Angelo Tartaglia è professore emerito di Fisica presso il Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino. Si occupa, tra l’altro, di impatto delle attività umane sull’ambiente, di effetto serra e di perturbazioni dell’atmosfera generate da immissioni di gas. Da anni è impegnato nell’applicazione della logica dei sistemi ai problemi trasportistici, con particolare riferimento al progetto delle ferrovie ad Alta Velocità. È consulente della Unione Montana Val Susa e del Comune di Torino sulle questioni del TAV.
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Sullo sfondo della transizione energetica è divenuto di attualità il tema delle comunità energetiche rinnovabili cioè di gruppi di utenti che si mettono insieme in un dato contesto territoriale per produrre da sé, da fonti rinnovabili localmente disponibili, l’energia di cui hanno bisogno. Un’idea semplice e rivoluzionaria, ma non gradita agli operatori del settore, che sono subito corsi ai ripari.
I media stanno dando grande risalto all’esperimento con cui si è prodotta la fusione nucleare, indicandola come fonte di energia pulita all’infinito. Purtroppo, pur in presenza di indubbi passi avanti nella ricerca, non è così: l’applicazione pratica della fusione è di là da venire e l’energia prodotta non sarà né infinita né pulita. Ma prospettare un futuro radioso è un potente alibi per non cambiare nulla in punto consumo di energia.
Un piccolo passo verso la gestione dell’emergenza energentica è stato fatto, in Italia, con il riconoscimento delle comunità dell’energia rinnovabile, aggregazioni di utenti che si uniscono per far fronte ai propri bisogni a partire da risorse rinnovabili reperibili nel luogo in cui vivono. Il riconoscimento è avvenuto con una legge del 2020 che, peraltro, non è ancora in vigore. E già iniziano le speculazioni.
L’emergenza climatica globale e le conseguenze della guerra richiedono interventi radicali. Ma il governo e i poteri forti dell’economia preannunciano nucleare, trivelle, carbone e idrogeno pur di non mettere in dubbio il sistema economico e il modello di crescita infinita. Se vogliamo evitare il tracollo c’è una sola strada: cambiare strada (e ministro).
L’impennata dei prezzi delle bollette è dovuta a ragioni geopolitiche e a operazioni speculative sui mercati finanziari. Ma è un fatto che le fonti tradizionali di energia sono limitate e sempre più costose. Per il futuro non ci sono alternative: occorre ridurre drasticamente l’uso di energia e puntare sulle rinnovabili. È possibile, mentre non sono una soluzione né il gas né il nucleare.
Trenitalia ha aperto un nuovo collegamento tra Milano e Parigi, passando per Torino. I Frecciarossa 1000, percorrendo la linea storica e il “tunnel Cavour”, arriveranno nella capitale francese in 6 ore. Il Tav, con una spesa di 30 miliardi e milioni di tonnellate di emissioni climalteranti, potrà anticipare di mezz’ora un giro di cancan al Moulin Rouge. A chiedersi se ne vale la pena non sono solo i valsusini.
Il Governo dice che vuol fare sul serio e che, entro il 2030, ridurrà le emissioni climalteranti del 55%. Eppure continua a sostenere a spada tratta la Torino-Lione, anche se lo scavo del suo tunnel di base comporterebbe, secondo gli stessi proponenti, un’emissione di CO2 pari a 10 milioni di tonnellate. Che abbia ragione Greta e che sia tutto un blah, blah, blah?
Di nuovo si affaccia, sia pure in tempi medi, il nucleare. Lo invoca il ministro Cingolani e lo prospetta l’ENI versione green. Le promesse e le assicurazioni sono tante: un’energia pulita, sicura e inesauribile. In realtà non è così. Nulla di tutto questo è assicurato e nessun miracolo tecnologico può consentire la crescita infinita e sicura in un mondo finito.
Il neoministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, si è cimentato, prima della nomina, con un libro sul tema. Testo interessante, che sottolinea l’insufficienza dell’innovazione tecnologica a risolvere i problemi ambientali e sociali. Vedremo se quelle affermazioni avranno un seguito nella attività di governo.
“Dentro la zona rossa” di Francesco Fantuzzi e Franco Motta ha il pregio del realismo. Se siamo costretti a rallentare, la situazione ambientale del pianeta migliora visibilmente e rapidamente, se ci lanciamo nella “ripresa” e sogniamo un “rilancio”, la situazione peggiora e il virus ci dà un’altra botta. Eppure, pare proprio che non vogliamo imparare la lezione e cambiare davvero qualcosa.