Emilio Sirianni, magistrato, è presidente della sezione lavoro della Corte d’appello di Catanzaro e segretario della sezione locale di Magistratura democratica
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C’è una buona notizia: Riace resiste. Quel borgo continua ad essere instancabilmente percorso da Mimmo Lucano (per tutti, ancora, il sindaco) insieme a donne e uomini che accorrono a sostenerne il sogno: anche in questi giorni, in attesa del concerto di Eugenio Bennato, per ascoltare, tra gli altri, Luigi Ferrajoli, uno dei più grandi filosofi del diritto del mondo, parlare dell’utopia concreta di una Costituzione della terra.
È vero, come dicono alcuni, che il recente decreto legislativo sulla presunzione di innocenza, disciplinando in modo restrittivo i rapporti dei magistrati con la stampa, impedirà un controllo diffuso sui poteri forti? No, a ben guardare, perché l’informazione non può dipendere dalle veline delle Procure che, anzi, devono essere anch’esse soggette al controllo della stampa.
Un conflitto interno alla Procura di Milano, un’impropria circolazione di verbali coperti da segreto d’indagine, le omissioni di un autorevole componente del Csm. Questi gli ingredienti della nuova bufera che si è abbattuta sulla magistratura. Che ha una sola via d’uscita. Il rigoroso rispetto delle regole. Da parte di tutti.
È iniziato il processo “Rinascita-Scott”, forse il più grande processo, sino ad oggi, per fatti di ‘ndrangheta. È, per tutti i calabresi e non solo, una svolta importante e liberatoria. Ma, perché sia davvero tale, occorre che il processo si svolga in aula, nel rispetto delle regole, e non si trasformi in una guerra (anche mediatica).
In Calabria un’altra ombra inquietante si profila all’orizzonte: Luigi De Magistris ha deciso di candidarsi alla guida della Regione. E la candidatura sembra incontrare simpatie in una sinistra dimentica che il suo compito non è cercare un leader incoronato da un discutibile esercizio del ruolo di magistrato ma lavorare dal basso in difesa dei diritti.
La Calabria è terra di tristi primati. Ultimo quello di aver affiancato, alla qualifica di “regione rossa” (pandemicamente parlando), siparietti imbarazzati di commissari e viceré. Non basta indignarsi. Occorre fare dei nostri saperi e della nostra passione un tessuto di condivisione e di lotta senza affidarsi a toghe o stellette.
Mentre si avvicina la “fase 2” della pandemia, gli strappi e le strumentalizzazioni politiche si sprecano. Per rispondere ai crescenti bisogni sociali e arginare la demagogia della destra non c’è che l’introduzione di un reddito di base incondizionato finanziato da una tassazione progressiva. Chissà che il virus non faccia il miracolo.
Quanto più le indagini e i processi sono rilevanti, tanto più è necessario che i loro titolari si attengano, sul palcoscenico dei media, a sobrietà di comportamenti e di dichiarazioni. Non è sempre così, come casi recenti dimostrano, e ciò nuoce alla credibilità della giustizia e rischia di ledere diritti e garanzie di tutti.
«Esiliato per paura come in una dittatura, lo vogliamo qui a Riace il paese della pace»: così recita lo striscione sopra l’anfiteatro pieno di gente e di artisti. Poi tutti in corteo per raggiungere Mimmo nel comune vicino. Ed è festa grande fino a sera per dire quel che Riace è stato e continuerà a essere.
Confermando il licenziamento dei cinque lavoratori FIAT di Nola che avevano inscenato la rappresentazione del finto suicidio di Sergio Marchionne, la Cassazione si è spinta a configurare un “obbligo di fedeltà” del lavoratore verso l’azienda di ampiezza tale da suonare come antidoto a ogni forma di confitto.