Edoardo Peretti è nato nel 1985 sulla sponda lombarda del Lago Maggiore ed è stato adottato da Torino negli anni dell'università. Laureato in storia contemporanea collabora, come critico e giornalista cinematografico, con periodici on-line e cartacei (Mediacritica, Cineforum, L'Eco del nulla, Cinema Errante e Filmidee sono le principali collaborazioni). Ha lavorato per festival ed enti del settore e cura rassegne ed eventi, in particolare con l'Associazione Museo Nazionale del Cinema e con l'associazione Switch On.
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Film d’esordio di Alessio Rigo de Righis e Matteo Zoppis, “Re granchio” si dipana tra la Tuscia e la Terra del fuoco: un lungo racconto di vita che parte da osterie rurali d’altri tempi e approda ai grandi spazi e alle mitologie di frontiera. È un film avvincente che coniuga senza forzature la fiaba e la concretezza di certo cinema del reale che fa pensare, a volte, a Pasolini e a Olmi.
Con “Madres Paralelas”, film d’apertura dell’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia, Pedro Almodovar accantona la rielaborazione autobiografica del precedente “Dolor y gloria” per abbracciare una visione collettiva, storica e politica, pur partendo sempre dal suo tipico, irreale, caloroso e dolente melodramma al femminile.
Ariaferma, ultimo film di Leonardo Di Costanzo, proietta la realtà del carcere più di mille documentari. Merito della sua umanità a tratti devastante. Lo sfondo è un vecchio penitenziario sardo; la vicenda il confronto-incontro di un boss della camorra e del capo delle guardie penitenziarie; l’interpretazione, in una autentica gara di bravura, di Silvio Orlando e Toni Servillo.
Ultimo film di Nanni Moretti, “Tre piani” è parso a molti discostarsi dallo stile classico del regista. In realtà quel che si avverte è un cambiamento di pelle dell’autore, all’insegna della continuità, alla ricerca di una nuova chiave con cui leggere la realtà, le sue nevrosi e le sue maschere sempre più sole e incapaci di comunicare e comunicarsi.
Madre, miglior film del regista coreano Bong Joon-ho, veicola, sotto le sembianze di un thriller, il ritratto psicologico di una donna devastata e coriacea, pronta a tutto per difendere dall’accusa di omicidio il figlio, unica sua ragione di vita. Film di straordinaria intensità anche per la grande prova della protagonista Kim Hye-ya.
“The father” di Florian Zeller, vincitore di due premi Oscar, è il ritratto di un anziano affetto da demenza senile proposto nella sua quotidianità, nel doloroso rapporto con la figlia, nell’angoscia e nel disorientamento suoi e di chi gli sta intorno. Un film di grande intensità in cui svetta un monumentale Anthony Hopkins.
Girato nel 2000 e oggi riproposto in versione restaurata, “In the mood for love” di Wong Kar-way è un film splendido e ammaliante che racconta con grande eleganza la storia di Mrs. Chan e di Mr. Chow, vicini di casa, che si sfiorano per cinque anni scoprendo solo alla fine di essere partecipi dello stesso doloroso segreto.
Opera dell’italo francese Michael Zampino, “Governance – Il prezzo del potere”, è un thriller giocato sulle figure di un manager privo di scrupoli e un suo amico-dipendente altrettanto spregiudicato. Gradevole e magistralmente interpretato da Massimo Popolizio il film non riesce, peraltro, a integrare i diversi generi di riferimento.
Aldilà di qualche ridondanza un po’ didascalica, I care a lot è una riuscita satira in salsa thriller, inquietante e beffarda, del mito dell’intraprendenza americana priva di ogni bussola etica e morale. Come la protagonista, tutrice all’apparenza amorosa di anziani non autosufficienti in realtà sfruttati con calcolato cinismo.
Sono gli ultimi mesi del 1989. Un viaggio da Cesena verso l’Est Europa è, per tre ragazzi, un percorso di maturazione personale e politica. La “verità” e l’onestà del racconto cinematografico non bastano a salvarlo dalle sue debolezze: su tutte la mancanza di nerbo e la difficoltà di andare oltre la superficie delle cose.