Monica Quirico, storica, è honorary research fellow presso l'Istituto di storia contemporanea della Södertörn University di Stoccolma. La sua ricerca verte sulla storia e la politica svedese, spesso in prospettiva comparata con l'Italia. Tra le sue pubblicazioni più recenti, Socialismo di frontiera. Autorganizzazione e anticapitalismo (Torino, Rosenberg & Sellier, 2018), scritto con Gianfranco Ragona.
Contenuti:
La pandemia rappresenta, nelle nostre vite, una svolta epocale. Per non esserne travolti bisogna individuare subito strade nuove, all’insegna della prudenza, ma non della paura irrazionale dell’altro. E, se non ci sono, progettarne di nuove. Ma, prima, bisogna accordarsi sulla direzione da prendere e, per farlo, prendere parola.
Anche le fonti ufficiali lo ammettono. La gestione della pandemia in Svezia si è rivelata inadeguata. Prima del Governo, hanno fallito gli esperti, incaricati di gestire la situazione in piena autonomia. Il resto lo ha fatto l’intervenuto smantellamento del welfare. A perderci, con la salute dei cittadini, è la democrazia.
Il rapporto tra laicità, libertà di espressione e blasfemia, oggi particolarmente vivo in Francia, dopo il barbaro assassinio del professor Samuel Paty, ha un precedente in Danimarca. 15 anni fa la pubblicazione di 12 vignette satiriche su Maometto da parte di un quotidiano provocò un dibattito analogo. Con il seguito di una tragica nemesi.
Olof Palme, il premier svedese ucciso nel 1986, è stato autentico interprete di una politica di solidarietà internazionale, amato a sinistra e odiato a destra. Ciò ha moltiplicato le richieste di verità sulla sua morte. Ma il 10 giugno scorso anche l’ultima Commissione d’inchiesta ha lasciato il caso irrisolto, limitandosi a generici sospetti.
L’informazione sul contrasto del Coronavirus in Svezia ha continuato ad essere deficitaria. È così sfuggito che i problemi emersi al riguardo sono riconducibili non alla scelta di affidarsi alla persuasione anziché ai divieti, ma a gravi lacune nella strategia di prevenzione soprattutto con riferimento alla popolazione anziana.
Per la prima volta nella storia, il movimento operaio svedese ha cancellato la festa del 1° maggio. E, insieme, è esploso il conflitto che da tempo oppone il sindacato operaio, LO, al partito socialdemocratico al governo. L’appello del sindacato alla lotta, in nome di una società egualitaria, sarà, a emergenza finita, un fronte aperto.
Ovviamente tutto può cambiare da un giorno all’altro, ma ad oggi l’approccio svedese al Coronavirus è invariato, salvo pochi limitati correttivi. Anche perché per gli svedesi è impensabile che lo Stato vieti di uscire o di svolgere attività fisica all’aperto. Diverso sarebbe se a chiederlo fossero gli esperti, ma, al momento, così non è.
Il distanziamento sociale può essere una trappola mortale per l’azione collettiva. Pensiamo a tre movimenti messi in standby dall’emergenza Coronavirus: i NO TAV, le Sardine e lo sciopero per il clima. Eppure l’agire collettivo è oggi più importante che mai: per vigilare sul presente e per progettare un futuro diverso.
Di fronte all’epidemia il Governo svedese ha introdotto poche restrizioni, affidandosi nel resto alla responsabilità individuale, forte del fatto che nella cultura del Paese le “raccomandazioni” istituzionali hanno un forte seguito. Al momento ciò ha il consenso della gran parte della popolazione e ha aumentato la fiducia nel Governo.