Il Governo che verrà: c’è rospo e rospo…

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Le trattative segnano alti e bassi ma il Governo si farà. Per diverse ragioni molte delle quali non esaltanti: dal terrore (più che giustificato) del M5S di essere spazzato via da nuove elezioni alla certezza del Pd (altrettanto giustificata) di essere comunque destinato a restare minoranza; dalla volontà di Renzi e dei suoi fedelissimi di mantenere il controllo dei gruppi parlamentari e di scegliere tempi e modi per iniziare una prossima avventura politica autonoma alle pressioni internazionali sempre più scoperte e smodate. Ma anche per un’altra ragione – l’unica – più nobile: quella di ripristinare un minimo di agibilità politica in una situazione inquinata dalla gigantesca anomalia dello strapotere istituzionale e mediatico di Matteo Salvini (e, con lui, della destra più eversiva) determinato non già dal successo elettorale ma dall’ambiguità del M5S e dall’insipienza del Pd, che hanno regalato al leader della Lega un ruolo governativo di primissimo piano (da lui utilizzato per sconquassi istituzionali senza precedenti e per una spregiudicata operazione di acquisizione di consenso).

A chi chiede elezioni immediate gridando al golpe per il cambio di alleanze va infatti ricordato, anzitutto, che nelle elezioni del 4 marzo 2018 la Lega ottenne, per la Camera, 5.698.687 voti su 32.840.055 votanti (pari al 17,35%, cioè un votante ogni 6 o poco meno) e su 50.782.650 aventi diritto al voto (pari all’11,22%, cioè un cittadino ogni 9) – cifre ragguardevoli ma ben distanti non solo dalla maggioranza ma anche da una posizione egemonica – e, poi, che l’accordo di governo tra M5S e Lega fu del tutto innaturale in quanto concluso dopo una campagna elettorale di durissima contrapposizione e, addirittura, realizzato in forma di contratto (in molti punti aperto) essendosi rivelati impossibili una convergenza e un compromesso. Ciononostante i 14 mesi di governo appena trascorsi hanno visto un ruolo di assoluto primo piano di Salvini (vicepremier e ministro dell’interno) con effetti devastanti sulla cultura, sul costume e sul sentire collettivo. A fronte di ciò il ripristino, prima di tornare al voto, del peso di ciascuno e dell’ordine delle cose risponde a una fisiologica esigenza di igiene istituzionale troppo a lungo trascurata.

Ma c’è modo e modo di farlo e il paradosso in cui versiamo è che la bonifica è affidata, per insuperabili ragioni numeriche, alle due forze – il M5S e il Pd – che hanno consentito o favorito l’inquinamento e che, per di più, erano, fino a due settimane fa, in profondo e aspro conflitto. Di qui – non occorre essere particolarmente avveduti per verificarlo – la situazione kafkiana in atto in cui si intrecciano e si sovrappongono anomalie macroscopiche: la contemporanea rivendicazione di continuità e di rottura con la precedente esperienza di governo, i giochi di parole per occultare la sostanza delle questioni sul tappeto, una trattativa condotta con metodi da suk e con rivendicazioni personalistiche tali da far impallidire il manuale Cencelli di democristiana memoria, la trasformazione dell’avvocato Giuseppe Conte – fino a ieri sbiadito e imbelle esecutore di politiche sgangherate e razziste – in statista di levatura internazionale e molto altro ancora. Non era ineluttabile. Almeno il rito poteva essere meno deludente. Ma tant’è. Questo è il livello delle forze in campo…

Un nuovo Governo si farà, probabilmente di basso profilo, ma si farà. Non sarà ‒ almeno per chi vorrebbe un’uscita in avanti dalla crisi economica, sociale ed etica che attraversa il Paese – un buon Governo. Anzi sarà un Governo che, in continuità con quelli (pur tra loro assai diversi) che lo hanno preceduto, insisterà in un modello di sviluppo ingiusto e devastante incrementando ulteriormente le disuguaglianze sociali e le situazioni di povertà ed emarginazione. Eppure si farà.

Si tratta probabilmente, non certo in assoluto ma nella situazione data, del male minore. Ma non ad ogni costo. La cosa va sottolineata per mantenere aperto, almeno a sinistra, un dibattito sulle reali necessità del Paese e, poi, per indicare alla sparuta pattuglia di Leu (se ancora esiste ed ha una posizione unitaria) le condizioni minime per consentire il via libera a questa esperienza. Al dibattito generale abbiamo già offerto, su queste pagine, diversi contributi (cfr., tra gli altri, https://volerelaluna.it/commenti/2019/08/21/votare-o-non-votare/ e https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2019/08/27/dieci-punti-per-un-governo-che-riparta-dalla-costituzione/). Qui e ora, mentre sembra prossimo lo scioglimento della riserva da parte del presidente incaricato, è bene fermarsi ancora sulle condizioni minime (ma, per questo, irrinunciabili), necessarie per essere della partita: 1) il varo di una legge elettorale pienamente proporzionale, che compensi la riduzione dei parlamentari, altrimenti destinata ad accrescere le rendite di posizioni dei partiti più forti, scardinando ulteriormente la rappresentatività del sistema; 2) provvedimenti legislativi e amministrativi immediati che evidenzino l’abbandono dell’illusione repressiva, nei confronti dei migranti e non solo, come strumento di governo della società e la sua sostituzione con un modello fondato sull’inclusione e il potenziamento dello Stato sociale; 3) l’apertura di un tavolo di discussione a tutto campo sul sistema delle grandi opere in un quadro di politica di tutela dell’ambiente e del territorio che superi le imposizioni e le ipocrisie di questi anni.

Il resto – triste ma doveroso dirlo – esige ben più del Governo che si delinea. E andrà preparato da subito anche con una ripresa del conflitto sociale in un clima politico auspicabilmente diverso. Ma senza queste condizioni, che è possibile inserire in una trattativa vera, non ha senso una fiducia in bianco per evitare il peggio. Perché, alla fine, saremmo al protrarsi del peggio e diventerebbe preferibile un Governo a termine di pura decantazione (cfr. https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2019/08/23/un-governo-per-tornare-alla-costituzione/).

 

Gli autori

Livio Pepino

Livio Pepino, già magistrato e presidente di Magistratura democratica, dirige attualmente le Edizioni Gruppo Abele. Da tempo studia e cerca di sperimentare, pratiche di democrazia dal basso e in difesa dell’ambiente e della società dai guasti delle grandi opere. Ha scritto, tra l’altro, "Forti con i deboli" (Rizzoli, 2012), "Non solo un treno. La democrazia alla prova della Val Susa" (con Marco Revelli, Edizioni Gruppo Abele, 2012), "Prove di paura. Barbari, marginali, ribelli" (Edizioni Gruppo Abele, 2015) e "Il potere e la ribelle. Creonte o Antigone? Un dialogo" (con Nello Rossi, Edizioni Gruppo Abele, 2019).

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