Sergio Labate è professore di Filosofia teoretica presso l’Università di Macerata. Tra i sui temi di ricerca ci sono il lessico della speranza e dell’utopia nell’età secolarizzata, la filosofia del lavoro, le passioni come fonti dei legami sociali, la difesa della democrazia costituzionale nell’epoca del suo disincanto generalizzato. È stato presidente di Libertà e Giustizia. Tra le sue pubblicazioni: “La regola della speranza. Dialettiche dello sperare” (Cittadella 2012), “Passioni e politica” (scritto insieme a Paul Ginsborg, Einaudi 2016), “La virtù democratica. Un rimedio al populismo” (Salerno editrice 2019).
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La scomparsa della sinistra nell’epoca del trionfo del capitalismo ha molte cause. Tra queste ce n’è una, evidenziata dall’accettazione supina del lutto nazionale per la morte di Berlusconi, che si potrebbe definire “servitù volontaria”. È tempo di capire che la sinistra non può limitarsi a combattere l’ingiustizia, ma deve combattere gli ingiusti.
Due mesi fa una (allora) oscura parlamentare di Fratelli d’Italia apostrofò Tomaso Montanari con le parole: «Stia pur sicuro che da noi non avrà mai diritto di parola!». Non era una battuta infelice ma un programma politico oggi in pieno svolgimento: la regola è diventata prendersi tutto, trasformare ogni occasione in propaganda di regime, dileggiando ogni regola di pluralismo democratico e ogni pudore.
Il valzer delle nomine del Governo Meloni è in pieno svolgimento tra vizi antichi, spirito di rivincita e regolamenti di conti. Se per la Rai ci si affida a rabdomanti, venditori di fumo e barbareschi, negli enti economici si affollano garanti di un ordine economico immutabile il cui unico merito è l’obbedienza a qualunque padrone. E il metodo fa scuola…
In questo 25 aprile che ci dice l’evidenza del tempo presente con la stessa efficacia di una coltellata, non voglio esibire l’orgoglio del vincitore ma l’umiltà ostinata del combattente. In funzione di una democrazia incarnata e non solo difensiva. Perché il 25 aprile sia una garanzia per il futuro di mio figlio e dei ragazzi come lui e non solo la celebrazione del nostro passato.
Le proteste che incendiano Francia e Israele sono, nel nostro Paese, inesistenti e addirittura inimmaginabili, pur in presenza di una situazione sociale e politica per molti versi analoga. Sarà la sfiducia nella politica o lo sfarinamento della società civile o la reciproca frattura tra istituzione e protesta sociale. Ma certo viene spontaneo dire che l’Italia, affascinata dalla guerra, ripudia il conflitto interno.
La riforma fiscale approvata nelle grandi linee dal Governo favorisce i ricchi e penalizza i poveri. Basterebbe, ma c’è di più. Essa disegna un mondo in cui è esclusivamente il mercato a plasmare la società e allo Stato è assegnato un compito residuale. Così le tasse sono viste come il castigo per coloro che tramite il loro lavoro si occupano di costruire la società piuttosto che produrre direttamente ricchezza.
La volgarità delle esternazioni del ministro Valditara è un segnale di qualcosa di più profondo. Da un lato mostra che la “diffidenza di Stato” si rivolge contro ogni memoria antifascista mentre protegge la nostalgia del fascismo. Dall’altro evidenzia come il sogno del capitalismo che stravince sia quello di tornare a un mondo in cui nessun limite faccia da argine alla tracotanza dei potenti.
Lo scenario è post-apocalittico. Abitato, ma dai morti. Che raccontano di essere vivi, brindando a una minima variazione elettorale. I vivi sono nascosti, attendono. Che nel deserto spunti un segno, un fiore, una goccia d’acqua, un po’ di vento. Per uscire dai loro rifugi e respirare il profumo di quella grande utopia che è stata la democrazia liberale. Un posto che sapeva di vita, non di morte.
Da tempo la sinistra si consuma in una crisi che è anche generazionale. Non parlo, per carità, di rottamazione o di altre simili sciocchezze. Ma di cose che devono fisiologicamente accadere e da cui noi cinquantenni siamo ormai fuori. Parlo di eredità politiche, che non si possono “pretendere” ma si devono “lasciare”: piccolo gruzzolo che serve a continuare il lavoro che non è stato compiuto.
Quel che accade oggi nel calcio è ciò che accade quando il capitalismo prende possesso di ogni angolo della società. Non c’è mano invisibile, ma le mani visibilissime di coloro che elargiscono mazzette e modificano bilanci senza alcun controllo. E lo fanno con il disprezzo di chi sta in alto e pretende che chi sta in basso lavori perché possa continuare la festa dei pochi.