La Porsche e la croce di Cristo

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Qual è il prezzo della croce di Cristo? San Paolo (nella prima Lettera ai Corinzi) dice che è un prezzo caro: quello al quale tutti gli uomini sono stati ricomprati dalla morte e dal peccato.

Evidentemente la Caritas italiana di oggi non è d’accordo, visto che cede a un prezzo vilissimo quella croce (che è anche il suo simbolo) perché venga stampata in imbarazzanti pubblicità della Porsche. Vi si legge che «acquistando l’auto dei tuoi sogni combatti insieme a Porsche la povertà alimentare ed educativa nel tuo territorio» perché «Porsche Italia e i concessionari italiani aiuteranno attraverso Caritas 40 famiglie o 10 ragazzi». In pratica, per ogni auto venduta da qui al 10 agosto andranno alla Caritas 1000 euro sui 60.000-300.000 euro e più. E gli acquirenti potranno anche decidere se preferiscono aiutare le famiglie o i ragazzi, in una specie di reality della povertà.

È una pubblicità letteralmente ingannevole. E non tanto perché l’automobile della fotografia appare colorata col tricolore italiano (essendo invece tedeschissima), ma soprattutto perché «acquistando l’auto dei tuoi sogni» tieni in piedi un mondo insostenibile, fondato su diseguaglianze spaventose e sulla continua induzione di bisogni inesistenti. E non combatti affatto la povertà: anzi, contribuisci a perpetuarne i presupposti profondi. Quanto al fatto che la combatteresti insieme a Porsche, questa è l’affermazione più lunare. I ricavi di Porsche nel 2019 ammontano a 28,5 miliardi di euro: se davvero questo colosso volesse «combattere la povertà» avrebbe decisamente altri mezzi che non il patetico obolo di 1000 euro per macchina venduta in Italia, per due mesi.

Certo non si può chiedere alla Caritas di convertire Porsche alla vera lotta alla povertà. E nessuno pensa che Caritas debba rifiutare un’elemosina della Porsche fatta evangelicamente, cioè senza suonare le trombe. Ma tutt’altra cosa è associare il proprio simbolo al logo di un simile bene di lusso, legittimandone così il ruolo sociale. Una specie di clamorosa assoluzione pubblica: la Porsche venduta col bollino della Croce di Cristo. E forse nemmeno questa è la missione di Caritas.

Se aggiungiamo che Porsche appartiene a Volkswagen, già condannata a pagare qualcosa come 30 miliardi di euro per le emissioni truccate nel 2015, lo sconcerto aumenta: possibile che la Caritas legittimi quella distruzione del creato che la Laudato si’ di papa Francesco condanna senza appello?

Nei giorni scorsi Caritas Roma ha presentato un progetto nel quale Amazon dona a cento famiglie tablet e connessioni per seguire la didattica online. Un altro colosso che lava la sua immagine a un prezzo irrisorio.

Basta accendere la tv o sfogliare un giornale per rendersi conto che non c’è marchio che non stia cercando di accreditarsi socialmente dandosi una coloritura patriottica e un’immagine umana e solidale. Un fiume di ipocrita melassa che copre il desiderio, gattopardesco, che tutto a parole cambi perché nulla cambi davvero. Un incontenibile desiderio di tornare di corsa alla mortifera “normalità” di prima: con un’aggravante, che è proprio la strumentalizzazione, a buon mercato, del clima emotivo determinato dalla pandemia.

Per questo è vitale che chi ha un nome (o un simbolo…) credibile non lo metta al servizio di questa forsennata operazione di social washing.

Chiedere giustizia (per esempio tasse progressive e patrimoniali) è il lavoro di una sinistra politica (che non c’è), ma la Caritas una cosa dovrebbe ricordarla: non si può servire a due padroni. E qua è fin troppo chiaro che è la Croce a servire a Porsche e ad Amazon, non il contrario.

Gli autori

Tomaso Montanari

Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)

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5 Comments on “La Porsche e la croce di Cristo”

  1. Avrebbero anche tranquillamente potuto non farlo quindi come al solito in vece che criticare a caso apprezzate. Salutoni.

  2. Non c’è la croce ma il logo della Caritas. Non solo per Porsche, ma anche Esselunga, e forse altre aziende. Non capisco perché è un male che una azienda destini parte del suo profitto per finanziare una associazione che è trasparente e onlus. Vuoi far sparire le aziende? E la Caritas come di dovrebbe finanziare? Non si può andare avanti con la demagogia…

  3. A differenza deicommenti precedenti credo che l’articolo di Montanari colga nel segno. Non è questione di apprezzare o non apprezzare il gesto di alcune imprese, non è nemmeno questine di malvagità delle imprese stesse che sono perfettamente coerenti con il sistema in cui si muovono.
    Viviamo in un sistema che ha come effetto collaterale proprio la disuguaglianza perché il capitalismo è una vera e propria religione che salva soltatno chi ce la fa. In Europa è stato mitigato dalla socialdemocrazia, in Italia direi dalla presenza di forti partiti della sinistra (in passato) che condizionavano comunque l’opinione pubblica e anche da un sentimento cattolico che non permette mai di arrivare agli estremi cui arrivano ad esempio gli Stati Uniti.
    Il problem vero di questi atti liberali di certe aziende è che nonsi esce dal concetto di “carità” e quindi non si entra mai nel concetto di “diritto”. I ragazzi hanno diritto alla scuola, a una scuola di qualità; e famiglie hanno diritto a una casa, una casa dignitosa. Tutti hanno diritto a curarsi bene, a prevenire le malattie, a nutrirsi, alla cultura…. Ecco, nel momento in cui tutte queste cose passano dal gesto “generoso” di un altro siamo nella carità. La parola ha un significato complesso nel cattolicesimo, lo intuisco e non voglio banalizarlo, ma senza la rimozione di ciò che crea disuguaglianze anche questa parola assume un connotato non positivo.

  4. “E non combatti affatto la povertà: anzi, contribuisci a perpetuarne i presupposti profondi.” Già, ha perfettamente ragione Montanari. Questo infatti è nell’essenza anche il rimprovero che Elifaz rivolge all’amico Giobbe, al ricco emiro arabo che non si stancava di chiedersi “perché” (lammah? , maddua?) anche lui, proprio lui, uomo integro e retto, a un certo punto della sua vita ha dovuto portare una croce che abitualmente portavano gli altri, quelli a cui elargiva le sue elemosine.

  5. Forse invece di applicarsi a studiare la costituzione, che pochi in verità hanno studiato, avremmo dovuto studiare a fondo il processo di Norimberga. Troppo facilmente, in moltissimi cadono nell’errore di non considerare uomini quelle persone processate e ritengono che appartenendo invece loro, alla vera umanità se ne possano sentire completamente estranei. La società umana invece se ne dovrebbe sentire pienamente colpevole perché dal crogiolo delle relazioni fra gli individui si è evoluta nei comportamenti individuali per i quali quegli individui potettero considerare normale l’alienazione piena da qualsiasi responsabilità individuale e perciò l’essere strumenti passivi di un meccanismo di cui è oltremodo meritorio seguire le regole. Per forza di cose, sono le situazioni, gli episodi eclatanti che ci danno la misura della condiscendenza assoluta al sistema. Oramai la società esprime una enorme massa di individui integrati, attraverso sfaccettature di visibilità e vivibilità, e chi non vede, non sente, non tocca, non percepisce, non pensa ma al tempo stesso vede, sente, percepisce, tocca quanto gli interessa, come potrà mai pensare diversamente? Povera Democrazia, povera Libertà, povera Società, povero UOMO.

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