Michele Sferlinga studia presso l’Università degli studi di Torino.
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Nella sua millenaria storia, il popolo ezida è sopravvissuto a 74 ferman, cioè a editti che ne ordinavano il massacro. L’ultimo brutale tentativo di sterminio – un vero e proprio genocidio secondo i trattati internazionali – è avvenuto nel 2014, per mano dell’Isis. Il genocidio, peraltro, non è ancora stato riconosciuto ufficialmente dal nostro Paese.
Un recente volume di Clara E. Mattei (“Operazione austerità. Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo”, Einaudi, 2022) ricostruisce in chiave storica ed economica il fenomeno dell’austerità, mettendolo in relazione alla nascita dei regimi autoritari. La conclusione è che l’austerità non è una scelta tra diverse opzioni possibili ma un elemento fondante del rapporto tra neoliberismo e autoritarismo.
Il recente ritrovamento, nella foresta amazzonica ai confini tra Brasile e Perù, dei copri senza vita di Don Philips, giornalista inviato del Guardian, e di Bruno Pereira, antropologo brasiliano, ha rimesso all’ordine del giorno i pericoli che corrono coloro che sono impegnati professionalmente nella difesa dell’ambiente. Nel 2020 ne sono stati uccisi ben 227, di cui 20 in Brasile.
L’ultimo rapporto di Oxfam conferma un dato rimosso dai più: la pandemia ha acuito in maniera netta il poderoso divario presente tra le fasce della popolazione ricche e quelle povere, facendo correre in maniera incontrollata il «virus della diseguaglianza». L’antidoto non può che essere un modello di vita diverso basato sull’uguaglianza come principio a cui devono informarsi tutti gli altri valori.
Stabilità, rapidità, efficienza, necessità, urgenza. Sono alcune delle parole chiave che ruotano intorno allo «stile di governo» emergenziale. La speranza è che esso non si traduca in una improvvida «nostalgia per Cincinnato» che, come la nostra storia recente insegna, non fa bene alla democrazia, alle libertà e ai diritti.
Il tempo della pandemia propone un’impennata nel processo, da tempo in atto, di verticalizzazione della politica e di concentrazione dei poteri nelle mani del Governo. Il rischio è di avvicinarsi a una forma di democrazia decidente, incentrata su un unico soggetto, un leader carismatico che assuma le vesti di “capo democratico”.