Non pensare a un partito. Semplicemente, riprendere a respirare

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Ho letto l’invito al confronto sul nostro futuro e rispondo.  Premettendo che non conosco  direttamente la realtà torinese e che ho 80 anni. 

Seguo “Volere la luna”, vi collaboro e fin dall’inizio. Mi sono associato e ho apprezzato moltissimo che non fosse solo un sito ma un sito con anche un centro sociale (so che non è la denominazione giusta, ma mi sembra ancora la migliore). Quindi non solo un giornale on line, espressione di un gruppo di intellettuali amici delusi dalle rissose velleità della cosiddetta sinistra, ma un’iniziativa con collegamenti concreti nel sociale e radici in una città particolare nella storia italiana.

Da quando il sito è nato ne son successe di cose, nel mondo e da noi, e una più grave, se possibile, dell’altra. La sintesi contenuta nello scritto che ha aperto questo confronto mi sembra, ahimè, perfetta. La catastrofe sociale prevista da tempo e analizzata da tutti i punti di vista sta arrivando, anzi è già arrivata (ma siamo ancora agli inizi), e della catastrofe ambientale e globale si parla soltanto ma ci siamo dentro e chi ha il potere non mi sembra intenzionato a uscirne, solo chiacchiere.  E non è comunque semplice: come dice Viale «è difficile arrivare alla fine del mese senza perdere di vista la fine del mondo». In più, a livello globale, mi sembra evidente una fine d’epoca, con un tormentato e rischioso passaggio da un secolare predominio dell’Occidente a un nuovo ciclo storico in cui il Pacifico prende il posto dell’Atlantico. Sempre che non vada tutto a catafascio prima.

In questo quadro, ampiamente documentato e denunciato anche dal Papa, è difficile prospettare una via d’uscita politica e sociale.

E arrivo così all’ultimo punto del documento introduttivo, quello del solito “Che fare?”, dove da sempre battiamo la testa.  Mi lascia soprattutto perplesso il punto c3: non vorrei che diventasse l’incunabolo di una nuova vagheggiata formazione politica. Probabilmente ho capito male: “Volere la luna” è nata proprio come risposta alla dispersione pulviscolare della sinistra e la situazione in questi tre anni non mi sembra cambiata, anzi.  

Penso, e l’ho scritto anche in qualche articolo, che l’unica strada, ma sarebbe più corretto dire “viottolo”, che abbiamo davanti a noi sia quella di fare rete. Cioè avere contatti e mandarsi segnali con altri gruppi e altre esperienze. Non per fare un partito o un movimento, che sarebbe non realistico e, in ogni caso, destinato alla sconfitta, ma per conoscersi, aiutarsi, verificare ciò che si ha o si può mettere in comune, costruire le premesse per eventuali scambi. Creare, per quanto sia possibile, le condizioni per una sensibilità diffusa, per renderci consapevoli che il tempo stringe. Una specie di terza via che dovrebbe definirsi col tempo e soprattutto nelle pratiche. Conforta sapere che altri sono in strada, alla ricerca di nuovi spazi e di nuove solidarietà. Senza velleitarismi, solo per respirare, finché si può, un’aria meno asfittica e avvelenata. 

Gli autori

Gianandrea Piccioli

"Una lunghissima esperienza alla guida di marchi storici, prima Garzanti, poi Sansoni, più tardi Rizzoli, ancora Garzanti, a settant’anni è considerato uno dei grandi saggi dell’editoria («Ma che esagerazione, sono solo capitato fra le due sedie: dopo i grandi e prima del marketing»), cresciuto alla Corsia dei Servi, l’eretica libreria milanese che negli anni Sessanta mescolava Bellocchio e padre Turoldo. Passo resistente da montanaro, è abituato a scalare le vette impervie di giganti quali Garboli o Garzanti, Steiner o Fallaci. L’editoria che incarna è molto diversa da quella attuale, «per imparare il mestiere non ti portavano a fare i giochi di ruolo in luoghi esotici». Quasi dieci anni fa la decisione di lasciare, «perché il mondo era cambiato e non riuscivo più a intercettare il mutamento». Oggi il suo sguardo appare molto nitido, nutrito di letture meticolose condotte nel buen retiro di Rhêmes o nel silenzio di Casperia, un borgo medievale nell’alta Sabina. «La crisi dell’editoria è una crisi culturale. Si fanno troppi libri, molti anche interessanti, ma oscurati dalla censura del mercato. E soprattutto le case editrici hanno rinunciato a un progetto, a una visione complessiva che suggerisca un’interpretazione del mondo»" [da https://ilmiolibro.kataweb.it].

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