La Rete dei Numeri pari ha come obiettivo il contrasto alla disuguaglianza sociale per una società più equa fondata sulla giustizia sociale e ambientale.
La Rete – inizialmente promossa da Gruppo Abele, Libera e Rete della Conoscenza – unisce centinaia di realtà sociali diffuse in tutta Italia che condividono l’obiettivo di garantire diritti sociali e dignità a quei milioni di persone a cui sono stati negati (associazioni, cooperative, parrocchie, reti studentesche, comitati di quartiere, campagne, progetti di mutualismo sociale, spazi liberati, reti, fattorie sociali e semplici cittadini)...
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Il 22 aprile si è tenuta a Roma presso la Casa Internazionale delle Donne l’assemblea organizzata dalla Rete dei Numeri Pari per un confronto con le forze politiche che hanno sottoscritto negli scorsi mesi l’Agenda Sociale predisposta dalla Rete. Il confronto, pur ampio e proficuo, non si fermerà lì ma proseguirà con un tavolo permanente per costruire iniziative che rafforzino l’opposizione sociale nei territori.
Sette proposte contro la legge di bilancio in corso di approvazione che fa cassa sui poveri e scaraventa nella miseria milioni di persone. Sette proposte per tassare gli extraprofitti, rafforzare il reddito di cittadinanza, evitare tregue fiscali e condoni, garantire il diritto all’abitare, istituire il salario minimo, potenziare le risorse per salute e istruzione, abbandonare ogni ipotesi di autonomia differenziata.
C’è, nel Paese, un problema strutturale di povertà, disuguaglianza e sfacelo ambientale. I cambi di Governo non incidono su questa situazione. La politica si parla addosso e non risponde ai bisogni reali delle persone. Non c’è alternativa: bisogna costruire una imponente mobilitazione dal basso. Per questo scendono in campo centinaia di movimenti e realtà territoriali: a Roma, il 5 novembre.
A fronte di un’inflazione tornata ai livelli del marzo 1986 non si possono chiedere a milioni di italiani in povertà altre rinunce o sacrifici. Siamo il paese con i più bassi salari e con il più alto numero di lavoratori poveri in Europa. È questo il terreno su cui occorre intervenire. Qui le proposte di alcune realtà impegnate sui territori contro disuguaglianze, povertà e mafie.
Le condizioni del Paese precipitano, come denuncia l’ultimo rapporto BES dell’ISTAT. Ma le misure adottate dal Governo, il PNRR e il DEF riaffermano la prevalenza del mercato sulla dignità e i diritti delle persone e rischiano di determinare una condizione senza ritorno per la maggioranza della popolazione e per la stessa democrazia.
La crisi economica e sociale è sempre più evidente. E il PNRR è un’occasione mancata, difende lo status quo e non promuove né equità sociale né sostenibilità ambientale. La situazione può cambiare solo se le persone diventano protagoniste. Per questo bisogna riprendersi le piazze, molte piazze. Cominciamo il 16 ottobre.
Sblocco dei licenziamenti, “semplificazione” del codice degli appalti, nessuna riforma fiscale, nessun investimento strategico sulla sanità territoriale, l’istruzione, la casa. Il Governo Draghi sposa le proposte di Confindustria. Eppure le indicazioni alternative non mancano.
A un anno dallo scoppio della pandemia e mentre l’Istat registra un milione di persone in povertà assoluta in più continua a mancare una visione capace di portarci fuori dalla crisi strutturale in atto. Eppure le proposte ci sono. È tempo che il Governo si confronti finalmente con i soggetti impegnati nei territori a contrastare la povertà.
Nella “Nota di aggiornamento al DEF” è stato previsto un disegno di legge per accelerare la realizzazione del cd. regionalismo differenziato. Ciò è particolarmente grave alla luce dell’esperienza di questi mesi in cui lo spericolato scontro istituzionale fra Stato e Regioni ha contribuito a depotenziare la risposta alla pandemia.
Di fronte a una crisi drammatica il Governo e le regioni, la maggioranza e l’opposizione mostrano tutta la loro inadeguatezza. Da marzo, come reti sociali, abbiamo indicato gli interventi necessari e possibili. Senza avere risposte. Un’intera classe dirigente sta consumando il suo fallimento mentre il Paese non regge più.