Francesca Marcellan vive a Padova, lavora presso il Ministero della Cultura e scrive di arte, soprattutto nei suoi aspetti iconologici. Sulla scorta di Morando Morandini, va al cinema "per essere invasa dai film, non per evadere grazie ai film". E quando queste invasioni sono particolarmente proficue, le condivide scrivendone.

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Se il femminicidio è un tabù linguistico

Abbiamo assistito, negli ultimi tempi, alla nascita di un nuovo genere letterario: quello delle omelie dei funerali in diretta televisiva. Non è stato sempre un genere apprezzabile. È il caso, tra gli altri, della omelia pronunciata a Padova, nella basilica di Santa Giustina, ai funerali di Giulia Cecchettin, nella quale hanno prevalso – e non è stato un bel segnale – eufemismi e scelte lessicali rivelatrici di una ostinata e capillare volontà minimizzante.

“The Old Oak” di Ken Loach

“The Old Oak” è l’ultimo film di Ken Loach. L’ha dichiarato il regista stesso, ormai ottantasettenne, che si congeda ricordandoci, in questa società sempre più frammentaria e individualista, l’enorme forza che possiamo avere se siamo uniti. Una verità così semplice da essere scandalosa, tanto è in contrasto con il mondo in cui viviamo.

“Il grande carro” di Philippe Garrel

“Il grande carro” è il nuovo film di Philippe Garrel, ultimo continuatore della Nouvelle Vague. Il film, costruito intorno a un teatro dei burattini e ai suoi animatori, ha evidenti tratti autobiografici, ma è difficile da classificare. Perché è, appunto, come un carro, sul quale lo spettatore sale a una fermata qualunque, trovandosi in mezzo a una storia già iniziata da tempo e che continua.

Oppenheimer, un Prometeo senza vergogna

In “Oppenheimer” la storia del padre dell’atomica è privata di ogni drammaticità e l’accento si sposta dalla tragedia di Hiroshima all’ego del protagonista. È una banalizzazione cinica soprattutto laddove la costruzione della bomba è rappresentata come un qualunque “colpo grosso” cinematografico, con la suspense, il conto alla rovescia e poi l’esultanza di chi ha partecipato al progetto.

“Oci ciornie” e la natura morta

Il film di Nikita Michalkov “Oci ciornie” fruttò, nel 1987, a un grande Marcello Mastroianni la palma d’oro come miglior attore a Cannes. Sono passati, da allora, 36 anni ma il fascino del film resta intatto, con quella insistita inquadratura delle fette di anguria smangiucchiate nella stanza in cui si consuma la storia, riproduzione di un’unica grande natura morta.

“Le mie ragazze di carta”

Ambientato nel 1978, il film di Luca Lucini racconta l’inurbamento a Treviso di una famiglia di origine contadina. Storia corale raccontata dalla voce del quattordicenne Tiberio, che da un compagno di scuola più smaliziato scopre l’esistenza delle “ragazze di carta”, il film avrebbe notevoli potenzialità se non fosse appannato dal fatto che gli è stata tolta ogni spigolosità non televisiva.

La morte di Berlusconi e i 50 anni di “Malizia”

Per uno strano corto circuito, la morte di Berlusconi mi ha ricordato il film di Salvatore Samperi “Malizia” (1973), interpretato da una affascinante Laura Antonelli. Un film rivelatore e anticipatore della figura di donna che attraverserà il cinema e la cultura nei decenni successivi: realizzazione dei sogni e delle fantasie di tutti gli uomini di casa, angelo del focolare e oggetto del desiderio.

“Rapito” di Marco Bellocchio

Nel 1852 Edgardo Mortara, figlio di una famiglia ebrea, viene battezzato da una domestica; per questo papa Pio IX lo fa togliere ai genitori per crescerlo nella religione cattolica. Da qui si dipana il film di Bellocchio, che via via si concentra su una sequenza di riti (religiosi e non), vissuti come rituali nevrotici per tenere a bada un’angoscia che attanaglia tutti i protagonisti.