a ripetere vecchi schemi, incuranti delle continue, inevitabili sconfitte? il mondo dei movimenti impegnati nei settori del sociale, del lavoro, delle migrazioni, della pace saprà – e, prima ancora, vorrà – mettere in campo un protagonismo anche sul piano della rappresentanza istituzionale? Dipenderà dalle risposte a queste domande la (difficile) inversione degli orientamenti emersi nelle elezioni appena archiviate. Non c’è tempo da perdere: il percorso per la costruzione di una prospettiva progressista deve cominciare domani. Bisogna, inoltre, cambiare metodo, partire dal basso e misurarsi con un’opposizione al modello di sviluppo in atto da attuare nei territori, nelle piazze, nelle scuole…: una costituente di vertici allungherebbe solo l’agonia. E poi bisogna fare i conti con una serie di problemi rimossi a cominciare da quelli di recente richiamati da Ida Dominijanni (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/09/26/25-settembre-il-rimosso-e-gli-spettri/). Solo così la sconfitta non sarà totalmente inutile.
Resto sconcertato da ogni analisi del “dopo voto”.
Si parla di “rimossi”, di alleanze, di campo largo, di “confrontarsi con i territori” etc.
Intervistato Stefano Bonaccini, probabile nuovo segretario del PD, dichiarava che “bisogna sedersi a un tavolo per decidere e capire cosa fare”.
Ma perché fanno tutti finta di vedere il pachiderma nella stanza?
Le “sinistre” e in particolare quella italiana che è morta con la fine del PCI, ha totalmente e inesorabilmente smesso di occuparsi dei temi di sinistra ovvero Stato Sociale, Diritti del Lavoro, Servizi Pubblici.
In un periodo di crisi già decennale, aggravata dalla “pandemia” e con la prospettiva di aggravarsi ulteriormente con il caro energia, inflazione, guerra, in campagna elettorale nessuno, dal PD, m5S e i partiti anti-sistema hanno totalmente ignorato i temi sociali?
I temi di cui sopra sono totalmente spariti dalle agente, dai programmi, non vengono nemmeno più nominati per lapsus freudiano.
Storicamente e ovviamente, se alle crisi non c’è uno Stato che risponde decisamente ed efficientemente, la rabbia, la paura e la necessità spingono le masse verso programmi di destra (o che sperano siano di destra)
L’analisi e le domande da porsi dovrebbero essere sul perché tutte le forze politiche, tutte nessuno escluso, nonostante i temi sociali siano li disponibili non toccati da nessuno e garantirebbero certamente un bacino di voti molto importante, nessuno li ha fatti suoi.
Condivido alcune cose che scrivi, ma penso che sia SBAGLIATO dire che il “PD è un partito di centro” che potrebbe diventare un “partito socialdemocratico capace di alleanze in chiave progressista” …
NO il PD è un partito liberista, atlantica zelante e il principale referente politico delle lobby militare e delle polizie e dell’europeismo liberista …
purtroppo in Italia di sinistra restano solo le sparse lotte quali quelle dei NOTAV, NOMUS, no ecc e dei lavoratori della logistica … tutte lotte che sono lungi dal convergere nella costruzione ex-novo della sinistra …
segnalo questi due articoli
https://www.pressenza.com/it/2022/09/un-po-di-storia-della-sinistra-in-italia-per-capire-lattuale-deriva-a-destra/
e questo è il precedente
https://www.pressenza.com/it/2022/09/il-trionfo-della-post-politica-e-dellanomia-liberista-dallastensionismo-alla-deriva-di-destra-in-italia/
(anche in francese https://blogs.mediapart.fr/salvatore-palidda/blog
un caro saluto
turi palidda