Vincenzo Vita, giornalista, già parlamentare, scrive per “il manifesto”. È stato docente all’Università di Sassari nel corso di laurea in Scienza della comunicazione e giornalismo. È presidente della Fondazione Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico.
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Già oggi – e ormai dal 2017 – la pubblicazione di conversazioni intercettate incontra forti limiti a tutela, insieme, del diritto alla riservatezza e dell’interesse pubblico all’informazione. L’introduzione di ulteriori restrizioni prospettata dal ministro Nordio è, per questo, priva di giustificazioni e rappresenta semplicemente l’ennesimo tentativo di minare gli spazi della libertà di cronaca e di imbavagliare l’informazione.
Quotidiani e periodici sono in caduta verticale di appeal e di vendite. Secondo gli esperti, la carta stampata chiuderà i battenti tra il 2030 e il 2032, passando il testimone all’online. Investire in questo settore non ha, da tempo, riscontri di mercato ma serve per rafforzare relazioni di potere. Ne è prova, da ultimo, la vicenda de L’Espresso.
Il linguaggio della guerra è entrato nella comune sintassi e la verità esiste a corrente alternata. Julian Assange deve essere estradato e condannato a una pena esemplare perché colpevole di aver svelato alcuni dei misfatti degli Stati Uniti sulla scena internazionale. È il vecchio motto “colpirne uno per educarne 100”. Anche per questo occorre una grande mobilitazione internazionale contro la sua estradizione.
Julian Assange sta per essere estradato negli Stati Uniti dove rischia una condanna a 175 anni di carcere per aver documentato i crimini Usa in Iraq e in Afghanistan. Pessimo segnale in giorni in cui, nel mondo, ci sarebbe bisogno di altri Assange, perché l’informazione è sempre più omologata, i corrispondenti stranieri vengono allontanati dalle zone di guerra, in Russia cresce la censura.
L’informazione è comprata e venduta come una merce. La cessione de “L’Espresso” ne è l’ultimo segnale e cade nel momento di massima crisi della carta stampata. La diffusione dei giornali è in caduta verticale e molto cambierà ancora nel giro di pochi anni. Ma ciò, lungi dal produrre rassegnazione, deve spingere alla ricerca di più forti garanzie di indipendenza del giornalismo.
L’intervista del Papa sarà ricordata come una rottura delle consuete retoriche nel rapporto tra Vaticano e televisione. Le parole del Santo Padre sono state osannate da credenti, non credenti e persino pubblici peccatori. Chissà se Francesco li avrà etichettati come sepolcri imbiancati, farisei e bugiardi.
Cos’è la sinistra? Non è un semplice contenitore, come molti si ostinano a considerarla. È, al contrario, una cultura, una forma identitaria, un’etica, una passione civile. Occorre, dunque, ripartire da qui. E, per farlo, occorre collegare i diversi centri di cultura politica e avviare una capillare inchiesta sul campo con riferimento alla società, alle periferie, ai territori e alle stesse parole che li rappresentano.
Assange rischia di essere estradato dalla Gran Bretagna negli Stati Uniti perché ciò che ha rivelato sulle guerre in Iraq o in Afghanistan non si doveva sapere. Intanto, incombono gli oligarchi della rete e le piattaforme del capitalismo post-moderno. E l’intera informazione è una miscela di subalternità agli altri poteri, a cominciare da quello economico.
La vicenda del fondatore di WikiLeaks, Julien Assange, sembra terribilmente a una prova tecnica di un nuovo regime dell’informazione. E’ accusato di un reato previsto dall’Espionage Act statunitense del 1917, in base al quale la pena prevista arriva a 175 anni di carcere. Perché si riapra il sipario serve un atto formale dei governi e dell’UE.
Con un tratto di penna GEDI (cioè Agnelli-Elkann) ha dichiarato chiusa, per quanto la riguarda, la vicenda di “MicroMega”. È un copione già visto e la spia di una tendenza autoritaria che non salva nemmeno le forme. Quel che conta sono le convenienze immediate della proprietà. L’eresia non è tollerata.