Fabrizio Venafro, laureato in scienze politiche, studia la società contemporanea sotto il profilo socio economico, con taglio interdisciplinare.
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Postfascisti e liberali chiedono agli antifascisti una professione uguale e contraria di anticomunismo. È una richiesta infondata. Perché se il comunismo reale ha fallito i suoi obiettivi di uguaglianza ed emancipazione, nel fascismo non c’è alcun disaccoppiamento tra ideale e reale, ma semplicemente la negazione della democrazia.
Occorre essere folli o ciechi per ignorare che il capitalismo è un sistema fallimentare. Tale fallimento si manifesta sotto tre profili ad esso coessenziali: la crescente disuguaglianza sia a livello mondiale che all’interno dei singoli paesi, la tenuta della democrazia e la crisi climatica. Da tale situazione non si esce senza una critica radicale al sistema capitalistico. È tempo che la sinistra ne tragga le conseguenze.
Dopo che anche la classe operaia è stata conquistata dalle logiche del capitale, è venuto meno il soggetto in grado di promuovere la fuoruscita dal capitalismo. Eppure tale fuoruscita è imposta dalla crisi ambientale, coessenziale al capitalismo e risolvibile esclusivamente con il suo superamento. Ma solo la teoria della decrescita lo coglie.
Dopo la spedizione squadrista contro la sede della Cgil c’è chi si chiede se siamo di fronte a un reale pericolo fascista o a gesti criminali di frange isolate. La risposta è netta. Il fascismo è un pericolo concreto: per la reiterazione delle sue manifestazioni, per i collegamenti con forze politiche strutturate, per l’acuirsi delle disuguaglianze che alimentano sfiducia e risentimento.
Il susseguirsi di fatti gravissimi nei quali l’avidità ha causato morti e disastri ambientali rimanda a un’Italia che annovera nella sua storia un lungo elenco di crimini eseguiti non da sistemi mafiosi ma da una borghesia cialtrona che sull’altare del dio denaro sacrifica tutto. Più che a mele marce siamo di fronte a crimini di sistema.
Lo sgarbo di Erdogan verso Ursula Von der Leyen è stato pesante e ostentato. Ma ‒ c’è da esserne certi ‒ provocherà, al massimo, qualche stizzita reazione verbale. Come accade per le ben più gravi violazioni dei diritti umani. Gli affari sono affari e l’Europa ingoierà il rospo di buon grado.
L’ampliamento degli impianti sciistici sul Terminillo è prossimo. Nonostante i fiumi di parole spesi per sottolineare la necessità di mutare una rotta che porta alla catastrofe ambientale, in concreto si continua a ferire il territorio. Anche per la sinistra di governo costruire e devastare è meglio che mantenere e salvaguardare.
Oggi il compito da affrontare è demistificare la narrazione che il neoliberalismo ha prodotto negli ultimi quarant’anni. È evidente che la politica deve tornare a esercitare un ruolo preponderante, ma il modello a cui aspirare non è il semplice ritorno al welfare state keynesiano: il consumismo e l’idea di sviluppo forsennato su cui si fonda rischiano di gettarci in un tunnel senza uscita.
Ambientalismo e lotta di classe sono alternativi? Certo, se si considera la tutela dell’ambiente una sorta di giardinaggio o, al contrario, se la si ritiene compatibile con il capitalismo. Ma i fatti dimostrano sempre più che si tratta di facce della stessa medaglia ché diseguaglianze e distruzione ambientale procedono di pari passo.
Cosa c’entra la questione ambientale con l’emergenza sanitaria? Quest’ultima ha più le sembianze di un evento accidentale, naturale, inaspettato, mentre la prima – com’è sempre più chiaro – è determinata dall’azione del modello economico dei paesi sviluppati. In realtà, i due eventi hanno parecchi punti in comune.