A chi è utile il voto utile?

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 È almeno dalla primavera del 2001, durante la campagna elettorale successiva alla prima legislatura dell’Ulivo, che riceviamo appelli al voto utile.

Tra il 1996 e il 2001, l’alleanza di centrosinistra aveva aperto alla parificazione tra fascismo e antifascismo (discorso di Violante sui «ragazzi di Salò», 1996), introdotto la precarietà nei contratti di lavoro (“pacchetto” Treu, 1997), ridotto la progressività fiscale (riforma Visco, 1997), approvato una legislazione repressiva dell’immigrazione (legge Turco-Napolitano, 1998), trasformato il rapporto Stato-enti territoriali in senso federalista (riforme Bassanini, 1997-1999), realizzato un vasto programma di privatizzazioni (D’Alema, 1999), mosso guerra a uno Stato sovrano senza l’autorizzazione dell’Onu (attacco alla Yugoslavia, 1999), creato scuole di serie A e di serie B con l’autonomia scolastica (riforma Berlinguer, 2000), revisionato la Costituzione in senso regionalista con un risicato voto di maggioranza (riforma del Titolo V, 2001).

Di fatto e con il senno di poi (vale a dire: anche al di là delle effettive intenzioni dei suoi protagonisti e al netto dei condizionamenti esterni in cui si ritrovarono ad agire), si può dire che il governo dell’Ulivo aveva predisposto, sul piano culturale e normativo, il terreno per una radicale svolta a destra della politica italiana. Ciononostante, la comprensibile decisione di Rifondazione comunista di presentarsi da sola alle elezioni del 2001 fu vissuta come un tradimento dall’establishment politico-culturale di centrosinistra, che bersagliò il potenziale elettorato di Rifondazione con l’appello al voto utile contro il pericolo del ritorno di Silvio Berlusconi.

Da allora lo schema ha continuato a ripetersi sempre uguale, provocando ogni volta un ulteriore slittamento a destra del quadro politico generale. Il culmine della stagione renziana del Jobs Act, della Buona scuola, degli accordi anti-immigrazione con i libici, della riforma costituzionale tentata nel 2016 è stato da ultimo superato con l’«agenda» che ha animato il governo Draghi, le cui politiche anti-sociali, anti-ambientali, anti-parlamentari e pro-guerra sembrano essere l’esito della negazione, a miope beneficio dei dominanti, delle più clamorose emergenze che minacciano il nostro futuro: le crescenti disuguaglianze, la devastazione ecologica, la crisi democratica, l’olocausto nucleare.

Peraltro, le politiche di destra realizzate dal (sedicente) centrosinistra sempre hanno preparato il terreno alla successiva vittoria politica della destra; meglio: di una destra ogni volta un po’ più a destra di quella precedente. A Berlusconi è succeduto Salvini; a Salvini Giorgia Meloni. Viene da chiedersi a chi toccherà tra cinque anni…

Alle elezioni del 2018, di fronte alla novità di una forza politica – il Movimento 5 Stelle – che, pur tra insanabili ambiguità, contraddizioni ed errori, avrebbe potuto contribuire a spezzare questo circolo vizioso, da molti venne l’invito a rivalutare Silvio Berlusconi, elevato a statista nientemeno che dal suo avversario storico, Eugenio Scalfari. Oggi, è il turno di Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, la cui uscita da Forza Italia li trasforma in candidati votabili persino agli occhi (sia pure orripilati) di un commentatore politico intransigente come Paolo Flores d’Arcais. La stessa Lega è da mesi oggetto di rivalutazione attraverso l’interessata e del tutto forzata contrapposizione tra Matteo Salvini e i vari Giorgetti, Zaia, Fedriga. E c’è persino chi opera distinguo in Fratelli d’Italia, individuandone il volto presentabile in Guido Crosetto.

È evidente – come ha ricordato Antonio Floridia – che siamo al cospetto di un enorme pericolo democratico. Ed è evidente che la legge elettorale vigente ulteriormente lo esaspera. Proprio per questo è venuto il momento di prendere atto che continuando ad andare a destra, come si propone di fare Letta facendo sua l’“agenda Draghi”, si finisce solamente per legittimare e rafforzare la destra.

C’è un modo di contrastare la destra assai più credibile che inseguire inutilmente Calenda, Renzi, Brunetta o Gelmini: è provare a recuperare almeno una parte della consistente astensione alimentata dal disagio sociale. Per farlo, occorre assumere come problemi prioritari e ineludibili il fatto che un quarto degli italiani vive in condizioni di povertà assoluta o relativa, che un terzo dei lavoratori guadagna meno di mille euro al mese, che un quinto lavora in condizioni di precarietà, che un terzo dei pensionati riceve misere pensioni; e che l’emergenza ambientale va affrontata senza ulteriori tentennamenti e ritardi. Assumano il Partito democratico e le altre forze politiche centriste questi temi al centro del loro programma politico e si facciano promotrici di una grande alleanza rivolta all’attuazione della Costituzione anche nel campo del fisco, della sanità e dell’istruzione (non si tratta di fare la rivoluzione, ma di porsi nella prospettiva di Fanfani, Moro, Scoca, Dossetti, La Pira): allora sì che un voto a loro favore potrà essere utile.

Altrimenti, sarà stessa storia di sempre: la destra vincerà comunque le elezioni, potendo inoltre beneficiare dell’ennesimo spostamento a destra del quadro politico.

 

 

Gli autori

Francesco Pallante

Francesco Pallante è professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Torino. Tra i suoi temi di ricerca: il fondamento di validità delle costituzioni, il rapporto tra diritti sociali e vincoli finanziari, l’autonomia regionale. In vista del referendum costituzionale del 2016 ha collaborato con Gustavo Zagrebelsky alla scrittura di "Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali" (Laterza 2016). Da ultimo, ha pubblicato "Contro la democrazia diretta" (Einaudi 2020) e "Elogio delle tasse" (Edizioni Gruppo Abele 2021). Collabora con «il manifesto».

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3 Comments on “A chi è utile il voto utile?”

  1. È esattamente quello che penso. Solo detto molto meglio di come riesce a me.

  2. i 5stelle vivono con i voti del sud.

    una disoccupazione giovanile al 40%, com é nel sud italia, significa che 1 giovane su 2 non lavora. e di cosa vivono? sono tutti ricchi possidenti? o sono quasi tutti in nero che appaiono disoccupati solo nelle statistiche?

    sono disoccupati solo ufficialmente. e questo consente loro di percepire il reddito di cittadinanza anche se lavorano.

    questa é una palla al piede per l intero paese. crea finta poverta e toglie risorse preziose ai veri disoccupati e alle fasce piu deboli (che ci sono anche al sud, questo é fuori discussione).
    toglie risorse importanti allo Stato. chi lavora in nero (e chi assume in nero) evadono tasse che sono risorse per lo Stato e grava sulla collettivita per i servizi che non paga e di cui dispone gratuitamente.
    questo soprattutto nelle regioni meridionali.

    ai 5Stelle fa da contraltare i partiti di dx che vogliono tagliare ulteriormente le tasse ai ceti piu ricchi.
    flat tax, condoni fiscali (pace fiscale la chiamano) e dintorni.

    insomma in un paese con un debito pubblico gigantesco che schiaccera le generazioni future, la campagna elettorale gira attorno al cercare di aumentare questo debito e a non far pagare le tasse a chi le ha evaso (pace fiscale é esattamente questo).

    non se ne esce.

  3. La situazione non può essere descritta inseguendo le telenovele quotidiane. Mi sembra che invece vada ridotta all’osso. Il PD è un partito che ha le stesse contraddizioni degli altri partiti socialisti europei. Per anni sono stati ubriacati da terze vie ambigue e da altre ricette liberiste, funzionanti in periodo di crescita ma distruttive se chiamate ad affrontare le fasi critiche e recessive, incapaci di dare risposte alle disuguaglianze crescenti. Questo ha aperto oggettivamente uno spazio alla loro sinistra che solo in Spagna e più recentemente in Francia ha trovato una risposta organizzata. In Italia l’equivoco M5S, complice una sinistra priva di capacità di mobilitazione e organizzazione, ha di fatto rallentato una risposta di cui solo ora con UP si vede qualcosa che va nella direzione giusta, purtroppo per loro sarà durissima. In questa fase la destra non è stata con le mani in mano ma ha raccolto consensi tra i ceti popolari (come fece anche Mussolini a suo tempo) e prepara una svolta autoritaria. La sinistra deve perciò pensare a come gestire e contrastare la fase autoritaria di destra, come darsi una forte organizzazione, una militanza disciplina e preparata, una forte presenza territoriale. Soprattutto deve tornare ad essere la forza politica di riferimento dei ceti popolari.

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