Volerelaluna.it
19/07/2022 di: Valentina Pazé
Irresponsabile. Scriteriata. Opportunista. Così è stata per lo più bollata la scelta di Conte di non votare la fiducia al governo in occasione della presentazione del decreto-aiuti, che ha suscitato la levata di scudi di Draghi e l’apertura della crisi. Una crisi, a sua volta, raccontata con toni esasperati e drammatici da chi continua a pensare a “super Mario” come al salvatore della patria, oggi più che mai indispensabile per far fronte allo sconquasso geopolitico, energetico, economico-finanziario in cui ci troviamo immersi (non senza qualche responsabilità da parte di chi ci ha finora governati, si potrebbe osservare…). Valgano, per tutte, le accorate parole consegnate al Corriere della sera da Antonio Scurati, certo di interpretare lo stato d’animo “di moltissimi italiani”, al pari di Natalia Aspesi ed Evelina Christillen nel loro “Appello agli italiani” comparso su Repubblica (https://www.repubblica.it/commenti/2022/07/17/news/appello_legislatura_disastro_italia-358068947/). Il testo di Scurati è un il pressante invito a «non mollare» rivolto a un «uomo di straordinario successo», che nel corso della sua esistenza «ha bruciato le tappe di una carriera formidabile […], ha retto le sorti di una nazione e di un continente; le ha tenute in pugno con il piglio del dominatore [sic!], sorretto da una potente competenza, baciato dal successo, guadagnando una levatura internazionale, un prestigio globale, un posto di tutto rispetto nei libri di storia». Un uomo che ora – orribile a dirsi – è stato «spinto alle dimissioni da un accanito torneo di aspirazioni miserabili. Da sudicie congiure di palazzo, da calcoli meschini, irresponsabili, spregiudicati di uomini che, presi singolarmente, non valgono un’unghia della sua mano sinistra» (https://www.corriere.it/economia/opinioni/22_luglio_17/caro-presidente-ecco-perche-non-deve-mollare-14a67034-05fc-11ed-b53c-f5a8ed9fedc6.shtml). Tutto riducibile allo scontro adrenalinico tra il maschio-alfa e i suoi ignobili concorrenti?
La caduta del governo Johnson, qualche settimana fa, non aveva ispirato simili peana, né drammatici appelli da parte di associazioni e categorie produttive, né gravi moniti a non «giocare a rubamazzetto mentre la casa va a fuoco e il mondo sta scivolando verso il nulla» (per riprendere il misurato eloquio di Aspesi e Christillen). Domenico Quirico aveva anzi ravvisato nelle dimissioni di Johnson, scaricato dal suo partito dopo l’ennesimo scandalo, il segno di una certa vitalità della democrazia britannica (https://www.lastampa.it/esteri/2022/07/11/news/dimettersi_durante_la_guerra_e_una_prova_di_democrazia-5434806/). Altri avevano commentato, sulla stessa falsariga, che «non è epocale ma naturale l’avvicendamento dei governi» (https://www.quotidiano.net/cronaca/flop-di-johnson-ma-ha-vinto-la-democrazia-1.7861202). Anche durante una guerra. Perfino nel mezzo di una crisi politica ed economica che ci viene, al solito, raccontata come se si trattasse di uno tsunami del tutto indipendente dall’agire umano e non (anche) come l’effetto di discutibilissime scelte, passate e recenti… Da dove viene allora la drammatizzazione estrema con cui il nostro paese sta vivendo questo passaggio politico? Il clima isterico che ci circonda? E che dire dello stato di salute di una democrazia che non può fare a meno del suo “uomo della provvidenza”, da cui dovrà peraltro congedarsi comunque, tra pochi mesi, alla scadenza naturale della legislatura? (https://volerelaluna.it/controcanto/2022/07/16/re-draghi-e-nudo/).
Rispetto a quella inglese, ma più in generale rispetto ai canoni di una democrazia parlamentare, l’attuale crisi è davvero anomala. Un presidente del consiglio si dimette pur continuando ad avere una solida maggioranza, un minuto dopo avere ricevuto la fiducia dal parlamento, con una decisione che non ha nulla di costituzionalmente dovuto, né può essere rappresentata come una conseguenza inevitabile del dissenso su un singolo provvedimento manifestato da una parte della sua originaria maggioranza. Ma questa anomalia, a ben vedere, è figlia di altre, più macroscopiche, anomalie, che marcano la distanza tra il nostro sistema e quello inglese (pur non privo di difetti): prima fra tutte l’esperimento di un governo “senza formula politica” che, in nome dell’emergenza di turno – prima pandemica, poi bellica, poi energetica – ha riunito (quasi) l’intero arco delle forze parlamentari a sostegno di riforme dall’inconfondibile retrogusto neoliberista. Con l’aspirazione a ridisegnare il paese per i prossimi decenni indipendentemente dai risultati delle future elezioni, visto che la rotta è stata già tracciata dall’intoccabile PNRR (ricordate il Draghi Presidente della BCE e il suo “pilota automatico”?).
Più in generale, anomalo, rispetto al dettato costituzionale, è il ricorso smodato ai voti di fiducia in cui il governo Draghi si è particolarmente distinto, nonostante la maggioranza extra-large che lo caratterizzava, sintomo di una concezione “ratificante” del parlamento ed “esecutiva” della politica (Zagrebelsky), che nulla concede alla mediazione che nell’assemblea rappresentativa dovrebbe trovare il suo luogo elettivo. Rispetto alla quale Draghi ha più volta dimostrato insofferenza, quando non vera e propria incapacità di capire, riducendosi la sua cultura politica al “lasciate fare al manovratore”.
Una strana crisi, dunque. Figlia di uno strano governo. E di una strana concezione della democrazia. Che forse solo il ritorno di un po’ di conflitto sociale e politico potrà contribuire a rivitalizzare. Non certo surreali appelli ad affidarsi all’uomo della provvidenza.