Il DEF e la truffa delle parole

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Il DEF (Documento economia e finanza) varato dal Governo non interviene su nessuna delle cause che provocano l’aumento delle disuguaglianze: tagli alle politiche sociale, politiche di austerità, lavoro povero e a bassa intensità, politiche fiscali regressive, assenza di adeguate misure di welfare, bassi investimenti pubblici e privati in settori industriali ad alta intensità di lavoro e/o legati alla riconversione ecologica delle attività produttive. Non è nemmeno una manovra che tenta di contrastare le disuguaglianze, anzi le allarga con misure come il finto reddito di cittadinanza che altro non è che un sussidio che istituzionalizza la povertà, rafforzando la guerra tra poveri avviata con i precedenti Governi.

Il finto reddito di cittadinanza stigmatizza chi è in difficoltà facendo passare il cosiddetto “povero” per un parassita che non vuole fare niente, a cui si dice come vivere, immaginandolo incapace di meritare fiducia e autonomia. Se sei povero la colpa è tua. Lo Stato, come nell’Ottocento, ti riconosce, in quanto sfigato, un sussidio e ti chiede in cambio lavoro gratuito o sottopagato, rinchiudendoti in una “trappola della povertà” che ha come unico obiettivo mostrare un miglioramento degli indici che interessano Bruxelles e la finanza, senza liberare la persona dalla sua condizione difficile e senza garantirgli dignità. L’esatto opposto di quanto stabiliscono tutti i regimi di reddito minimo garantito che seguono i principi fissati nelle risoluzioni europee e dalla stessa Commissione Europea: individualità, valorizzazione dell’autonomia della persona, somma commisurata sul 60 per cento del reddito mediano, residenza e non cittadinanza, nessun obbligo di lavoro purchessia, servizi sociali di qualità, costruzione di un sistema di servizi integrato. Invece di sganciare il soggetto in difficoltà dal ricatto lo si rinchiude in un ulteriore trappola che serve solo agli interessi del modello economico di riferimento del governo: il liberismo economico.

Eppure nella scorsa legislatura 91 deputati e 35 senatori del M5S avevano sottoscritto le due principali proposte di circa 600 realtà sociali della rete dei Numeri Pari: 1) l’istituzione del reddito di dignità, sulla piattaforma di 10 punti elaborata dal Bin Italia 2) mettere i servizi sociali fuori dal patto di stabilità per liberare risorse che consentano ai Comuni di garantirne l’effettività. A essere ingannati non sono le realtà sociali, ma milioni di cittadini che si aspettano riforme capaci di migliorare la loro condizione materiale ed esistenziale.

Come con la flat tax: un regalo ai ricchi e una fregatura per quasi tutti gli altri. Il DEF sembra avere, come la dea Kali, otto mani: con una fa finta di dare e con le altre sette costruisce un Paese più impoverito, diseguale, fragile, rancoroso, in perenne guerra contro un nemico. Senza speranza.

È questo il punto. La manovra viola i princìpi fondamentali della nostra Costituzione: dignità, uguaglianza, solidarietà e lavoro. Princìpi che come primo “obbligo” prevedono, all’articolo 2, quello alla solidarietà.

È un clamoroso ribaltamento di prospettiva, compiuto con il consenso popolare (un consenso drogato ma incontestabile). Da questa realtà che consegna un accresciuto consenso al Governo bisogna partire, ribaltando le categorie e le logiche a cui il Governo costringe il dibattito e comunica con i cosiddetti poveri. Come sul tema del deficit e del rapporto con l’Europa. Dobbiamo dirlo chiaramente: il problema non è fare qualche decimale in più di deficit, ma capire se abbiamo utilizzato la fiscalità generale al meglio, e il Governo non l’ha fatto. Si poteva finanziare il sussidio di povertà con la fiscalità, senza fare debito, ma non è stato fatto. Così come va ribaltata l’ultima campagna di comunicazione che vuole il Governo impegnato a scontrarsi con i teorici delle politiche di austerità in Europa. Se davvero si volesse farlo, si affronterebbe il nodo del patto di stabilità in Costituzione e si costruirebbero alleanze con i cosiddetti Paesi PIIGS e non con Orban.

Il DEF esprime pienamente il progetto politico di una destra nazionalista che punta all’autarchia e ad alleanze simili in Europa, non certo a combattere disuguaglianze, povertà e austerità. Una guerra tutta interna alle destre che si stanno disputando il piano dell’egemonia.

Dare forza e fare massa critica con chi sta facendo opposizione alla manovra su proposte chiare ed efficaci ancorate ai princìpi costituzionali, rafforzare le alleanze sociali e mettere in campo iniziative politiche larghe e plurali è l’unica strada che abbiamo per fare emergere il perimetro di un nuovo blocco sociale presente nel Paese ma ancora privo di rappresentanza.

 

Gli autori

Giuseppe De Marzo

Giuseppe De Marzo, attivista, economista, giornalista e scrittore, lavora da anni nelle reti sociali, nei movimenti italiani e in America Latina. È attualmente responsabile nazionale delle politiche sociali di Libera e coordinatore nazionale della Rete dei Numeri pari.

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