Giuro che non volevo credere ai miei orecchi lunedì sera quando ho sentito a Otto e mezzo, una delle magnifiche sette madamine torinesi “organizzatrici” della manifestazione in Piazza Castello, Patrizia Ghiazza, dichiarare bellamente di ignorare tutto delle problematiche tecniche e ambientali relative alla discussa linea del TAV Torino Lione. Ha detto proprio così: “posso assolutamente dire che non siamo, né io né le altre organizzatrici, competenti per poter entrare nel merito degli aspetti tecnici e ambientali dell’opera”.
Il fatto è che la manifestazione di cui figuravano come promotrici Patrizia Ghiazza e le altre chiamava in causa – forse a loro insaputa, ma indiscutibilmente – proprio il merito delle ragioni tecniche e ambientali dell’opera, per dire che era giusta e buona, e che la si sarebbe dovuta assolutamente fare pena la rovina della città e della Regione. E ora sappiamo che quell'”entrata nel merito” con quella perentoria conclusione, era avvenuta nella più completa ignoranza dei dati fondamentali, dei più elementari fattori di valutazione, per un atto di fede, diciamo così, nei confronti dei governi precedenti e nel valore metafisico dell’opera. Esattamente all’opposto del movimento contro cui tutte quelle persone sono state chiamate in piazza, il movimento No-tav, che ha sempre fatto, fin dalla sua origine, per più di vent’anni, puntigliosamente, quasi ossessivamente, dei dati tecnici dell’opera (flussi di traffico, impatto ambientale, dimensione dei costi e dettagliate voci di spesa, alternative operative), e dell’informazione su di essi, il principale argomento della sua opposizione .
Se un aspetto ha colpito coloro che si sono occupati, anche in chiave scientifica – politologica, sociologica, antropologica -, di quel movimento, è stato la costante abbondanza di documentazione e di informazione tecnica presente nei loro siti, al contrario degli opposti siti “Si-Tav” (a cominciare da quello di Telt), generici e reticenti. E a me personalmente ha fatto sempre molta impressione, fin dal 2005, dai tempi di Venaus quando incominciai a osservare la Valle, la competenza non solo degli “attivisti” e dei promotori dei Comitati e delle manifestazioni, ma dei manifestanti stessi. Irsuti montanari e madri di famiglia o nonne, ragazzotti delle superiori o artigiani di valle, pensionati, operai, commercianti, sapevano di logistica e trasportistica, del “Corridoio V” e delle “rotture di carico” con il loro aggravio di costo, di flussi di traffico su gomma e su ferro e di sistemi idrogeologici, dell’impatto degli scavi sulla qualità e quantità delle acque e sulle polveri sottili. Nessuno di loro si è mai sottratto al confronto sui contenuti dicendo di esserne all’oscuro! Ora, che nella rappresentazione da parte dei “giornaloni”, quegli uomini e quelle donne vengano dipinti come rozzi cultori del “nimby“, sorta di nuovi barbari pre-illuministici in conflitto con la modernità, mentre la folla di Piazza Castello viene promossa a esempio di buona cittadinanza, fa parte del mondo alla rovescia prodotto da una sfera mediatica intossicata da interessi predatori e per questo generatrice di sfiducia su scala allargata.
Esemplare, d’altra parte, l’atteggiamento nei loro confronti esibito, senza reticenze, da un’altra delle “fatine” torinesi, Giovanna Giordano, che a proposito della resistenza dei valligiani ha detto, testualmente, ad Agorà: “Se ci credono veramente e amano la decrescita felice, qui intorno in Piemonte ci sono tante meravigliose valli dove possono comprarsi una mucca e una pecora e decrescere felicemente. Ma che lascino vivere noi.”. Giovanna Giordano detta “Nana” dagli amici, nominata sul campo da Repubblica “madamina di ferro, informatica e nonna” , nell’enfasi del suo speach, dimentica che “loro” – i valsusini refrattari – stanno nella loro Valle, dove vorrebbero che li si “lascino vivere” senza avere il proprio territorio devastato dal treno degli altri, mentre “noi” – il NOI di Giovanna, intendiamoci – abitiamo in città ignorando del tutto, come si è visto, l’impatto su “quel” mondo che evidentemente non ci riguarda. Le ha già risposto, in modo esemplare, in questo stesso sito, il sindaco di Susa Sandro Plano. Qualcun altro ha ricordato la Maria Antonietta del “mangino brioches”. Ma si potrebbe anche evocare il Marchese del Grillo, quello del “Io sono io e voi…”. In quel “Che lascino vivere noi!” (abbandonando le case “loro“) c’è tutto un programma, o meglio un profilo: da razza padrona. Da ceto medio-alto predatorio, che non vede l’altro perché ripiegato su di sé, sulle proprie credenze infondate ma indiscutibili, la propria rete di pari elevata a mondo, i propri piccoli interessi promossi a Nomos. Il salotto di nonna Speranza con le sue “piccole cose di pessimo gusto” proposto come modello estetico assoluto.
Certo, si potrebbe non farla troppo grossa. E considerare quell’esternazione un “refuso retorico”, una sorta di incidente comunicativo – insomma, una voce dal sen fuggita -, ma sarebbe in qualche modo riduttivo. Perché in realtà c’era in quelle due righe, sintetizzato, un po’ tutto il mood di buona parte del management torinese: il sentimento sotteso alla parte più determinata di quella piazza – il suo nocciolo duro – costituito da quel mondo delle imprese e delle professioni cittadine che eleva se stesso a misura dell’universo avendo perduto però le proprie capacità propulsive. Declinante, ma determinato tuttavia a non mollare la presa sul proprio contesto, considerando ogni bene comune “disponibile”. Ogni dimensione pubblica privatizzabile. E ogni alterità – quali che ne siano le ragioni – irrilevante. Altro che “Cittadini con il senso del dovere” di cui vaneggia Vladimiro Zagrebetsky (Vladimiro, si badi! non Gustavo) su La Stampa. Un esempio per tutti: il Presidente della Camera di Commercio, tal Vincenzo Ilotte, che dichiara senza un attimo di resipiscenza che “La Città si è formalmente espressa sulla Tav, non credo ci sia molto da discutere”. Sì, proprio così: non crede che ci sia più “molto da discutere” perché – in piazza, evidentemente – la Città si è “formalmente espressa”. Formalmente! Che, se le parole hanno ancora un qualche senso dovrebbe voler dire seguendo una qualche procedura di legittimazione. E dimentica che l’unica espressione “formale” è stata la deliberazione del Consiglio comunale (che la si giudichi opportuna o meno) con cui si è dichiarata “formalmente” Torino Città No-Tav. E che i 20 o 25 o 30mila di Piazza Castello sono pressoché un decimo dei torinesi che due anni fa hanno eletto a maggioranza quel Consiglio e quella Giunta. Questo sarebbe un esempio di coscienza civica? O anche solo di cultura democratica? Personalmente mi sembra un perfetto esempio di quel “populismo” contro cui si dice al contrario di volersi opporre.
Il problema però non sono le singole persone. Il problema, inquietante, per certi aspetti disperante, è che quello “stile” ha animato tutta la preparazione della mobilitazione di sabato 10 novembre. L’asfissiante campagna mediatica, guidata dai giornali cittadini Stampa e Repubblica, appartenenti ora al medesimo gruppo finanziario assai interessato all’Opera. Nei dieci giorni di bombardamento mediatico non una voce fuori dal coro, non un dato (*), una documentazione, una valutazione indipendente. Niente pensiero, niente ragionamento, niente argomentazione razionale. Molti, troppi slogan. Spacciati a piene mani come verità sacrali (di quelle che non hanno bisogno di conferme fattuali perché sarebbero auto-evidenti). Nessuno ha detto ai cittadini chiamati al giudizio di dio della piazza, che quel treno è fatto per le merci e non per i passeggeri. Che tra Torino e Lyon (e Parigi) c’è già un treno veloce – un Tgv – cinque volte al giorno, sulla linea storica, che attualmente è utilizzata a meno di un quinto della sua capacità. Che i flussi di traffico tra Italia e Francia sulla direttrice alpina sono in calo da anni, sia su rotaia che su autostrada. Che supposto che si facesse il “tunnel di base” di 57,5 km, la linea si fermerebbe a St. Jean de Morienne, tra i pascoli, sul versante francese (perché la Francia non ha deliberato le infrastrutture di raccordo e non ne ha per ora intenzione) e a Susa sul versante italiano. E, a proposito di tunnel di base (il cui impatto sul sistema idrogeologico della Valle ma anche di Torino sarebbe pesantissimo), che nonostante viaggi per quasi l’80% in territorio francese sarebbe pagato per circa il 60% da noi!). Che del mitico “Corridoio V” (il quale secondo le allucinazioni dei nostri politici regionali dovrebbe collegare Lisbona con Kiev, anzi, secondo le ultime esternazioni, l’Alantico e il Pacifico) non c’è traccia, non esiste più perché Portogallo e Spagna si sono chiamati fuori e dalla Slovenia in là nessuno ci pensa, per cui le tante decantate merci dovrebbero proseguire verso est sui famigerati camion o arrivare in camion per andare verso ovest (dove? mah?)…
E’ assai probabile che una parte almeno del successo di pubblico di quella manifestazione sia dovuta – oltre alla mobilitazione dei “media” e delle corporazioni cittadine – alla pessima prova offerta in questi due anni dalla giunta Appendino: dal suo pressapochismo, dalle troppe assenze dai luoghi dolenti del tessuto cittadino, dalla promesse non mantenute, dall’isolamento sociale in cui si è confinata. C’era, in quella piazza, anche tanto giustificato disagio. Ma il giudizio sulla promozione dell'”evento” e sulla sua gestione non cambia. Resta imbarazzante – francamente imbarazzante – che l’imprenditoria di una città che è stata, per buona parte del Novecento, un esempio di livello mondiale di “company town” – un modello di capacità industriale potentissimo – si riduca oggi ad affidare il proprio futuro a un’idea vuota – a impiccarsi a un totem fradicio, abbiamo scritto -, cioè a un simbolo quale il Tav fallito in partenza, immaginato in un tempo e in un mondo finiti, destinato allo spreco massiccio di risorse che – con un uso più assennato – potrebbero rivelarsi importanti. Fa male vedere che gli operatori economici di una città un tempo abitata da produttori orgogliosi di sé si riducano a pietire eventi e opere quali che siano purché alimentino flussi di denaro octroyé, concesso da Roma o dall’Europa, anziché contare sulla propria capacità innovativa e sulla creatività del sistema urbano. E’, in qualche modo, il “sistema Torino” – la configurazione di interessi economici, politici e bancari che ha gestito il declino di Torino nel trentennio trascorso e che si è mossa in piazza per riperpetuarsi, con gli stessi volti, le stesse sigle (il Pd buttato fuori dalla porta alle amministrative e rientrato dalla finestra in piazza) allargate ora alla destra, Forza Italia in primis, ma anche Fratelli d’Italia e soprattutto la Lega. La Lega di Salvini, aggiuntasi all’ultimo momento perché sa che, in casi come questi, gli ultimi saranno i primi e, con molta probabilità, sarà lei l’utilizzatore finale di tutto ciò.
Come dire che le fatine turchine di Torino hanno lavorato, in fondo, per il Re di Prussia.
(*) Alla fine, post festum – a metà della week after – l’ineffabile Paolo Foietta (Commissario di Governo al Tav, che di Tav vive e vorrebbe sopravvivere) ha emesso un’ampia gittata di dati – un “Dossier” lo chiamano -, su cui interverremo nel dettaglio nei prossimi giorni, ma di cui si può già dire che, come il ruolo del loro comunicatore, appaiono assai improbabili.
Lei scrive : «C’era, in quella piazza, anche tanto giustificato disagio». È questo il dito oppure la luna ? bloccare la linea TAV allevierebbe questo disagio ? o bloccherebbe l’indice del debito americano che scorre qui accanto ?
Per la verità parlavo del disagio rispetto alla deludente amministrazione Appendino a Torino. Ma se Lei si riferisce al disagio sociale del Paese, non so di quanto verrebbe alleviato dalla cancellazione del TAV, ma di sicuro verrebbe aggravato da una sua conferma per il semplice fatto che si sprecherebbe un bel po’ di denaro pubblico che potrebbe essere meglio speso in servizi e infrastrutture utili. E sicuramente verrebbe alleviato il disagio, enorme, degli abitanti della Val di Susa! Allo stesso modo non capisco perché Lei chiami in causa il “debito americano” su cui evidentemente la rinuncia alla Torino-Lione non avrebbe alcun effetto, ma influirebbe sicuramente sul debito italiano dal momento che si risparmierebbero alcuni (molti) miliardi.
Avevo capito che Lei si riferiva al disagio nei confronti dell’amministrazione Appendino. Ma la politica della giunta torinese è congruente con gli orientamenti politici generali dell’attuale governo, che non mi pare facciano politiche tali da affrontare alla radice il disagio sociale che investe il nostro paese e non solo il nostro. Il governo sta solo cercando di dirottare risorse già stanziate per le infrastrutture, allo scopo di convogliarlo, come Lei sa, sul supposto “reddito di cittadinanza”, la flat tax e la riforma delle pensioni, tutti provvedimenti, questi sì, che aggraverebbero il debito, senza risolvere il problema di fondo che produce il disagio sociale (precarizzazione del lavoro e taglio del welfare), ossia il dominio delle politiche economiche e finanziarie neoliberiste. Di qui il riferimento al debito USA, finanziato dal “quantitave easing”, che ne è una delle massima espressioni. E quindi la mia conclusione a proposito del blocco della linea TAV: non credo che la decisione di bloccare i lavori della TAV possa in alcun modo influire sulla risoluzione di questo problema di fondo e quindi riuscire ad alleviare il disagio sociale che, date queste premesse, è destinato solo ad aumentare. A Bologna dicono “piuttosto che niente è sempre meglio piuttosto”, ma in questo caso mi pare che non ci sia nemmeno il piuttosto.
Non riesco a credere che un illustre cattedratico, figlio, mi dicono, di un ancor più illustre padre, possa scrivere un articolo così velenoso e compiacente verso i NoTAV, che come movimento trovo paragonabile ai Testimoni di Geova (mentre come singole persone ne conosco anche di intelligenti.)
Forse che tra i NoTAV tutti sono tecnici o scienziati o colti a sufficienza per capire se le ragioni portate dal movimento sono tutte valide o sono delle fake news? Sono certo che no. Così vale per qualsiasi gruppo di più di tre persone, figuramoci per le decine di migliaia di persone che hanno partecipato alla manifestazione o scrivono al blog del Gruppo.
Parlando ora invece tra persone di cultura, lei politica d economica, io scientifica e tecnica come ingegnere che svolto attività di ricerca nel CNR per moltissimi anni, non mi venga a sostenere che le questioni ecologiche portate per negare la TAV, in partenza sostenibili, non siano poi risolubili con soddisfazzione di tutti. Io sono anche MOLTO informato sul progetto TAV, ci ho riflettuto molto, e le posso assicurare che le questioni ecologiche per la Bassa Valle sono perfettamente risolte o risolubili con completa soddisfazione dei suoi abitanti, anche senza bisogno della drastica soluzione della galleria Chiomonte-Orbassano e senza preoccupazioni per le macerie di scavo.
Dal punto di vista economico, non vedo perché i NoTAV non abbiano mosso un dito per il raddoppio della galleria autostradale, che comporterà anche in Bassa Valle un raddoppio e (in mancanza della TAV) un notevole incremento di traffico su gomma (ecologico, eh?), ciò anche in barba alle direttive europee per il futuro (a meno che il movimento non abbia nemmeno capito l’importanza dell’Unione Europea).
Parlando di ferrovia, un trasporto ecologico, non capisco poi come si possa negare o trascurare in fatto che un tunnel vecchio di 150 anni non sia più in grado di svolgere sufficientemente la sua funzione per il traffico merci (il Ponte Morandi insegni, anche se una galleria non crolla, in genere)
Non capisco infine come non si capisca che la situazione commerciale mondiale negli ultimi venti anni è totalmente cambiata, specialmente con l’esplosione economica della Cina. Ciò ha dei limiti nell’economia globale, ma per i Paesi europei non-atlantici, ha invece molti specifici vantaggi, come la Nuova Via della Seta (che a quanto pare il Governo vuole sottoscrivere). Conosco la Cina d 30 anni, cioè da prima del boom, e trovo lungimirante, sotto ogni aspetto, l’idea della Nuova Via della Seta. Oggi, che nessuna impresa manufatturiera fa più magazzino, la rapidità nel trasporto merci è diventata importante proprio per i segmenti più ricchi. Infatti la Cina ha già dichiarato che, nonostante costi il doppio del trasporto su nave, l’attuale Via (che arriva già in Germania) è conveniente perché il trasporto dura 10 gg invece di 3 mesi.
Finisco dicendo che una persona intelligente non deve mai scendere al livello del dileggio delle idee altrui.
Cordialmente
Dott. Ing. Franco Pavese
Rispondo sinteticamente per punti:
1. Circa il “dileggio delle idee altrui” faccio presente che per dileggiare idee occorrerebbe che esistessero idee. Nel caso specifico si trattava da una parte di slogan ripetuti senza alcuna conoscenza della problematica in questione, come ammesso direttamente dall’interessata, dall’altra di una grezza ostentazione di aristocratica arroganza da “classe eletta” o, come ho scritto, da “razza padrona”. Le “idee”, mi permetta, sono altra cosa.
2. Circa le competenze dei valsusini, La inviterei a verificare sul campo, come un “direttore di ricerca” dovrebbe fare: scoprirebbe un sapere assai più diffuso di quanto Lei mostri di credere. E comunque assai più diffuso che tra le promotrici della maniofestazione Si Tav di Torino.
3. Mi stipisce che un tecnico come Lei si qualifica usi espressioni quali “le posso assicurare che le questioni ecologiche per la Bassa Valle sono perfettamente risolte o risolubili con completa soddisfazione dei suoi abitanti […] senza preoccupazioni per le macerie di scavo”, e non si senta in dovere di portare un solo esempio o dato di fatto a conferma della Sua rassicurazione perentoria. Scrivono ad esempio gli stessi progettisti dell’opera nel documento “PRV C3B 0086 Gestione del materiale contenente amianto” del 5 maggio 2017, che le rocce intercettate dal Tunnel di Base a est della Piana di Susa “sono caratterizzate dalla presenza ubiquitaria di amianto (tremolite, actinolite e crisotilo), in forma sia fibrosa che aciculare, e da concentrazioni in amiano totale altamente variabili. Considerando i risultati ottenuti dai sondaggi S9 ed S11 è quindi ipotizzabile che le metabasiti attese a partire da circa 400 metri dall’imbocco est del Tunnel di Base siano caratterizzate da concentrazioni in amianto localmente anche elevate”. Lei, se la sente di tranquillizzare gli abitanti delle aree interessate allo smaltimento dello smarino, affermando che avendoci riflettuto MOLTO è tutto “pefettamente” a posto? Non si rende conto che proprio questo uso spregiudicato del sapere – o meglio di ruoli in istituzioni scientifiche – per sostenere decisioni controverse e allarmanti orientandole a soluzioni tali da soddisfare interessi molto consistenti è alla base del discredito delle “autorità scientifiche” e della diffidanza oggi assai diffusa? Il “credi a mme!”, abbia pazienza, non basta e anzi è assai controproducente.
3. Sulla “seconda canna” autostradale del traforo del Frejus La informo che da sempre i comuitati No-Tav della Valle sono stati contrari e continuano a esserLo. Si rivolga piuttosto alla SITAF – “nemico storico” del movimento ma non altrettanto dell’Opera che a Lei piace tanto -, per dirigere le Sue rimostranze.
4. La informo, nel contempo, che il traffico su gomma non è cresciuto in misura rilevante negli ultimi anni, attraverso il traforo e tra Bardonecchia e Avigliana, e anzi è diminuito notevolmente – in parallelo con la contrazione del traffico su rotaia attraverso quella stessa linea storica che secondo i fautori del TAV avrebbe dovuto esserer satura da qualche tempo.
5. Quanto alla cosiddetta “via della seta” è l’ennesima ciambella di salvataggio (senza buco) a cui gli eterni fautori del TAV hanno di recente appeso i loro argomenti difficili da sostenere (dalla fine degli anni ’90 ne hanno utilizzato un’intera girandola). Come Lei dovrebbe sapere non si tratta di una linea ferroviaria ma di una “cintura” (una belt) entro cui potenziare l’interscambio di merci da parte di un’economia (per ora) in crescita. All’interno di essa il trasporto su rotaia, per circa 8.000 chilometri, costituirebbe per ora solo un “plan B”, essendo di gran lunga preferibile la via marittima, ma che potrebbe diventare all’ordine del giorno nel caso (infausto) in cui il contenzioso con gli Stati Uniti dovesse superare il livello di guardia e fare ipotizzare un blocco navale. Senza questa non desiderabile ipotesi la nave resterebbe il mezzo di gran lunga meno costoso, e fin d’ora chi progetta sull’ipotesi della via della seta pensa soprattuttoi ai nostri porti, in primo luogo Trieste, e a una direttrice di traffico sud-nord, non certo a quella est-ovest in cui si inserirebbe il Tav in Val di Susa. E’ bene comunque essere consapevoli che, nonostante il battage politico e mediatico, l’Italia sarebbe un tassello molto marginale di quel “sistema”. Giusto per non farci soverchie illusioni…
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Ho lavorato per 30 anni nella logistica e nel trasporto ferroviario r combinato. La linea ferroviaria TAV Totino Lione è un’opera strategica ed essenziale per colmarr il GAP di collegamenti Italia- Francia – Spagna, che hanno fino ad ora privilegiato il trasporto su gomma altamente inquinante e distruttivo per l’ambiente. Le vostre proteste hanno agevolato l’incremento del trasporto stradale a danno dells valle di Susa, influendo negativamente sull’economia del Nord Ovest e di tutta l’Italia. Contro il traforo stradale del Frejus e del suo raddoppio non avete mosso un dito, lì non c’era amianto e Uranio.?Il TGV francese sulla tratta Torino Modane non raggiunge la media di 80km/h , perchè la linea attuale non è fatta per l’alta velocità. Tutto questo ha portato grossi vantaggi a chi gestisce le autostrade, e a voi?
So benissimo che Lei ha “lavorato per 30 anni nella logistica e nel trasporto ferroviario”, una parte di questi – vedo dal Suo profilo – come Presidente della SADA spa, operatore intermodale, attiva nel trasporto merci su ferrovia. Il che fa di Lei sicuramente un osservatore informato (al contrario delle “madamine” torinesi) ma certamente non disinteressato. Anzi un osservatore molto interessato, dal momento che le società come quella vedono senza dubbio nel TAV Torino Lione un’occasione di business, a prescindere dalla sua utilità pubblica, anzi eventualmente anche a danno dell’utilità pubblica. Infatti alcune delle Sue osservazioni non corrispondono a verità. Che la Francia abbia, nei passati decenni, “privilegiato il trasporto su gomma” è perlomeno discutibile, essendo quello il Paese che più ha sostenuto il mezzo ferroviario inaugurando per primo una rete ad Alta velocità (se il trasporto su ferro non è decollato, è perché giudicato dagli utenti meno conveniente: per “sostenerlo” ulteriormente sarebbe necessario elevare a tal punto le tariffe autostradali da generare effetto economici non sostenibili). Che le “nostre proteste” abbiano determinato un qualche aumento del traffico sull’autostrada Torino-Bardonecchia è del tutto falso, basta vedere i flussi di autoveicoli e soprattutto del traffico pesante per capire che da anni ed anni è stabile e additittura in declino. Ribadisco che i Comitati della Valle sono stati da sempre ostili alla seconda canna del tunnel stradale, se non altro perché essendo composti da gente che abita in quel territorio e non essendo masochisti non desiderano affatto respirare aria inquinata. E a questo proposito, per favore, voi fautori del TAV, non impancatevi a ecologisti dell’ultima ora, e soprattutto non date lezioni di rispetto dell’ambiente a chi da decenni si batte contro inquinamento e consumo di suolo, voi che irridevate chi denunciava i mutamenti climatici tacciandolo di anti-progresso. E poi, Lei che da 30 anni se ne occupa, è così convinto che l’Alta velocità su rotaia sia a inquinameno ZERO? I treni AV consumano qyuantità molto elevate di energia elettrica che deve comunque esserre prodotta in qualche modo (in minima parte con centrali ideroelettriche, nella maggior parte dei casi con idrocarburi e in Francia col nucleare (dalla padella alla brace). Npn solo ma sul piatto dell’inquinamento e delle polveri sottili occorrerebbe, da parte di chi è favorevole all’opera, mettere il peso delle sostenza inquinanti, in primis polveri sottili, liberate nell’atmosfera dai cantieri di lavoro e dallo smaltimentoInfine dello smarino). E infine, quanto ai vantaggi in termini di tempistica e di risparmio di tempo per i treni passeggeri: il TGV viaggia in galleria nell’attuale “linea storica” a 80 km orari, impiegando tra Bussoleno e Sr.Jean de M.A. un’ora e 13 minuti. Se anche sulla nuova linea si viaggiasse a 120 o mettiamo pure a 165 km orari (come calcolano i fautori dell’opera per i treni tasseggeri) per percorrere i 57,5 km il TAV impiegherebbe tra i 21 e i 28 minuti, a cui aggiungerne altri 10-15 per raggiungere la banchina d’arriuvo: un risparmio di una quarantina di minuti (massimo 45-50). Non certo una tempistica tale da giustificare l’enorme investimento di risorse sottratte al resto della rete, in particolare quella di brave raggio, dove i pendolari devono sciontare tempi di trasporto eterni.
Concordo sulla sua lucida esposizione e sull’altrettanto replica all’Ingegnere che taccerebbe le opinioni contrarie alla “Si TAV” dall’alto della sua professionale conoscenza tecnica. Senza inficiare gli apporti dati da questa figura, desidero però far notare che l’opera di cui si parla – a parere di molti che sono di più dei favorevoli – non racchiude solo ed esclusivamente aspetti tecnici, ma bensì molto di più di natura politico-economica e quindi di maggior pertinenza dei politici. Premesso questo, e credo che non possa essere smentito, mi viene da sorridere che le “Portabandiera” del Si TAV candidamente affermano la loro completa estraneità alle problematiche dell’opera ma non disdegnano, con fumose motivazioni, di sostenerne la realizzazione. Resta in tutto ciò lo stupore del numero dei manifestanti “portati” in piazza dalle “Madamine” non comprendendo quali possano essere le argomentazioni da esse portate per conseguire tutto quel consenso.
Professor Revelli,
mi permetto due osservazioni rispetto a quanto lei ha scritto:
– non c’è alcun problema di smaltimento dello smarino delle rocce contenenti amianto. Il volume di tali rocce non è elevato, visto che si tratta di lenti di pietre verdi presenti in modo discontinuo (per il 15% circa) su un tratto di 400 metri. E’ previsto di scavare una nicchia a lato della galleria e di confinare nella nicchia le rocce con fibre di amianto, che in tal modo neppure usciranno dal cantiere di scavo.
– il trasporto su ferrovia è 2 – 3 volte più rapido del trasporto su nave, per cui è competitivo per alcune tipologie di merci
– lei parla del porto di Trieste. Aldilà della via della seta, il futuro del porto di Trieste sembra roseo, perché l’Austria ha costruito due tunnel di base ferroviari (Semmering e Koralp) con caratteristiche simili a quelle del tunnel di base della Torino – Lione che unite al valico di Tarvisio consentiranno a Trieste di tornare a essere il porto della Mitteleuropa. Invece Genova senza Terzo Valico si troverà a disporre di collegamenti inadeguati rispetto agli altri porti europei e Torino e il Piemonte senza Torino – Lione si troveranno a dipendere da collegamenti obsoleti.
– le principali direttive europee si stanno muovendo verso linee ferroviarie in grado di consentire il traffico di treni merci lunghi fino a 750 metri, con peso trainato fino a 2000 tonnellate, con sagoma vagoni PC8/0 trainate da una solo locomotiva. Questo varrà per i collegamento verso il nord e est Europa, per la Napoli – Bari, per la Palermo – Catania, ma non per Torino e il Piemonte, che continueranno a essere condizionati dalla linea storica del Frejus, che consente il passaggio di vagoni con sagoma PC/45 in senso unico alternato, treni al massimo di 500 metri e che richiede fino a tre locomotive per un solo treno merci.
Quella è la prima vena di amianto, incontrata fino ad ora (nella fase preliminare dell’opera). E le prossime prevedibili? La sufficienza con cui è trattato questo problema mi preoccupa.
“Più competitivo per quali merci?” – Il gioco vale la candela? La nave è sicuramente meno invasiva e inquinante.
Il porto di Trieste serve appunto l’asse verso nord, che è in sviluppo, a differenza di quello occidentale verso la Francia che è in declkino.
Le Direttive europee – sulla cui fondatezza e qualità ci sarebbe molto da discutere – possono suggerire le lunghezze dei convogli e i volumi di merci ideali fin che vogliono. Se non c’è la materia da trasportare non bastano, magicamente, a moltiplicarla.
Ben venga il rafforzamento (è un eufemismo, occorrerebbe dire la costruzione) della rete ferroviaria al Sud, ce n’è un bisogno vitale. Lei lo sa che manca ancora il raccordi ferroviario (di pochissimi chilometri) tra il porto per container di Gioia Tauro e la rete nazionale? In questo senso la NTLN non mi sembra affatto una priorità. Men che meno “assoluta”.
Non riesco a credere che un dirigente di ricerca del CNR che dovrebbe essere abituato a ragionare sulla base di dati e con strumenti matematici atti alla predisposizione e interpretazione di esperimenti esprima posizioni fermamente ideologiche (da vocabolario una posizione ideologica è quella non fondata su dati e ragionamenti ma su assunzioni a priori non verificate né verificabili) riguardo allo scavo di una galleria di 57,5 km (senza una nuova linea cui collegarsi) e alla probabilità che l’opera possa generare ritorni anziché debiti. I dati, che sono sempre molto testardi, dicono che i flussi di merci (le tonnellate) hanno avuto un andamento crescente lungo le direttrici nord-sud e non est-ovest. Ultimamente anche la tendenza a far crescere le tonnellate ha peraltro manifestato un certo rallentamento anche sugli assi Nord-Sud (oltreché a scala globale). La “via della seta” di cui parla e su cui le ha già ben risposto Revelli arriverebbe (e per la verità già arriva) nel cuore dell’Europa a Duisburg e guardando una cartina geografica sembrerebbe piuttosto stravagante che da lì per arrivare in Italia le merci poi passassero da Lione piuttosto, una volta di più, che in direzione sud. Allo stesso modo le merci provenienti dall’oriente o lì destinate che si attestano ai porti della sponda nord del Mediterraneo per collegarsi poi al cuore dell’Europa imboccano corridoi orientati prevalentemente da Nord a Sud, non da est a ovest. Sulla questione dei camion, che possono perdere la competizione con la rotaia solo su distanze abbastanza lunghe, diciamo un migliaio di km, il parametro chiave per spingere gli spedizionieri ad usare il treno anziché la strada non è la presenza di una nuova infrastruttura di per sé, ma il costo per tonnellata e per km. Finché la strada costa di meno le merci vengo incamminate sulla strada: in Svizzera prima di qualsiasi infrastruttura è stata introdotta una tassazione dell’attraversamento del paese su gomma e si è intervenuti su flussi ferroviari crescenti anche attraverso tunnel, come quello del Loetschberg alto come il Fréjus e un po’ più lungo inaugurato nei primi anni del ‘900. Viceversa nel nostro paese l’acquisto di carburanti da parte degli autotrasportatori fruisce di agevolazioni che favoriscono i camion a spese di tutti. Perché nessun governo ha iniziato politiche di progressiva riduzione di queste agevolazioni al fine di convogliare più merci sulla ferrovia? L’eurovignette tra Italia e Francia non esiste e la decisione del governo francese di alzare il costo dei carburanti per ragioni ambientali stiamo vedendo che difficoltà incontra. Se lei ha studiato a fondo il progetto della nuova linea Torino Lione saprà benissimo che la linea come tale è stata mandata tanto dalla Francia che dall’Italia in un limbo temporalmente indistinto mantenendo solo il costosissimo tunnel. In compenso avrà notato che nell’unica analisi costi benefici pubblicata nel 2012 (e ora lasciata ufficialmente cadere dal quaderno n. 10 dell’osservatorio della presidenza del consiglio dei ministri) sono stati messi in opera degli artifici, mi consenta, poco dignitosi per dei professionisti di modellistica previsionale al fine di ottenere il risultato che stava a cuore al committente. Un luminoso esempio è stato quello di attribuire alla CO2 eventualmente risparmiata valori compresi tra 6000 e 8000 €/ton quando la prassi dovunque in Europa per opere di pari rilevanza è quella di stimare valori che oscillano tra 80€ (diciamo qualche decina di Euro) e 200 €/ton. Non è l’unico esempio, ma non posso abusare dello spazio qui disponibile. Forse un atteggiamento più scientifico e come minimo razionale potrebbe meglio tutelare l’interesse pubblico. Viceversa pare che una parte della imprenditoria nostrana trovi normale convertire denaro pubblico in utili a breve termine per un segmento sociale limitato e in debiti a lungo termine per tutti gli altri.
La fata sarà anche ignorante, ma perlomeno è lei stessa ad ammetterlo. Mentre lei Revelli, che è uno storico e che da tempo si interessa al tema della nuova Torino-Lione, alibi a giustificazione non ne trova. Già perché la “più completa ignoranza dei dati fondamentali” e gli slogan non sono solo degli altri.
Infatti lei dice che “quel treno è fatto per le merci e non per i passeggeri” e lo chiama TAV; evidentemente ignorando che la NLTL è una linea mista con un tunnel di base che ha le stesse caratteristiche di quelli realizzati o in costruzione sull’intero arco alpino (Lötschberg, Gottardo, Ceneri, Brennero, Semmering, Koralm). Che nessuno si sogna di chiamare TAV.
Dice che tra Torino e Lyon c’è già un treno veloce ignorando che la velocità media del TGV su una percorrenza di 250 km è di… 80 km/h.
Dice che la linea è utilizzata a meno di un quinto della sua capacità e non se ne domanda il perché (a diversità di chi ravvisa la causa in deficienze infrastrutturali).
Dice che i flussi di traffico tra Italia e Francia sono in calo da anni, sia su rotaia che su autostrada; ma ignora che a fronte del traffico ferroviario calante quello su strada aumenta; tant’è che tra Italia e Francia sono transitati 38 mln/tonn di merce nel 2010 e 44 nel 2017.
Dice che “si facesse il tunnel di base di 57,5 km, la linea si fermerebbe a St.Jean de Morienne tra i pascoli [sic] e a Susa” perché ignora che il grosso problema è l’incompatibilità della tratta di valico con le specifiche tecniche della rete centrale europea (pendenza, raggi di curvatura, peso assiale, sagoma, sicurezza, ecc.), mentre le linee storiche possono essere in buona misura adeguate ad esse.
Dice di impatto sul sistema idrogeologico della Valle perché ignora il risultato dei 60.000 rilevamenti effettuati nel corso dello scavo del tunnel geognostico di Chiomonte e le valutazioni del Dipartimento di scienze della sanità pubblica e pediatrica dell’Università di Torino e della Commissione tecnica per la valutazione di impatto ambientale del Ministero dell’ambiente che ne sono seguite.
Dice che nonostante l’opera “viaggi per quasi l’80% in territorio francese sarebbe pagato per circa il 60% da noi”, ma non spiega che l’Italia paga il 35 anziché il 30% (il 40% lo paga l’UE) perché la Francia si doveva fare carico della spesa di 7,7 mld per la propria tratta nazionale e che qualora quel progetto mutasse le quote dovrebbero tornare paritarie. Così come non ha senso dire che l’80% è in territorio francese quando l’Italia diventa proprietaria al 50% della nuova infrastruttura.
Dice che del “mitico “Corridoio V” non c’è traccia” e che “non esiste più perché Portogallo e Spagna si sono chiamati fuori”. Ma evoca un progetto da tempo scaduto perché la NLTL afferisce oggi al corridoio Mediterraneo che si estende da Algeciras, primo porto commerciale della Spagna al confine ucraino. E il Portogallo è associato a un altro corridoio (Atlantico). E parla di corridoio come di cosa a sé senza aver compreso che nella rete centrale europea istituita nel 2013 i corridoi sono interoperabili e interconnessi; atti cioè a servire molteplici rotte di traffico in un sistema ove ogni corridoio è essenziale agli altri. E a quanto pare non ha mai letto i rapporti annuali pubblicati dall’UE sullo stato di avanzamento dei lavori nei singoli corridoi.
Ma c’è persino di più. In una nota finale lei aggiunge che il Commissario alla Torino-Lione “ha emesso un’ampia gittata di dati, su cui interverremo nel dettaglio nei prossimi giorni, ma di cui si può già dire che appaiono assai improbabili”. Fantastico. Non ha letto il documento, ma già sa che contiene dati “assai improbabili”. E non lo tocca minimamente il fatto che il documento abbia beneficiato della collaborazione di illustri trasportisti come Senn della Bocconi, Boitani della Cattolica (sì, il medesimo che aveva firmato con Ponti un articolo citatissimo nei siti NoTav), Crotti del Politecnico di Torino, Debernardi (che in seno all’Osservatorio è stato per anni rappresentante della Comunità montana).
Forse perché non è mai stato sfiorato dal dubbio che il “totem fradicio” possa oggi essere il suo.
Per favore, non giochiamo con le parole: NLTL, acronimo di “Nuova Linea Torino Lione”, non è altro che l’ultima trovata, per farla sembrare “inedita”, dei fautori dell’Opera, che l’hanno sempre chiamata (LORO) TAV, finché smascherata la bufala dei milioni di passeggeri in attesa del Grande Treno, hanno dovuto ammettere che sì, era fatta per le merci ed era in realtà per Treni ad Alta Capacità (TAC). Dire, come dice Lei, “che nessuno si sogna di chiamarla TAV”, mi scusi, ma fa ridere. Quanto al TGV attualmente in servizio sulla linea Milano-Torino-Parigi i suoi relativamente lunghi tempi di percorrenza (all’incirca 7 ore) sono dovuti in primo luogo al fatto che nella tratta tra Milano Porta Garibaldi e Torino Porta Susa viene fatto transitare sulla vecchia linea: se con piccole modifiche al convoglio francese potesse passare sulla linea dei Frecciarossa e Italo, si risparmierebbe quasi un’ora, e con limitati accorgimenti logistici il tempo complessivo potrebbe essere ridotto a poco più di 5 ore (meno di un’ora in più del tempo previsto dai progettisti della nuova opera, valutato in 4 ore e mezza, pur continuando a viaggiare sulla “linea storica”. Il tunnel di base con l’annesso raccordo francese, raddoppiando la velocità di transito da un’ottantina di chilometri all’ora a 165, si limiterebbe a far “guadagnare” una cinquantina di minuti (49 per la precisione secondo i documenti ufficiali), un po’ pochini per un investimento di circa 9 miliardi di euro (quasi un quartoi di miliardo a minuto). Così per i passeggeri, i quali è difficile che aumenterebbero di molto se il tempo di percorrenza dominuisse così di poco. Ma il discorso grosso riguarda, per l’appunto, le merci. Che sono in calo, checché ne dicano i sostenitori del TAV, anzi della NLTL. E lo sono non perché non c’è una ferrovia adeguata, ma perché tra le due economie, italiana e francese, i flussi sono proprio quelli: stagnanti. Sulla questione, che dire? mi sembra che anche qui Lei trucchi le carte: dice che tra il 2010 e il 2017 le tonnellate di merci transitate attraverso il confine italo-francese sono aumentate di 6 milioni, da 38 a 44 (una crescita media sugli 8 anni dell’1,5% circa). Trascura di dire però che il terminus a quo, è quello col record più basso di transiti (l’anno più nero della crisi): se avesse preso ad esempio il 2008, avrebbe riscontrato un traffico di 45,4 milioni (1 milione e 400mila tonnellate in più), e nel 2007 erano state 48,2 milioni, 4 in più!). Transitavano sia su ferro (pochi e in diminuzione) sia su gomma, molti di più ma, anch’essi in flessione nel corso di tutto il decennio! Quelli come Lei si arrampicano sui vetri: da una parte dicono che il traffico su ferro ristagna perché la linea non è sufficientemente efficiente, se lo fosse si vedrebbe che roba contessa! Ma è un ragionamento di lana caprina: come dire che se si allargasse il letto di un fiume per questo solo fatto ne aumenterebbe l’acqua che vi scorre. Dall’altra fingono una crescita complessiva di “domanda di trasporto” inesistente, truccando i dati sul flusso autostradale, ma basterebbe mettersi per qualche ora su un cavalcavia dell'”Autostrada Olimpica”, tra Avigliana e Bardonecchia, per vedere che il passaggio di TIR resta rarefatto. Gli ingorghi giornalieri sulla Tangenziale di Torino sono dovuti da una parte all’interscambio di breve-medio raggio in parte dai flussi di lungo raggio provenienti o diretti verso est tra A21 e A4 – (Torino-Piacenza – A1 da una parte e Torino Venezia Trieste dall’altra), pochissimo con la Francia via Frejus, e quindi sarebbero per poco o nulla alleviati da un “aumento di competitività” (come dite voi) della linea Torino-Lione grazia alla NLTL, anzi forse ne sarebbero persino peggiorati dal momento che, se via treno arrivassero più merci a Torino, di qui non potrebbero comunque proseguire su rotaia essendo la rete nazionale merci tuttora in condizioni disastrose e – questa sì – per nulla competitive. Sull’impatto iderogeologico non mi soffermo: basti ricordare “gli studi condotti da LTF” per rispondere ai quesiti dell’allora Commissaria ai Trasporti europea de Palacio, in cui si affermava (A pag. 47) che “LTF ha stimato che i due tunnel principali (il tunnel di base e il tunnel di Bussoleno), le discenderie, ecc. riceveranno un flusso cumulativo di acque sotterranee compreso tra 1951 e 3973 L/s nel caso stabilizzato. Ciò equivale a una portata compresa fra i 60 e i 125 Milioni di m3/anno, comparabile alla fornitura d’acqua necessaria a una città di circa 1 milione di abitanti. Il drenaggio delle acque sotterranee è tutt’altro che trascurabile comparativamente al ricarico totale delle acque sotterranee nelle zone situate lungo il tunnel”. Si aggiungeve che quell’enorme quantità di acqua, canalizzata e sversata ai due capi del tunnel, sarebbe uscita con temperatura diversa da quella naturale (fino a 30 gradi sul versante italiano) e contenente materie inquinanti che potrebbero contaminare i corsi d’acqua a valle. Non basta per suscitare un certo allarme sull'”impatto ambientale” (al netto delle rassicurazioni ufficiali, con tutto il rispetto per il Dipartimento di scienze della sanità pubblica e pediatrica dell’Università di Torino e per la Commissione tecnica per la valutazione di impatto ambientale del Ministero dell’ambiente)? Sulla ripartizione dei costi tra Italia e Francia sono esplicitati in tutti i documenti governativi, Mi limito a ricordare che dei 57 km. del tunnel di base 44,7 sono in territorio francese e 12,3 in quello italiano, mentre l’Italia copre una percentuale di costi superiore a quella della Francia (cosa comporta che l’Italia sarà alla fine proprietaria del 50% dell’Opera: che dovrà accollarsi il 50% dei costi di manutenzione ordinaria e straordinaria?). Sui corridoi europei – e il “Corridoio V” che non c’è più perché è comparso il “Corridoio Mediterraneo” – mi sembra abbastanza evidente che la loro mappa cambia come lo foglie sugli alberi d’autunno, ogni volta sulla base dei fallimenti precedenti e delle spinte dei diversi governi e delle lobbies: cercare un piano di razionalità nella loro geografia è un po’ come cercare di leggere i fondi del caffè e coglierne magici messaggi. Comunque, che si chiami Mediterraneo o come diavolo lo battezeranno in futuro, resta il fatto che oltre il nostro confine orientale non se ne vede traccia, e nella penisola iberica è tutto nella nebbia. Ne approfitto per segnalarle il link al “Quaderno 11” dell’Osservatorio (http://presidenza.governo.it/osservatorio_torino_lione/quaderni/Quaderno11.pdf), a cui mi riferivo parlando della “gittata di dati” di Foietta: documento che non solo ho letto, ma anche citato in questa risposta, con Sua buona pace.
Quando si fa riferimento a dei numeri è buona norma andare a guardarli alla fonte, piuttosto che citare quelli riferiti da altri la cui tesi si è già deciso di sposare a prescindere e per motivi ideologici. La fonte dei dati è l’ufficio federale dei trasporti svizzero e le tendenze si desumono guardando un arco di tempo sufficientemente lungo. Per quanto riguarda le merci su strada tra Italia e Francia l’andamento da metà degli anni 90 ad oggi è altalenante: n minimo nel 1996, poi cinque anni di risalita, un piccolo giù e su e poi un nuovo minimo nel 2005, quindi due anni di crescita fino al massimo storico poco inferiore ai 42 milioni di tonnellate, indi un minimo nel 2009, poi due anni di crescita e un altro minimo nel 2013. Da allora quattro anni di nuovo di crescita. Dunque? Si può dire che il traffico su camion è più immediatamente sensibile alle fluttuazioni dell’economia globale; che il flusso Italia-Francia è comunque molto alto. I mercati europei a destra e a sinistra delle Alpi sono materialmente saturi: non c’è spazio per molte merci (tonnellate) in più perché il mercato è essenzialmente di sostituzione e ammodernamento, non aggiuntivo. Ci si possono attendere oscillazioni, ma certamente non esplosive e durature crescite perché la realtà è testarda e per nulla sensibile alle dichiarazioni roboanti e ai singhiozzi delle borse. Tra l’altro il massimo tra Italia e Francia (strada più rotaia) è stato raggiunto nel 2001 un po’ sopra le 50 milioni di tonnellate e oggi (cioè a fine 2017) siamo del 13% al di sotto di quel massimo. Quanto al riparto dei costi tra Italia e Francia i numeri, scritti in accordi internazionali, sono numeri. Allo scioglimento di TELT (nel prossimo secolo) il tunnel resterà di proprietà dello stato su cui insiste (80 Francia, 20 Italia). Lo squilibrio era motivato dal fatto che i francesi avrebbero dovuto realizzare sulla tratta comune localizzata nel loro paese altri 33 km di tunnel (Glandon e Belledonne) a due canne e l’italia solo circa 19 km (Orsiera): il governo francese ha però rinviato ogni decisione in merito a dopo il 2038. Oggi l’unica cosa che resta sul tappeto è il solo tunnel di base. Da noi la pressione più forte viene da chi punta su ritorni immediati derivanti dalla costruzione dell’opera a prescindere dalla sua utilità e dai suoi costi a medio e lungo termine. Questi soggetti trovano naturale spendere denaro pubblico (tra l’altro a debito) per averne un utile immediato ripartito su un segmento limitato della popolazione, per scaricare poi i costi e le passività su tutti gli altri a partire naturalmente dai più economicamente deboli.
Sarò breve.
Condivido in toto l’intervento dell’ing. Franco Pavese.
Il sig. Revelli sì che fa parte del ceto medio-alto predatorio e mi dispiace, come contribuente, che parte delle mie imposte contribuiscano a pagargli lo stipendio.
Sig. Revelli, lei usa il dileggio, non neghi l’evidenza e il suo linguaggio mi pare anche sessista.
Lei non sa nulla delle problematiche ambientali e di sicurezza e o non ha approfondito il tema o è in palese malafede.
Il tunnel di base dovrebbe essere nè più nè meno analogo al nuovo Gottardo, al Lotschberg e al nuovo Brennero. Permetterà di rendere efficiente, sicuro ed economico il traffico merci su rotaia lungo la direttrice est-ovest.
Il traffico (totale) merci nella direttrice est-ovest è di 40 milioni di tonnellate e nei tre valichi autostradali passano 3 milioni circa di Tir con problemi di polveri sottili, incidenti e logoramento della struttura viaria (quindi malattie, morti e spreco di risorse).
Ma a Lei, dal suo salotto di borghese poco illuminato, questi problemi non interessano.
Ultima notazione: la Sitaf è sempre stata di fatto “alleata” col movimento Notav, si documenti Lei che cita anche Sandro Plano.
Sarò breve anch’io. Non mi piacciono i lupi travestiti da agnelli. Men che meno i fautori della devastazione dell’ambiente che si fingono ambientalisti. La magia per cui il Grande Treno delle Alpi eliminerebbe d’incanto l’inquinamento del traffico autostradale e dei perfidi TIR (3 milioni!!!) è una fandonia. Non è vero che il treno di per sé sia privo di emissioni inquinanti. Non lo è in particolare per i treni ad Alta Velocità, il cui tasso di emissioni di CO2 per t/km è più che doppia di quella dei camion (189 grammi per tonnellata(kilometro contro 71) e quello di SO2 più di cinque volte (1,05 contro 0,21). Inoltre Lei e quelli che la pensano come Lei, non calcolano l’inquinamento prodotto dalla costruzione dell’Opera, altissimo in termini di polveri sottili e di altrri fattori inquinanti (potenzialmente anche micidiali, come l’amianto), dai mezzi di trasporto dello smarino, dalla produzione dei milioni di tonnellate di cemento, metalli, ecc. e dal loro trasporto. Per non parlare del consumo di energia (che da qualche parte dovrà essere prodotta, e in genere in centrali inquinanti) per alimentare i convogli (enormemente energivori) e le attrezzature necessarie al funzionamento dell’opera una volta terminata (nei punti di maggiore profondità la temperatura interna al tunnel di base è prevista intorno ai 50 gradi centigradi, per cui saranno necessari potenti strumenti di refrigerazione). Il fatto che nessuno tra i favorevoli all’Opera prenda minimamente in considerazione tutto ciò mi suggerisce l’idea che l’argomento ecologico e il riferimento all’ambiente sia per Voi del tutto strumentale. Altrimenti, mi permetta, non tifereste in modo così sfrenato per la moltiplicazione dei volumi di traffico, favorireste i consumi a km zero , l’ultilizzo di beni a breve raggio di trasporto (altro che “Via della Seta”!), forme di vita austere, di economia locale, di risparmio di suolo, Sareste in prima fila nelle manifestazioni contro il TAP, il MUOS, per la chiusura dei centri urbani, il fermo dei centri commerciali la domenica, e così via. Cosa che, con tutto il rispetto, non mi risulta. Non solo: se dà un’occhiata ai più seri studi sull’effetto che la disponibilità di una linea ferriviaria, anche la più moderna e efficiente, avrebbe sul traffico via gomma lungo quella direttrice e attraverso quel confine (cioè la sua capacità di attrarre volumi di merci ora trasportate via gomma) vedrà che esso è valutato in misura minima (secondo alcuni studi addirittura intorno all’1% e comunque mai oltre il 5/10%). Per attuare una politica push (per “spingere fuori” dall’asfalto e sul ferro) volumi maggiori occorrerebbe una politica tariffaria feroce nei confronti del traffico autostradale, comunque mortale per il sistema delle imprese che normalmente ne fanno uso. Se è questo il risultato desiderato dagli imprenditori che rivendicano a gran voce l’Opera, occorre dubitare della loro lucidità mentale (o quantomeno di quella capacità calcolistica che Max Weber vedeva nello “spirito del capitalismo”).
Da leggere perché Revelli spiega che all’orgoglio dell’ignoranza degli ignoranti poveri si risponde con l’orgoglio dell’ignoranza degli ignoranti ricchi. Da un lato c’è l’esaltazione delle chiacchiere da bar, dall’altro l’esaltazione delle chiacchiere da salotto.
Ho letto via e-mail la Sua risposta che francamente mi sgomenta. Perché ignorare la storia e il contesto europeo in cui si è sviluppata l’idea del nuovo collegamento o spiegarla con dei semplici cui prodest localistici non mi pare rendere giustizia alla realtà.
Parliamo dello scenario europeo della NLTL. Che politici italiani e oligopoli economici abbiano voluto cavalcare la tigre della politica dei trasporti europei poco concorre al giudizio di merito sul progetto. Il melodramma che più amo è quello di Wagner e non mi fa cambiare opinione il fatto che sia stato molto amato anche da torve figure della storia. Del resto credo che le Sue tesi non dispiacciano a petrolieri, gestori autostradali, settori più arretrati dell’autotrasporto, compagnie aeree… eppure non mi sogno di dire che Lei subisca il loro condizionamento.
Circa la politica dei trasporti comunitaria (e delle infrastrutture che ad essa si accompagnano) ricordo che ha conosciuto una prima fase in cui si ipotizzavano corridoi paneuropei (Kiev!); una seconda in cui si privilegiava il trasporto veloce passeggeri (Lisbona!); una terza, l’attuale, in cui si privilegiano infrastrutture utili al trasferimento su ferro delle merci. Se non vogliamo confondere la storia con il presente non possiamo dimenticare quanto avvenuto negli ultimi anni:
a) nel 2011 la Commissione europea si è posta, soprattutto per ragioni di eco-sostenibilità, l’obiettivo di un trasferimento delle merci di lunga percorrenza dalla strada alla rotaia, nella misura del 30% all’altezza del 2030 e del 50% in seguito;
b) nel 2013 l’obiettivo è stato acquisito dai regolamenti UE 1315 e 1316, istitutivi della rete ferroviaria centrale articolata in 9 corridoi interconnessi e interoperabili (regolamenti approvati dal Parlamento europeo con l’84% dei voti), atti a servire le molteplici rotte dei traffici;
c) nel 2015 l’agenzia INEA, applicando parametri oggettivi, ha proposto un cofinanziamento della NLTL che per entità è il terzo in una lista di 270 progetti infrastrutturali (selezionati su oltre 700); successivamente i 27 Stati UE hanno approvato la proposta; la cui motivazione principe è il “grande valore aggiunto europeo”. Del resto, senza un elemento centrale, il funzionamento di tutto il nuovo sistema sarebbe gravemente leso.
Il mio impegno a favore del nuovo collegamento non discende dunque dalle enunciazioni dei “fautori” cui Lei si riferisce, ma dalla piena condivisione di indirizzi, studi, atti normativi come quelli che di seguito richiamo e che pure non sono mai stati oggetto di replica da parte degli oppositori:
– Commissione europea, “TEN-T: riesame della politica. Verso una migliore integrazione della rete transeuropea di trasporto al servizio della politica comune dei trasporti”, 2009;
– European Commission, “Final report Trans-European transport network planning methodology”, 2010;
– Commissione Europea, “Libro bianco. Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti. Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile”, 2011;
– European Parliament, “Update on Investiments in large Ten-T Projects”, 2014;
– European Commission, “Mediterranean Network Corridor Study, Final report”, 2014.
– European Commission, “Cost of non-completion of the TEN-T.Final Report”, 2015;
– Regolamento UE 913/2010 (trasporto merci e intermodalità);
– Direttiva UE 275/2011 (interoperabilità e specifiche tecniche del sistema ferroviario comunitario);
– Regolamento UE 1315/2013 (Ten-T);
– Regolamento UE 1316/2013 (Cef).
Veda, possiamo avere visioni diverse della realtà (e, al di là del tema che stiamo discutendo, la mia è più vicina alla sua di quanto Lei possa credere) ma ci sono fatti obiettivi che non possono essere negati. O peggio falsati. Come, mi permetta, ha fatto lei. Trovo infatti insostenibili argomenti come quelli addotti nella Sua replica ad altro commento circa enormi consumi energetici dovuti alla necessità di raffreddamento del tunnel; quando, come avviene nei tunnel di Lötschberg e Gottardo, gli impianti di ventilazione (non di refrigerazione!!) sono utilizzabili ad alta potenza esclusivamente in condizioni eccezionali (estrazione massiva dei fumi in caso di incendio o mantenimento delle condizioni igieniche dell’ambiente di lavoro nel corso di impegnativi interventi di manutenzione). Insostenibile anche il confronto tra consumi energetici del TAV e quelli del camion, perché il primo (che nella NLTL non c’è) può trovare confronto soltanto con il più energivoro trasporto aereo per le lunghe percorrenze e quello automobilistico per le medie; il camion con un trasporto ferroviario concepito proprio per ridurre emissioni e consumi (le merci non vanno ad alta velocità!!).
O, ancora, come quando dice dei consumi e delle emissioni per la costruzione del tunnel, rapportandoli a una tratta ridotta anziché alla lunga percorrenza dei mezzi pesanti che mediamente è superiore ai 1000 km (di queste lunghe percorrenze la tratta Torino-Lione costituisce semplicemente l’ostacolo maggiore ed è proprio questa la giustificazione dell’entità del cofinanziamento UE). Oltretutto dimenticando che 1/3 di quel traffico è di attraversamento (ovvero non ha né origine né destinazione italiana).
Così come quando risponde a me che i “flussi sono stagnanti”. Ma benché, in tonnellate, in passato ci sia stato di più vero è che la tipologia delle merci trasportate è mutata (diminuite le merci pesanti come materie prime o materiali per l’edilizia, resi meno necessari dalle nuove economie). In ogni caso, al di là di queste considerazioni, il primato dei 3 mln di TIR che raggiungeremo quest’anno è secondo Lei poca cosa?
Probabilmente la pensano così Ponti e Prud’Homme, fedeli amici dell’autotrasporto (da loro considerato persino troppo vessato), ma sono casi isolati. Nel 2017 sono transitate sull’intero arco alpino 162 mln di tonn di merci; su strada e rotaia. Il 73% è il traffico transfrontaliero verso Svizzera e Austria e il 27% quello verso la Francia. Sul primo ampio segmento sono realizzati o in corso di realizzazione tunnel di base lungo quattro assi (Sempione, Gottardo, Brennero, Tarvisio). Sul restante 27% ce n’è uno solo, a progetto. E lo si contesta. Sulla base di slogan e non di un’informazione aggiornata e corretta.
Questa è almeno la mia impressione. Se poi Lei volesse continuare il confronto, sulla base di dati e numeri, mi trova pienamente disponibile. Cordialità.
Rispetto le sue opinioni, ma rimango della mia. Sia per quanto riguarda la progettazione europea, la cui bulimia burocratica è pari all’incongruenza delle sue regolamentazioni rispetto a quanto avviene nei territori, sia per quanto riguarda l’ impatto inquinante del trasporto ferroviario ad Alta Velocità o ad Alta Capacità (bisognerà prima o poi che i fautori dell’opera si mettano d’accordo sulla sua vera natura). La documentazione sull’impatto inquinante dei treni ad AV o AC è ampia e fondata, così come gli studi che dimostrano come quell’opera non sposterebbe dal trasporto su strada a quello ferroviario che una quantità minima dei TIR in circolazione sulla tratta. Quanto poi alla mancata considerazione dell’impatto ambientale dei lavori di costruzione dell’Opera, continuo a considerarlo un’amnesia grave da parte dei suoi fautori. Infine non mi si venga a dire che abbassare di una trentina di gradi la temperatura nella doppia canna di un tunnel per un certo numero di km comporti un consumo energetico basso o nullo (vorrei ricordare che nel tunnel di base è prevista una temperatura fino a 50 gradi).