Pratiche che aiutano a passare la nottata

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Arriva alle otto di mattina la nave di Humanity I al porto di Livorno. Porta 88 migranti salvati dal Mediterraneo orientale. Con un gruppetto di compagne e compagni di Mediterranea Saving Humans partiamo da Firenze con l’idea di offrire un minimo di accoglienza. Proprio un minimo, perché siamo pochi, però abbiamo le magliette e un banner da esibire. Puntiamo sul simbolico. Ci diciamo che sarà meglio che niente.

All’inizio sembra davvero poco più che niente, rischiamo quasi di essere invisibili perché la polizia non ci fa avvicinare. Poi troviamo un punto sotto il quale i migranti devono passare dopo le visite mediche. Escono a piccoli gruppi, sette o otto. Sono tutti maschi e giovani. Prima di scendere dalla nave abbracciano uno per uno i membri dell’equipaggio tedesco. Due appena scesi si inginocchiano, si tolgono le infradito, baciano la terra e sembrano pregare. I saluti con i volontari della nave sono dolci, lenti e quasi commoventi. Alcuni dell’equipaggio si accorgono del nostro gruppetto, fanno il segno del cuore con le mani. Loro ringraziano, noi ringraziamo. È tutto un po’ infantile ma va bene così, mi sembra.

Quando finalmente i giovani sbarcati passano sotto di noi battiamo le mani, gridiamo un saluto, loro pure salutano. Sorridono. È una specie di bizzarro abbraccio, quasi spirituale, fra sconosciuti che forse non si conosceranno mai ma hanno in comune un mondo, la condizione umana. Per un po’ al riparo dalla solitudine.

Sembra Il porto di Livorno cantato da Piero Ciampi e Bobo Rondelli. È come ritrovare il senso caldo di una solidarietà elementare. Ci siamo, fratelli, siamo vivi. Di fronte all’essenziale della vita.

Noi alla fine torniamo a casa ancora con quell’emozione ingenua addosso. D’intorno non è cambiato nulla, dunque quella felicità è abbastanza strampalata. Nessuno dei governi europei sembra volerli questi alieni che arrivano dalla miseria. Credo che la cosa che spaventa non sia la diversità dell’Altro quanto la somiglianza. L’immigrato se è ricco e turista, o fa goal nelle nazionali ai mondiali, va benissimo. Ce ne fossero. Quello che spaventa è la povertà e la disperazione, la fragilità. Ci ricordano che siamo tutti esposti alla sofferenza, al rischio del vivere, alla precarietà dell’esistere. Nessuno è proprietario della terra in cui vive, siamo tutti di passaggio nello spazio e nel tempo. Nessuna sacra frontiera ci può proteggere dalla nostra leopardiana natura frale

In Italia non è mai stata così assente un’alternativa alla destra dominante. E alla sua cultura. L’autodistruzione della ex sinistra continua senza sosta. Marco Bascetta lo ha scritto magnificamente sul manifesto del 10 giugno, e anche Marco Revelli su queste pagine. Ritratti di nazione in un inferno. La frantumaglia di Elena Ferrante. E tuttavia Yannik Sinner ha spiegato che ha perduto al Roland Garros perché ha giocato e ci ha messo tutto, ma non era felice. E allora non c’è niente da fare, non si vince.

Oggi mi pare difficile immaginare in tempi brevi la rinascita di una sinistra “sostenibile”. Capace di riportare nella sfera della politica quel capitalismo che si è quasi naturalizzato, ontologicamente immodificabile e irraggiungibile. Chiuso ogni orizzonte di liberazione comune, resta solo la possibilità di riconoscersi in identità nazionali fasulle, proteggersi almeno dai nuovi poveri che ci fanno concorrenza dai barconi, una volta distrutto lo stato sociale. E tuttavia vale la pena proteggere questa stramba felicità del sentirsi umani fra gli umani: in qualche modo parte di una comunità politica, una nazione senza confini, dalle radici intrecciate, dalle appartenenze come progetti comuni di sé e del mondo. Ci si può aiutare a passare le nottate, ad attraversare la vita e le frontiere. Ma per questa comunità hanno senso pratiche più che discorsi o tessere. Locande, circoli, tende, invece che sezioni di partito. Non ci sarà un soggetto politico da votare domani, forse, ma quel tessuto etico di relazioni umane e gentili potrebbe costruire una forma di resistenza, se non di egemonia, nella polis. Allargarsi. In ogni caso sarebbe continuare a esistere. Come una lieve fiamma pilota, che può riaccendersi vivace quando arriva l’onda di piena. Insegna Tom Hanks naufrago nella sua isola con un pacco da consegnare, mai sottovalutare quello che può portare l’alta marea.

Gli autori

Andrea Bagni

Già docente di italiano e storia all'istituto Gramsci-Keynes di Prato. Vicedirettore della rivista "Ecole". Tra i fondatori di "Alba" e de "L'Altra Europa" ha partecipato da protagonista a numerosissime iniziative politico-culturali.

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