Frontiera: In geografia politica, linea immaginaria tra due nazioni, che separa i diritti immaginari dell’una dai diritti immaginari dell’altra. (Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo)
Nel 2017 l’Italia ha una popolazione di 60.590.000 abitanti. Di questi l’8,3% è costituito da stranieri residenti (in Austria sono il 14,3%, in Belgio l’11,7%, in Germania il 10,5%, in Spagna il 9,5%).
Gli italiani residenti nei vari paesi europei sono 1.300.000 e ogni anno circa 170.000 italiani emigrano all’estero. In totale, nel mondo, 10 milioni di italiani lavorano all’estero e sono residenti dove lavorano.
Dal 1860 al 1990: 30.000.000 di italiani sono emigrati in America, Australia, Europa. Metà della popolazione argentina è costituita da discendenti di italiani. Il 10% della popolazione degli USA è costituito da discendenti di italiani (chi vi esportarono la mafia).
Gli omicidi volontari in Italia nel periodo 1971-1980 sono stati 1863 (3,4 per 100.000 abitanti)
Nel 2017: 348 (0,65-70 per 100.000 abitanti)
[Dati raccolti da un ampio dossier che Vittorio Emiliani ha costruito da fonti ISTAT e UNHCR (The UN Refugee Agency) e dall’ articolo di Salvatore Settis, Miraggi autarchici (“Il Fatto quotidiano”, 19 agosto 2018)]
E sempre da fonte UNHCR Gian Antonio Stella sul “Corriere della Sera” del 24 agosto riporta che in Italia ci sono 2,76 profughi riconosciuti ogni 1000 abitanti contro gli 11,5 della Svizzera, gli 11,7 della Germania, il 17,4 di Malta e i 23,7 della Svezia.
La guerra avrà avuto anche mille cause diverse. Però non si può certo negare che ciascuna di esse – il nazionalismo, il patriottismo, l’imperialismo economico, la mentalità dei generali e dei diplomatici e tutto il resto – fosse legata a precisi presupposti spirituali che individuano una situazione comune.
(…) Ci fu soprattutto un sintomo, tipico della catastrofe, che fu a un tempo l’espressione di una precisa situazione ideologica: l’aver lasciato la più completa libertà d’azione agli specialisti della macchina statale. Viaggiavamo come in vagone-letto e ci svegliavamo solo al momento dello scontro. (…) Un altro elemento tipico fu la vastità subito assunta dalla catastrofe. L’improvvisa, spaventevole forza devastatrice dell’incendio si spiega soltanto se tutto era pronto per l’immane tempesta di sentimenti e non desiderava altro che la vampa del fuoco e lo scuotimento del terremoto. Chi ha vissuto lo scoppio della guerra in tutta la sua forza lo intende così: fu una fuga dalla pace. (Robert Musil, L’Europa abbandonata a se stessa, 1922, in R. Musil, Saggi e lettere, I, pp. 77-78, Einaudi, Torino 1995.)
Compito della ragione (…) è di sostenere la tensione, fare ciò che è essenziale, ricondurre la propria vita quotidiana sotto chiari criteri di giudizio, perseguire indefessamente quello che, come la natura dell’impresa richiede, è possibile solo a lunga scadenza. Nessuno può dire se avrà successo o se il naufragio sarà inevitabile. Nell’apparente mancanza di via d’uscita la ragione non perde ogni speranza. Chi agisce spiritualmente deve dirsi: mentre hanno luogo terribili eventi, finché resto in vita devo esser pronto con tutte le mie forze. Devo cercare di costruire una vita agendo interiormente in vista dello scopo che, oscuro nella sua interezza ma chiaro nel passo da compiere oggi, mi è stato posto dal mio buon genio secondo le condizioni reali del mio esserci. (Karl Jaspers, Ragione e antiragione nel nostro tempo, SE, Milano 1999, l’originale: 1950)
C’è tra gli uomini come tali una solidarietà, la quale fa sì che ciascuno sia in un certo senso corresponsabile per tutte le ingiustizie e le malvagità che si verificano nel mondo, specialmente per quei delitti che hanno luogo in sua presenza o con la sua consapevolezza. Quando uno non fa tutto il possibile per impedirli, diventa anche lui colpevole. (Karl Jaspers, La questione della colpa, Cortina, Milano 1996, l’originale:1946)
E noi, noi abbiamo voluto cacare più in alto del nostro culo?
Siamo nella fase discendente della democrazia, anzi nella postdemocrazia (cfr. Crouch, Postdemocrazia, Laterza 2005): un po’ dappertutto in Occidente la politica ha abbandonato le sue prerogative e si è riplasmata sul modello aziendale dominante, supposto più rapido ed efficiente nel famoso mondo globalizzato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e ce li ripetiamo quotidianamente tra noi, orfani di una sinistra irrecuperabile, e da un intervento all’altro in rete e nei pochi giornali che ancora ospitano qualche articolo dissonante.
E dopo le elezioni il quadro è ovviamente peggiorato, per l’insipienza degli uni e il protagonismo parafascista dell’altro, che dice (e fa) in dialetto quello che Minniti diceva (e faceva) in italiano più o meno forbito.
Ci prenderanno per stanchezza? Abbandoneremo la partita, se non altro per non ripeterci continuamente e reciprocamente gli stessi discorsi? E dove abbiamo sbagliato noi, come generazione postbellica e postsessantottina? E siamo ancora capaci di vivere per qualcuno e qualcosa?
Non so i vecchi compagni, io mi sento in trappola: sappiamo tutto, vediamo tutto con lucidità, anche la catastrofe ecologica incombente, che coinvolgerà coloro che oggi sono ancora giovani e cui abbiamo ormai lasciato in eredità una schifezza difficile anche solo da immaginare ai tempi della nostra gioventù (ma il Rapporto del Club di Roma risale al 1972, quasi mezzo secolo fa).
Però siamo impotenti e su questa impotenza saremo giudicati dalla storia. Finiremo di elaborare il lutto per la sconfitta del nostro narcisismo? E come trovare nuove forme di comunicazione e di mobilitazione? Come organizzare una rete effettiva tra le tante iniziative che nascono sul territorio ma irrelate tra loro?
Perché quasi sempre i siti della “sinistra” sono pieni di ineccepibili analisi teoriche, ma oggi spesso incomprensibili, per futuri quadri di partiti inesistenti? È possibile uscire dalla genericità e dall’astrattezza?
Certo, la sinistra si è sempre frammentata perché “pensante”, ma possiamo domandarci sul serio perché i tanti tentativi di creare “nuove sinistre” sono quasi tutti falliti o minoritari? Solo perché il capitalismo si è scatenato dopo il crollo dell’URSS e del Muro di Berlino? Intanto il mondo è sull’orlo del precipizio e l’unico che lancia appelli è un vecchio vescovo sudamericano boicottato dai suoi.
1- Condivido la definizione di “frontiera”. Aggiungo quella che Donatella Di Cesare nel suo “Stranieri residenti” mutua da Etienne Balibar: “la frontiera è la condizione assolutamente non- democratica della democrazia”.
Accade infatti che i diritti accordati all’uomo non siano che i privilegi del cittadino di una determinata nazione.
2- Cosa possiamo fare? Rispondo con riferimento ai migranti.
Noi, che crediamo nella ragione dobbiamo, credo, batterci e non stancarci di porre domande perché le tante persone che vivono rinchiuse nella bolla dell’indifferenza si risveglino. Dice Norberto Bobbio (La filosofia e il bisogno di senso): “l’indifferenza è veramente la morte dell’uomo”.
L’indifferenza dei molti è il nostro vero nemico, ha permesso di chiudere gli occhi quando veniva teso il filo spinato e i migranti erano respinti per mezzo degli idranti a Idomeni, quando altri venivano rinviati nei lager libici (soluzione presentataci come ideale!), quando le nazioni europee mettevano in scena il loro scaricabarile, quando a migliaia morivano in mare, fino all’evento della nave Diciotti, quando, al culmine della disumanità , gli uomini vennero usati come “cose” per ottenere risultati personali.
Toccato il fondo altre persone sono morte in mare nel silenzio quasi totale di tutti.
18-09-30 domenica 14:15ca
Le regole della democrazia sono al servizio di chi le sa utilizzare, diventa quindi post nel momento in cui non siamo più in grado di spiegare quello che succede a quanti, un po’ meno attenti, non colgono i cambiamenti.
Incapaci, come democratici e come demosinistri.
Le aziende che occupano il territorio della politica coi soldi e coi metodi difficilmente si decompongono se non al momento dell’auto fallimento.
La politica nelle sedi staccate, nei piccoli spazi che ognuno di noi può gestire. Forse è arrivato il momento di ricominciare dal basso, dai luoghi piccoli che possiamo personalmente frequentare. Credo che il ‘potere’ si possa offendere solo decentrandolo, e solo dopo, successivamente coordinando chi condivide idee e ideali.
Non trovo concordi molti fra le frange e frangette delle sinistre quando invito ad ascoltare anche chi non è proprio dello stesso colore, ascoltare e trovare punti comuni su cui costruire; perché si deve continuare a vedere come nemici chi non sottoscrive fino all’ultima virgola le nostre-proprio mie dichiarazioni?
Il livello locale da spazio a concordanze che a livelli ideologici alti sarebbero impossibili, ma è da qui che si può provare a salire più in alto.
Ma è così bello sognare (dormire, morire forse…).