Simone Weil, col suo rigore morale abbagliante fino all’allucinazione, andando apparentemente in controtendenza a una cultura egemone almeno dall’Illuminismo in poi, ne La prima radice parla del primato degli obblighi rispetto ai diritti. Ovviamente c’è relazione tra i due, ma è l’accento che muta: un diritto non riconosciuto è inefficace, non esiste: «l’adempimento effettivo di un diritto non proviene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa» e «Un uomo, considerato di per se stesso, ha solo dei doveri (…). Gli altri, considerati dal suo punto di vista, hanno solo dei diritti. A sua volta egli ha dei diritti quando è considerato dal punto di vista degli altri, che si riconoscono degli obblighi verso di lui».
Ma talvolta «certe collettività divorano le anime invece di nutrirle. Esiste, in questo caso, una malattia sociale».
Ecco, io penso che l’Italia (e non solo, ma l’Italia da più tempo forse) abbia contratto questa malattia sociale. L’infezione è remota ma ora sembra essersi diffusa all’intero corpo nazionale, e anche quella che un tempo si chiamava “sinistra” ne è rimasta contagiata almeno da quando (e sono ormai decenni) ha abdicato alla sua storia di solidarietà con e di lotta per i più deboli socialmente e sfruttati economicamente. Anzi, proprio questo tradimento ha rinvigorito il virus che ora ci troviamo al governo.
Salvini è il sintomo furbastro di questa malattia e lascia attoniti l’inerzia e la passività di tutti gli altri. Abbandonando la metafora sanitaria occorre dire che, siccis oculis, stiamo assistendo al naufragio di una nazione. Conosco persone civili, simpatiche e laboriose che stanno sfogando umori e frustrazioni sociali covate e represse per anni, diciamo, come termine di riferimento, dal disastroso cambio della lira con l’euro quando dalla sera alla mattina, complice l’assoluta mancanza di controlli, ci si è trovati a pagare le merci, spesso necessarie per lavoro, il doppio di quanto costavano il giorno prima: da 1000 lire ufficiali a 2000 effettive. Poi la lunga crisi finanziaria, i cambiamenti nel mondo del lavoro, il neoliberismo selvaggio, la globalizzazione, la disoccupazione di massa, l’inettitudine dei governi ecc. hanno fatto il resto. E c’è ormai un’intera biblioteca di analisi e denunce, anche di premi Nobel.
Il Rignanese e le sue girls e i suoi accoliti hanno inferto il colpo di grazia al nostro Paese e ora il bubbone è esploso. E non credo sarà facile guarirne. La maggioranza di quelli che si oppongono al governo faticosamente nato dopo le elezioni di marzo non hanno né crediti né titolo per parlare, e infatti balbettano sciocchezze. I 5Stelle sono in trappola, non potendo ormai andare né avanti né indietro, e quindi in gran parte collusi. E soprattutto palesano loro malgrado che un sistema di democrazia diretta basata sulla Rete, senza radicamento nel territorio, senza politici esperti e affidato a consulenti esterni non funziona.
Ma, ripeto, drammatica è la mancanza di reazioni: mi rifiuto di pensare che un intero Paese sia ridotto come i topi incantati dal pifferaio di Hamelin. Eppure l’opposizione ufficiale, essendo in gran parte responsabile del disastro, non ha credibilità alcuna, anzi: basta sentirli e vederli per far venire la bava alla bocca. Su questo fronte non possiamo aspettarci nulla: c’è soltanto terra inquinata o sterile. L’informazione, quella che non tifa per l’attuale governo, fatte salve alcune rarissime e isolate eccezioni (il Manifesto, qualche singolo giornalista mal tollerato all’interno del proprio giornale) incistata com’è nel sistema del neocapitalismo globale non fa il minimo sforzo di capire cause ragioni prospettive: proliferano pensose considerazioni appiattite sull’ortodossia globalizzata o garrule polemiche di superficie. La Rete è un calderone insostituibile, ma occorre vagliare con attenzione le fonti e l’autorevolezza dei siti e dei blog.
Tornando all’accentuazione degli obblighi («C’è obbligo verso ogni essere umano per il solo fatto che è un essere umano» dice ancora la Weil) penso che si dovrebbe ripartire proprio da qui. Non importa tanto la personalità umana in astratto ma il corpo, il sangue, la sofferenza per l’ingiustizia subita, i segni delle torture, le lacrime delle donne e delle madri, l’espressione smarrita e terrorizzata dei bambini, la fame che tiene ancora in piedi corpi pelle e ossa… È su questo che saremo giudicati davanti alla storia e ai posteri, così come noi ora giudichiamo i polacchi irridenti i treni piombati o il peregrinare della nave Exodus piena di ebrei braccati o i quattro soldati armati che stanno alle spalle del bambino a mani alzate, cacciato dal ghetto di Varsavia. Ed è verso questi corpi che abbiamo degli obblighi. Confesso di vergognarmi ogni giorno per la mia incapacità di reagire, o di reagire solo in maniera insufficiente. Nel ridente Comune di Carmagnola, nel civile Piemonte, è stata cacciata da un campo sinti una settantenne malata di cancro (ha un polmone solo) insieme col figlio cinquantenne, ex tossicomane, che in qualche modo l’accudiva: di notte la madre andava a dormire in una sgangherata roulotte perché la baracca in cui viveva di giorno era troppo umida. È una delle tante notizie che si ripetono sui giornali. Tutto regolare, c’era persino un’ingiunzione del Tribunale di Asti. E il nostro ministro dell’Interno esulta, facendo struggere d’invidia il suo predecessore che non aveva avuto l’opportunità di organizzare un evento così bello e persino legale… Ecco, sapere che in un Paese felicemente sprofondato nell’illegalità generalizzata, anche urbanistica e ambientale, succedono ormai quotidianamente misfatti del genere mi fa arrossire di vergogna. Mi sento “obbligato” ma anche incapace. Possibile che non riusciamo nemmeno ad alzare la voce? Possibile che la protesta sia solo quella, volatile per definizione, che si fa strada nel labirinto della Rete? Tutti i gruppetti a sinistra del Rignanese (ci vuole anche poco) anziché discettare tra loro su chi è più bravo nell’analisi e nella strategia e nella spartizione degli incarichi non riescono a concordare una protesta, una politica comune almeno su questo livello basico di sfregio dell’umano? O dobbiamo invitare qui Melania Trump?
Non abbiamo proprio più anticorpi? Ma se non reagiamo ora, quando? E che futuro ci attende?
Il futuro che ci attende – se non si manifesta un’azione in controtendenza – è quello voluto da una moderna versione del pifferaio di Hamelin che, invece del piffero, usa “l’etichetta con cancelletto [hashtag]” come strumento per aggregare seguaci del “mi piace”.
Cosa impedisce all’editoria di iniziare a mostrare un diverso uso di quello stesso strumento?
Non potrebbe manifestarsi un nuovo tipo di editoria, che aggreghi portatori d’interesse [stakeholder] per un “mi piacerebbe”, ad esempio, avviare un #dialogo_operativo?