Di Maio, Repubblica, i giornalisti

image_pdfimage_print

La ristrutturazione del gruppo editoriale GEDI (Repubblica, L’Espresso) comporterà, a quanto si dice, tagli al personale e riduzione di stipendi ai giornalisti. Ciò ha stimolato il commento del Ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio che ha attribuito i verosimili prossimi tagli al fatto che i media diramano notizie false e che perciò perdono lettori.

L’affermazione ha suscitato – manco a dirlo – lo sdegno della categoria dei giornalisti.

La mia sarà, forse, un’opinione controcorrente. Ma credo che, se ha torto Di Maio, hanno torto anche i giornalisti. E non certo per voler dare un colpo al cerchio e uno alla botte.

Ha torto Di Maio perché il calo dei lettori dei giornali è palesemente dovuto al diffondersi di Internet. Soprattutto i giovani sono ormai disaffezionati a quotidiani o periodici. Sfido io a vedere un giovane con in mano un quotidiano: solo anziani. E un edicolante assomiglia sempre più a un panda.

Ma hanno torto anche i giornalisti quando difendono a spada tratta la loro professione, in nome del pluralismo. Un conto è il pluralismo, il dare voce a opinioni diverse su un dato argomento. Un altro, e ben diverso, è fornire una versione distorta o parziale della realtà. In questo ‒ diciamolo ‒ molti, troppi giornalisti sono maestri, grazie/a causa della sudditanza rispetto a chi gli procura il pane.

Anche Repubblica non ne va esente. Gli esempi sono, ahimé, infiniti. Personalmente, agli inizi acquistavo il giornale di Scalfari, ma poi, con l’andare del tempo, me ne sono ben guardato, rilevando una deriva nella quale si celavano certe notizie e se ne fornivano altre, o comunque delle notizie si dava una certa versione e non un’altra.

Un esempio per tutti: la TAV Torino-Lione. Della vicenda, fin dai suoi esordi, la Repubblica stampata (poi diventata anche online) ha fornito verità parziali o verità distorte. Comprensibile: i giornalisti lavorano all’interno di un giornale la cui proprietà è interessata e schierata. Non è informazione, è propaganda, che io chiamo “di regime”. E i giornalisti sono organici al regime. C’erano scontri fra polizia e dimostranti? Erano i dimostranti che picchiavano, mai i poliziotti, in onore del “teorema Caselli”. I numeri dell’Osservatorio erano gonfiati per dimostrare la necessità dell’opera? Venivano riportati supinamente senza controllarne la veridicità. E così via.

Se dalla carta stampata ci spostiamo alla televisione, a mamma Rai, il risultato non cambia. Ricorderò sempre un vergognoso servizio che il TG3 regionale fece in occasione di un sequestro disposto dalla magistratura quando si effettuavano i sondaggi per quell’altra opera inutile che è il Terzo Valico. Cosa fece il giornalista? Anziché intervistare il pubblico ministero, andò a intervistare le maestranze che rimanevano senza lavoro! La Rete 3 della Rai ai tempi di Antonio Guglielmi era una rete intelligente, ora è un house organ del PD. Anche nel campo culturale (Augias docet).

Eppure l’art. 2 della legge professionale dei giornalisti così recita: «È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede».

Dove sta la lealtà? E la buona fede?

Otto giornalisti su dieci in Italia hanno un reddito sotto la soglia di povertà. Chi mi conosce sa quanto sia attento e sensibile alle tematiche della povertà. Devo dire che, in questo caso, lo sono assai meno.

Gli autori

Fabio Balocco

Fabio Balocco, nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (in quiescenza), ma la sua passione è, da sempre, la difesa dell’ambiente, in particolare montano. Ha collaborato, tra l’altro, con “La Rivista della Montagna”, “Alp”, “Meridiani Montagne”, “Montagnard”. Ha scritto con altri autori: "Piste o peste"; "Disastro autostrada"; "Torino. Oltre le apparenze"; "Verde clandestino"; "Loro e noi. Storie di umani e altri animali"; "Il mare privato". Come unico autore: "Regole minime per sopravvivere"; “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino”; "Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni"; "Per gioco. Voci e numeri del gioco d'azzardo". Collabora dal 2011, in qualità di blogger in campo ambientale e sociale, con Il Fatto Quotidiano.

Guarda gli altri post di:

3 Comments on “Di Maio, Repubblica, i giornalisti”

  1. Non riesco proprio a scandalizzarmi per la faziosità di Repubblica o di altri quotidiani né del fatto che rappresentino gli interessi dei loro editori. E trovo insopportabile la retorica dell’obiettività, del contraddittorio e simili. È normale che sia così: sono imprenditori non dame di carità. E qualche recente caso ce lo dimostra: https://www.iltaccoditalia.info/2018/09/21-the-new-york-times-rilancia-le-inchieste-del-tacco-sul-caporalato-industriale-di-tods-e-della-valle/
    D’altra parte in molti lettori ‘furbi’ si chiedono perché dovrebbero comprare un giornale quando possono accedere alle notizie gratuitamente dimostrando già in questo l’alto senso critico che possiedono.
    L’informazione libera costa e allora o accettiamo di finanziarla noi lettori – mettendo in pratica il motto di Montanelli “il nostro padrone è il lettore” e come credo stia tentando di fare il Manifesto – oppure non ha nessun senso lamentarsi.
    In ogni caso preferisco di gran lunga avere giornali faziosi -possibilmente rappresentanti interessi e gruppi contrapposti – che non averne affatto.
    Infine: ho il forte sospetto che molto spesso il problema sia proprio che gli editori NON intervengono sulla linea editoriale dei loro giornali… non ne hanno bisogno…

  2. “perché comprare un giornale quando le notizie in internet sono gratis?”
    La risposta: perché i giornali devono approfondire la notizia, cosa che su Facebook o simili non si fa. I giornali devono tenere separata la notizia, da eventuali commenti che sono legittimi ma valgono come parere di una persona. Ogni lettore si farà una propria idea.Può farlo solo se ha un panorama completo e non solo poche righe su internet e magari non si sa neppure chi le ha redatto.

    Pertanto la crisi dei giornali stampati non è una bella cosa

  3. Le cose che dice Balocco sono in gran parte giuste. Tuttavia le critiche che muove – per esempio – al TG3 dimostrano proprio l’importanza della carta stampata. E’ vero che molto spesso anche questa è schierata, il che per altro è legittimo (non possiamo definire “non schierate” solo le posizioni che piacciono a noi), ma nella carta stampata,in genere, gli argomenti sono trattati con un po’ più di approfondimento e chi voglia farsi un’idea di come stiano le cose ha più possibilità di operare confronti fra pareri diversi, magari leggendo più di un giornale.
    Per cui, non direi “Di Maio ha torto ,ma…”, bensì “Di Maio ha torto” e basta.

Comments are closed.