Gianni Tognoni, medico, è esperto di epidemiologia clinica e comunitaria. E' stato direttore del Consorzio Negri Sud. Attualmente opera nel Dipartimento di Anestesia-Rianimazione e Emergenza-Urgenza , Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano. E' presidente delComitato Etico, Università Bicocca, Milano.
Contenuti:
Non solo Gaza. Si consuma in questi mesi il genocidio del popolo kurdo, protagonista della resistenza contro lo Stato Islamico e di una delle più importanti esperienze di democrazia sostanziale. E ciò avviene nel silenzio della comunità internazionale. È il crimine del silenzio con cui si cerca di cancellare la vita e la storia di interi popoli.
Il popolo kurdo è vittima di ininterrotta repressione fin dal Trattato di Losanna del 1923. Negli ultimi anni la repressione, in particolare in Turchia, si è trasformata in vero e proprio genocidio. Oggi, dopo che il vertice di Vilnius dell’11-12 luglio ha accolto le richieste di Erdoğan, la NATO si accinge a diventarne complice.
La democrazia elettorale e quella sostanziale si divaricano: in Turchia le violazioni dei diritti umani e dei principi democratici più elementari sono cancellate dalla vittoria di Erdogan, entusiasticamente accolta dalla comunità internazionale. È un campanello di allarme, un pro-memoria del fatto che democrazia è una definizione scaduta.
Dal 19 al 21 maggio si è svolto a Hiroshima l’incontro dei paesi del G7: teso, nelle intenzioni dichiarate, a definire le condizioni per un futuro sostenibile, è stato, a ben guardare, un’arrogante e acritica riaffermazione dello status quo. Gli interventi dei capi di Stato e il documento finale sono un accurato occultamento della realtà e delle responsabilità per i disastri che affliggono l’umanità, dalla mancanza di cibo alla guerra.
Gli ultimi 50 anni coincidono con un processo di trasformazione radicale della società: da orizzonte di promozione della universalità dei diritti individuali e collettivi a sistema che vede gli umani come variabile dipendente dai “diritti proprietari”. Questa storia insegna che i diritti non “sono” ma possono solo “divenire” inviolabili, come prodotto di un laboratorio permanente di ricerca e generato dal terreno reale.
In questa estate, in cui il dibattito pubblico è occupato dalla siccità e dalla guerra in Ucraina, ci sono alcuni grandi assenti. Tra questi i Rohingyas e i popoli del Rojava, nei cui confronti è in atto un vero e proprio genocidio ad opera del Myanmar e della Turchia nel silenzio (interrotto solo da qualche dichiarazione di facciata) e con la complicità della comunità internazionale.
Il 17 giugno la WTO ha annunciato i criteri per rendere i vaccini accessibili a livello globale. Nessuna traccia della sospensione dei brevetti ma solo alcune facilitazioni per i Paesi in via di sviluppo nell’uso delle licenze obbligatorie. Nulla di nuovo nello specifico e, insieme, una pesante ipoteca sul futuro dei diritti fondamentali.
L’unica vera alternativa alla guerra è la pace. Ma ciò è negato ogni giorno, nelle parole e nei comportamenti. E se smettessimo, almeno a sinistra, di discutere se siamo più o meno pacifisti e ci ponessimo, tutti, un obiettivo politico-economico, e diretto: non accettare la mancanza di alternative alle spese militari e lavorare per spostare le spese previste ora per il riarmo all’ambiente, alla sanità, allo ius soli?
La guerra occupa la scena mediatica e non lascia spazio a un’idea di pace che non sia solo assenza di guerra. La nostra “civiltà” ha spazi crescenti per ricerca, produzione, glorificazione delle armi, ma riserva alla pace solo raccomandazioni svuotate di potere, credibilità, esempi. Eppure, se non si cambia paradigma, non ci sarà salvezza: né in Ucraina né nel resto del mondo.
L’unica cosa “vera” e documentabile (seppur marginale nelle cronache e nelle considerazioni politiche) su quanto sta succedendo in Ucraina, sono le vittime, militari e civili, dirette e indirette. L’auspicio è che tutte le vittime “inutili” di questa guerra, unite a quelle dei tanti altri conflitti di cui è fatta la guerra mondiale per frammenti, si trasformino in un grido permanente: basta!