Gianfranco Schiavone, studioso delle migrazioni internazionali, è presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà-Ufficio Rifugiati. Tra i fondatori del sistema SPRAR-Sistema nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, è vice presidente nazionale dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione. È autore di numerose pubblicazioni in tema di diritto dell’immigrazione e protezione internazionale e coautore di "Il diritto d’asilo. Report 2017" (a cura della Fondazione Migrantes, TAU, 2017).
Contenuti:
Dopo la Danimarca è la volta del Regno Unito, il cui premier annuncia di aver concordato con il Governo del Rwanda il trasferimento nel paese africano dei richiedenti asilo approdati sul territorio di sua maestà britannica. Saranno le autorità ruandesi a esaminarne le richieste e a provvedere alla loro sistemazione. Così funziona la tutela dei diritti nella più risalente democrazia europea.
La regolarizzazione dei lavoratori i stranieri prevista nel maggio 2020 procede con enorme ritardo. Così, se il datore di lavoro viene meno al suo impegno, nelle more del procedimento il lavoratore si trova nell’impossibilità di avviare un nuovo rapporto. A meno di un’applicazione diretta della convenzione n. 143/1975 dell’OIL.
Lo straniero nel cui paese è impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche ha diritto a ottenere asilo in Italia e può chiederlo alla frontiera. Ma non a quella con la Slovenia dove vigeva una prassi di riammissione informale. Per dichiararla illegittima c’è voluta, nei giorni scorsi, una decisione del Tribunale di Roma.
La nona regolarizzazione della storia repubblicana, prevista dal “decreto rilancio”, ha partorito il classico topolino: 220.528 domande a fronte di 680.000 presenze irregolari. Conseguenza di una legge irrazionalmente restrittiva ma soprattutto di una politica migratoria incapace di seguire l’andamento reale dei flussi.
La regolarizzazione varata con il decreto “rilancio” è un’occasione mancata. Le pesanti limitazioni dei soggetti legittimati ad accedervi escluderà, infatti, dalla possibilità di sanare la propria posizione un quarto dei migranti presenti nel Paese anche se dediti a un lavoro stabile.