Nato ad Asti nel 1949, laureato in Scienze politiche all’Università di Torino, nel 1978 entra in carriera diplomatica nell’allora Servizio di Cooperazione Tecnica con i Paesi in via di Sviluppo, la futura Cooperazione Italiana, occupandosi della collaborazione coi Paesi africani. Il primo incarico all’estero è nel 1980 a Bogotà, dove è responsabile delle relazioni commerciali; segue, dall’agosto 1984, la tappa ad Atene con funzioni di Console. Nel 1991 Consigliere commerciale a Bangkok, dal 1994 all’ambasciata a Mosca durante il complesso periodo della Presidenza di Eltsin, dove è incaricato di reggere la sezione politica dell’Ambasciata e dal 2002, con funzioni di Ministro Consigliere, svolge il ruolo di numero due dell’Ambasciata coordinando, in particolare, l’intero settore delle relazioni politiche con la Federazione Russa. Rientrato al Ministero nel gennaio 2007, torna alla Cooperazione allo Sviluppo, col ruolo di Coordinatore Multilaterale ed Emergenza, sovrintendendo inoltre, durante la Presidenza italiana G8 del 2009, a numerosi aspetti dello Sviluppo in trattazione durante il G8: in particolare Sicurezza Alimentare, “Education” ed “Accountability”. Nel 2010 è nominato ambasciatore ad Addis Abeba e accreditato anche a Gibuti, con credenziali di Ambasciatore presso l'Unione Africana e l'IGAD (Inter-Governmental Authority on Development). Attualmente è Presidente del Centro piemontese di studi africani.
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Con la guerra in Ucraina, l’Europa ha perso il vantaggio di costituire una vasta regione di stabilità strategica. Anche per questa ragione l’attuale frammentazione non sembra più a lungo sostenibile, suggerendo un rinnovato sforzo per le riforme e, allo stesso tempo, un indispensabile riavvicinamento delle posizioni interne.
Il conflitto sullo Stato di Diritto fra l’UE e la Polonia è stato di recente proiettato in una dimensione geopolitica con la crisi dei migranti aperta dalla Bielorussia, con esiti difficili da prevedere anche per quanto riguarda le spinte sovraniste di quel Paese, in presenza di una reale “crisi di sicurezza”.
A distanza di meno di un mese fra loro, eventi traumatici in due Paesi-chiave della regione del Sahel quali il Mali e il Ciad – l’uccisione del presidente del Ciad, Idriss Déby e il nuovo “golpe” in Mali – hanno rinnovato dubbi e incertezze sulla strategia di stabilizzazione di un’area strategica per l’Europa (dalla sicurezza, al terrorismo, al traffico di esseri umani).
Il conflitto fra l’esercito federale etiopico e le milizie del TPLF (Tigray People Liberation Front) rischia di prolungarsi in una fase di guerriglia strisciante che costituirebbe un pesante e forse insostenibile fardello, anche economico, per un Paese già impegnato in notevoli sfide.
La radicale mobilitazione scatenata dal brutale assassinio di George Floyd incrocia le altre due linee di crisi costituite dall’emergenza sanitaria Covid-19 e dalla conseguente emergenza economica, facendo centro sulla figura di Donald Trump, la cui pessima gestione della pandemia pone una forte ipoteca sulla rielezione. Molto dipenderà dai lavoratori bianchi e dal loro voto.
La crisi in corso può rappresentare uno spartiacque fra due epoche: da un lato quella della globalizzazione accelerata sostenuta da un’ideologia dominante liberista; dall’altro, una nuova fase caratterizzata da profonde trasformazioni nel panorama geopolitico internazionale. La transizione dell’Europa rischia di essere drammatica.
Il Nobel per la Pace è stato assegnato al Primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed, “per i suoi sforzi in favore della pace e della cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto frontaliero con l’Eritrea”. Ma l’evoluzione dell’esperimento etiope lascia aperta in Africa l’alternativa tra democrazia e dispotismo.