La guerra è uno spartiacque. Dobbiamo fare qualcosa di nuovo

Volerelaluna.it

29/04/2022 di:

Che fare? E come si costruisce un’alternativa per non essere condannati all’impotenza? In questi giorni di guerra e di pornografia bellica vale la pena riprendere questo filo di confronto aperto su Volere La Luna nello scorso autunno e ripreso all’interno della seconda edizione del quasi Festival #covidlalezionetradita (https://www.lalezionedel2020.it/edizione-aprile-2022/) in un dibattito a cui ho partecipato con Livio Pepino.

Fino a gennaio avrei detto, pensando alla politica nazionale e alle elezioni alle porte, che non si potesse fare NIENTE, se non continuare a lavorare sui territori, in movimenti ed esperienze locali (anche elettorali come quella di Firenze Città Aperta, di cui sono parte: https://www.firenzecittaaperta.it/), in pratiche di mutualismo e in laboratori e progetti culturali come è lo stesso progetto di Volere la Luna. Sinceramente non vedevo spazio alcuno per evitare delusioni amarissime come le ultime elezioni europee e vedevo l’agibilità elettorale solo in elezioni locali. Ritenevo assolutamente impraticabile per me (ma direi per noi) l’entrata nella galassia del PD e non mi arrabbiavo neanche più rispetto a chi, avendo voglia di politica, lo riteneva l’unico spazio possibile, visto lo stato sempre più privo di rilievo della sinistra politica. Insomma, pensavo necessario attrezzarsi per il medio periodo a un destino come la sinistra americana, che per anni ha creato la sua comunità ritenendo inagibile lo spazio della rappresentanza. Anche perché i nostri mondi sono stanchi di liste elettorali last minute e troppe sono state le delusioni e le ferite di questo ultimo decennio (da progetti bloccati – penso a Cambiare si può fino al Brancaccio – a esperienze partite bene – come L’Altra Europa con Tsipras – che poi non si sono radicate) oltre all’ingombro permanente di quel che resta della sinistra politica. Ma non c’è solo questo, la stagione della Pandemia, iniziata con la speranza e la convinzione di uscirne meglio si sta concludendo in maniera disastrosa con il governo dei migliori e la guerra. Un esito impietoso, che ha mostrato la debolezza dei movimenti e delle esperienze presenti ovunque in Italia e la conseguente incapacità di incidere sulla realtà e sulle scelte quando lo scontro sale di livello. Un esito rappresentato dalla cultura del PNRR e dai nomi che si sono alternati sulla scena delle elezioni del Presidente della Repubblica. Perché, in assenza di grandi movimenti di massa, senza un soggetto organizzato e rappresentanza non si incide e neanche si esiste nell’opinione pubblica.

Questo interroga tutte e tutti e mi aveva portato al convincimento, pensando alle prossime elezioni politiche, della necessità di saltare la scadenza elettorale come dato di realtà (evitando così l’ennesima delusione) e di aspettare un tempo altro in cui mettere al centro il tema dell’organizzazione politica, attiva 365 giorni all’anno. Il mio realismo fa i conti con la consapevolezza di come i vari tentativi (per me di straordinario livello) dell’ultimo decennio abbiano creato disillusione, distacco e rifiuto in persone di grandissimo livello che nei singoli tentativi si sono spesi. Molti di noi lavorano ora sul territorio (liste di cittadinanza locali, forme di mutualismo, animazione di dibattito). Ma sono ben consapevole che queste forme hanno un limite profondo, quando chiunque ti chiede chi sei a livello nazionale (ed europeo) balbetti qualcosa e non sai cosa rispondere.

In questi due primi mesi di guerra il mio realismo si è incrinato e con esso le mie certezze. La guerra e la sua cultura stanno ridisegnando tutto, cambia il quadro. Vediamo il direttore dell’Avvenire indicato come putiniano, assistiamo al giornaliero assalto all’Anpi (un maccartismo declinato in salsa italiana stile metodo Boffo) e alla costante derisione di chi chiede Pace, parola vilipesa ormai spacciata per debolezza o resa. Non solo, siamo entrati in una economia di guerra. Che vuol dire che tutte le azioni necessarie (riconversione ecologica, abbandono dell’economia fossile, diritti al e nel lavoro, diritti per tutt*, servizi pubblici e Stato sociale) sono abbandonate, essendo classificate come “lussi” per i momenti facili. Non a caso stanno saltando tutti i vincoli a opere devastanti e ai sussidi fossili e si approva in tre giorni l’aumento delle spese militari. La prima conseguenza della guerra è il ritorno all’economia fossile. Tutto questo in un quadro che si prolungherà ben oltre l’auspicato termine della guerra guerreggiata e che sta disegnando un’Europa terribile, che coincide con la NATO e che si forgia nella guerra. Un vero e proprio spartiacque per la storia europea, che sotterra la nostra Costituzione.

Di tutto questo in Italia – e mi ha sorpreso malgrado il mio lungo giudizio critico – il PD di Letta è il capofila e il fulcro di un’azione d’attacco non solo alla galassia della cosiddetta sinistra radicale ma anche del cattolicesimo democratico. È una rottura storica che ha una ragione di cui anche noi dobbiamo tenere conto: l’unico leader mondiale per la diplomazia e la pace è il Papa. Ma lo spartiacque della guerra ricolloca non solo il mondo cattolico e il cattolicesimo democratico, che si trova di fatto privo di rappresentanza in Italia, ma anche la sinistra. Mischia le carte, rompe vecchie geografie, crea nuove convergenze. E lo scontro tra chi vuole proseguire la guerra per eliminare Putin e chi invece vuole una iniziativa di pace aprirà nuovi spazi già in questi mesi.

Di fronte a tutto questo è lecito domandarsi: non è il caso di fare una verifica prima di abbandonare il campo della scena politica a Letta, Draghi, Salvini, Meloni? Sarebbe possibile pensare che da questo dramma, che durerà, possa nascere in Italia, intorno al no alla guerra e al no all’economia di guerra, una forza completamente nuova che saldi insieme la Costituzione, la cultura di pace e ambientalista di questo Papa, la salvezza del Pianeta e i valori di giustizia nostri, della sinistra? E che sfidi i signori della guerra alle prossime elezioni? Una proposta all’altezza dello sconquasso della Guerra, del tutto nuova, non per occupare uno spazio, ma la costruzione di una presenza nuova, che ci è imposta dalla realtà

I motivi logici ci sono tutti (chi rappresenta il 60% degli italiani che vuole la diplomazia e non la guerra?), quelli emozionali – e di orgoglio – pure (questo attacco continuo a chi non è in linea con l’elmetto e il moschetto sta creando un NOI largo). Bisogna vedere se esistono le condizioni politiche e le motivazioni soggettive per un nuovo “folle” impegno.

Penso, quindi, che sia necessario fare una verifica, velocemente, con convinzione e serietà, consapevoli che abbiamo vissuto troppe esperienze che ci hanno ferito e che non sappiamo il contesto in cui voteremo. Dobbiamo pensare a un soggetto politico e non solo a una lista e dobbiamo fare una cosa larga e grande, perché queste riflessioni non possono essere frutto di minoranze. È possibile che non si possa fare, perché la nostra sconfitta è così grande da levarci anche l’agibilità minima o perché tutto il campo di azione è occupato dal bellicismo rappresentativo. Ma penso che valga la pena di pensarci e magari lavorarci. Cosa ne dite?

Post scriptum. Mentre lo scrivo sento un fattore di leggerezza piacevole: per una volta sarebbe facile dire (in 10 secondi) chi siamo, ovunque in Italia. «Ma voi chi siete?» «Siamo quelli per la Pace e il ripudio della guerra, per la diplomazia, che rifiutano il bellicismo, che vogliono la riconversione ecologica, i diritti di chi lavora, i diritti per tutt*. Non stiamo con gli altri perché solo noi la pensiamo così e loro propongono il contrario». «Siete di sinistra?» «Sì». «Ma sulla guerra siete d’accordo con il Papa?» «Sì». «Ma anche con Greta Thunberg?» «Sì».