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Matteo Saudino, laureato in storia e filosofia, insegna filosofia presso il liceo “Giordano Bruno” di Torino. È autore di "La filosofia non è una barba" (Vallardi, 2020) e, con Chiara Foà, di “Il prof fannullone. Appunti di una coppia di insegnanti ribelli nell’esercizio del mestiere più antico del mondo (o quasi)” (Independently published, 2017). È ideatore di "BarbaSophia", canale YouTube (https://www.youtube.com/channel/UCczAmcE87UncfJLyrfA2wUA) in cui spiega e racconta concetti e storia della filosofia.
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La scuola non ha retto alla prova del virus. Ciò che manca è una visione condivisa. Occorrono degli Stati Generali dal basso per ridisegnare tutto: programmi, didattica, spazi, valutazione, formazione dei docenti, edifici, borse di studio, orari, protagonismo studentesco. Proviamoci!
Il ritorno a scuola è avvenuto con molte ombre ma anche con qualche luce. Pur nel caos della nomina dei docenti annuali, caratterizzata da errori e disfunzioni ancora maggiori che negli anni precedenti, le scuole, come sempre nelle emergenze, hanno saputo tirar fuori, nonostante la carenza strutturale di fondi, energie inaspettate.
A pochi giorni dall’inizio delle lezioni la scuola è nel caos. La pandemia, anziché produrre uno sforzo comune e soluzioni condivise, sta provocando strumentalizzazioni e risse sui media e tra le forze politiche. Se non si cambia registro non si andrà lontano e la sconfitta sarà di tutti.
In molti hanno pensato che la pandemia fosse l’occasione per rivedere le priorità del nostro modello di sviluppo e, in esso, del sistema scolastico. Non è stato e non è così. Anche perché ciò che occorre è un vero e proprio new deal, di medio periodo, in cui una nuova cultura della scuola diventi egemone nella società.
Il Coronavirus si è abbattuto come un uragano sulla scuola, che si trova ad affrontare una situazione di crisi senza precedenti. In questi giorni di chiusura forzata è opportuno non farsi travolgere dal panico ed elaborare alcune riflessioni sui rischi, i cambiamenti e le opportunità che si prospettano per il sistema scolastico.
La compiaciuta pubblicazione, nel sito di un istituto scolastico romano, del diverso riferimento sociale dei propri plessi non è una semplice, stupida gaffe ma la fotografia di una realtà riscontrabile ovunque nel Paese: quella di una scuola sostanzialmente classista che riproduce, anziché eliminare (o attenuare), le disuguaglianze.
Ritorna alla maturità il tema di storia e sparisce la scelta delle buste per l’avvio del colloquio orale. Modifiche all’apparenza modeste. Ma ragionare sul passato per capire il presente e uscire dall’immaginario dei quiz televisivi può aiutare la scuola a diventare luogo di formazione e gli studenti a essere più liberi e consapevoli.
Alcuni docenti veneziani hanno scelto di non partecipare a un incontro celebrativo della giornata delle Forze armate. Immediate le critiche dell’assessore regionale leghista. Critiche infondate, ché, nella scuola voluta dalla Costituzione, gli insegnati devono fare del ripudio della guerra la stella polare dell’azione didattica.
La proposta di estendere il diritto di voto ai sedicenni divide. Anche gli interessati. Ma il confronto in alcune classi delle superiori mostra una significativa voglia di politica che va valorizzata se non si vuol soffocare ogni istanza di partecipazione in nome di una fedeltà a un passato mitizzato che, comunque, non c’è più.
Comincia l’anno scolastico, si ritorna in classe. Le interpretazioni riduttive della scuola si moltiplicano ma fare l’insegnante resta un mestiere profondamente politico, una sfida educativa dirompente, una quotidiana ribellione allo status quo, un progetto di crescita ed emancipazione.